Consulta sulla geografia giudiziaria: referendum inammissibile, nessuna violazione della delega

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La Corte costituzionale ha depositato, il 29 gennaio 2014, la sentenza n. 12 con cui ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare presentata dai Consigli regionali delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte e volta all'abrogazione dell'articolo 1, commi 2, 3, 4, 5 e 5-bis della Legge n. 148/2011, del decreto legislativo n. 155/2012, e del decreto legislativo n. 156/2012. La notizia era stata anticipata dall'Ufficio stampa della Consulta il 15 gennaio 2014.

In particolare, i giudici costituzionali hanno rilevato che il corpo normativo oggetto della richiesta referendaria, “in quanto costituzionalmente necessario per lo svolgimento della funzione giurisdizionale ordinaria” e per l'esercizio del diritto fondamentale di agire e di difendersi in giudizio, “è nel suo insieme indefettibile e quindi non può essere meramente e integralmente abrogato, senza essere sostituito contestualmente da una diversa normativa”.

Nel caso in esame, inoltre, a giudizio della Consulta l'oggetto del referendum non soddisferebbe il requisito dell'omogeneità. Poiché, infatti, la riforma verrebbe sottoposta all'abrogazione popolare come un aggregato indivisibile, “l'elettore si troverebbe a dover esprimere un voto bloccato su una pluralità di atti e di disposizioni diverse, con conseguente compressione della propria libertà di scelta”.

Sempre in materia di geografia giudiziaria, con ordinanza n. 15 del 30 gennaio 2014, la Consulta ha, invece, dichiarato inammissibili e non fondate le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Camerino, dal Tribunale ordinario di Bassano del Grappa, dal Tribunale ordinario di Saluzzo, dal Tribunale ordinario di Latina, sezione distaccata di Gaeta, dal Tribunale ordinario di Nicosia e dal Giudice di pace di Rossano, con riferimento ad una presunta violazione della delega concessa al Governo nonché relativamente ad una “eterogeneità” della materia regolata.

Secondo la Corte costituzionale, in particolare, non vi sarebbe stata alcuna esplicita o formale violazione dei criteri di delega, la cui applicazione, per contro, non avrebbe manifestato elementi di irragionevolezza bensì risposto ad un corretto bilanciamento degli interessi.
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