Contratti di collaborazione alla luce del Jobs Act

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Contratti di collaborazione alla luce del Jobs Act

Il D.lgs. n. 81/2015, attuativo della Legge n. 183/2014 (c.d. Jobs Act), accorpa in un unico testo la disciplina dei contratti di lavoro e riscrive la normativa in tema di mansioni.

Fra le varie novità contenute nella riforma viene in rilievo la disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, atteso che il D.lgs. n. 81 cit. ha abrogato le previsioni comprese tra l’art. 61 e l’art. 69 bis del D.lgs. n. 276/03 e, d’altro canto, ha ammesso la possibilità di instaurare rapporti di collaborazione solo in ipotesi tassative.

Tuttavia, la cesura non è stata netta dal momento che l’art. 52 del D.lgs. n. 81 cit. ha previsto, sotto il profilo intertemporale, che le disposizioni abrogate “continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Ne segue che a decorrere dal 25.06.2015 non sarà più possibile stipulare nuovi contratti di collaborazione secondo la disciplina di cui agli artt. 61 e ss. del D.lgs. n. 276 cit., né prorogare quelli già in essere.

Conseguentemente, dal 25.06.2015 non possono più essere attivate:

  • le collaborazioni coordinate e continuative a progetto;

  • i c.d. mini co.co.co., vale a dire le prestazioni occasionali di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona, rapporti di durata non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a €. 5.000,00;

  • le collaborazioni svolte dai percettori di pensione di vecchiaia.

Occorre aggiungere che alla data del 25.06.2015 non è più operativo il regime delle presunzioni di cui all’art. 69 bis del D.lgs. n. 276 cit., previsto per i titolari di partita IVA (per la prassi applicativa cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 32/2012).

Di contro, tutti i contratti conclusi antecedentemente alla data del 25.06.2015 potranno essere portati a naturale scadenza e continueranno a essere sottoposti alla pregressa disciplina contenuta nel D.lgs. n. 276 cit. e s.m.i..

Per quest’ultima disciplina, i requisiti caratterizzanti le collaborazioni a progetto di cui all’art. 61, comma 1, D.lgs. 276 cit. e s.m.i. sono rappresentati dalla continuità, dal coordinamento, dalla prevalente personalità della prestazione lavorativa e soprattutto dalla riconducibilità dell’attività stessa alla realizzazione di un progetto. Il progetto, pertanto, stando al dettato legislativo contenuto nell’art. 61, comma 1 del D.lgs. n. 276 cit., deve essere specifico e in tal senso va determinato dal committente sulla base della propria strategia aziendale e realizzato dal collaboratore con la propria personale attività.

L’art. 1, comma 23, lett. a), b) della L. 92/12 (c.d. riforma Fornero) è intervenuto sulla disciplina di cui agli art. 61 e 62 del D.lgs. n. 276 cit., prevedendo, tra l’altro, che il progetto deve essere specifico e determinato dal committente e “funzionalmente collegato a un determinato risultato finale”.

A tal fine l’art. 7, comma 2, lett. c), D.L. 28 giugno 2013, n. 76/13, conv. con mod. dalla L. 9 agosto 2013, n. 99/13, è intervenuto anche sulle modalità formali di redazione del progetto, sopprimendo la dicitura “ai fini della prova”, di cui all’art. 62 del D.lgs. n. 276 cit., con la conseguenza che tale progetto deve essere redatto necessariamente in forma scritta, al fine di consentire l’individuazione del “[…] contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire” con il progetto medesimo.

Si tratta di interventi che hanno recepito tanto le prospettazioni formulate dal Ministero del Lavoro, a cominciare dalla circolare n. 1 del 2004, per proseguire poi con circolare n. 17 del 2006 e n. 4 del 2008 e, successivamente alla L. n. 92 cit. e al D.L. n. 76 cit., rispettivamente con circolare n. 29/12 e circolare 35/13; sia gli orientamenti della giurisprudenza, da sempre ferma nel ritenere “[…] indispensabile per la validità di tali contratti l’individuazione di un progetto specifico [...]” (cfr. Cons. Stato Sez. V, 09/04/2013, n. 1916; cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 03/10/2014; Trib. Milano Sez. lavoro, 30/06/2014). Alla luce di tali indicazioni, il progetto non può essere omesso né può ritenersi adeguatamente delineato mediante la semplice descrizione del contenuto delle mansioni attribuite al lavoratore ovvero con l’indicazione generica dell’obiettivo che si intende raggiungere (cfr. App. Firenze Sez. lavoro, 17/01/2012).

Il regime sanzionatorio per la mancanza o la non attuazione del progetto è contenuto nell’art. 69 del D.lgs. n. 276 cit., che rappresenta sostanzialmente la pietra angolare dell’intera disciplina.

La norma, nella sua formulazione originaria disponeva la conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto lavorativo, delle collaborazione obiettivamente non genuine a causa della carenza del progetto.

Secondo la giurisprudenza di merito maggioritaria (cfr. Trib. Ivrea Sez. lavoro, 03/07/2014; Trib. Milano Sez. lavoro, 13/12/2012; Trib. Trieste, 23/03/2011; Trib. Milano Sez. lavoro, 24/01/2011; contraTrib. Milano Sez. lavoro, 26/06/2014; Trib. Bologna, 16/03/2010) tale conversione veniva assistita da una presunzione assoluta di subordinazione, con la conseguente inammissibilità di prova contraria.

Tale orientamento è stato positivizzato, atteso che l’art. 1, comma 24 della L. n. 92 cit., con norma di interpretazione autentica, ha disposto che “l’articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Vero è che l’art. 1, comma 25 della L. n. 92 cit. ha limitato l’applicazione del comma 24 ai contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della L. n. 92 medesima; vero è, come testé descritto, la prevalente giurisprudenza di merito, formatasi antecedentemente all’intervento riformatore, ha optato per un’interpretazione favorevole alla qualificazione della presunzione di cui all’art. 69 del D.lgs. n. 276 cit. in termini assoluti.

In siffatta prospettiva, al committente, tanto prima della L. n. 92 cit. quanto successivamente ad essa, è stata sempre preclusa la possibilità di provare la natura effettivamente autonoma del rapporto con un collaboratore privo di progetto o - il che è lo stesso - privo di un progetto sufficientemente specifico.

Rispetto ai rapporti di collaborazione non genuini, l’art. 54 del D.lgs. n. 81 cit. ha consentito ai committenti la possibilità di assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato i lavoratori inquadrati con siffatti rapporti irregolari, senza per questo incorrere nelle sanzioni amministrative, contributive e fiscali connesse all’erronea qualificazione del rapporto medesimo.

La c.d. “sanatoria” è applicabile sempre che in primo luogo gli organi di vigilanza non abbiano già accertato la non genuinità del rapporto e in secondo luogo vengano rispettate entrambe le seguenti condizioni:

  1. il lavoratore deve sottoscrivere un atto di conciliazione in “sede protetta” (vale a dire in una delle sedi di cui all’articolo 2113, comma 4 c.c., ovvero innanzi alle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 276/ cit.);

  2. il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore nei 12 mesi successivi (salvo che per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo).

Fuori da tali ipotesi il regime sanzionatorio previsto dall’art. 69 del D.lgs. n. 276 cit. è stato confermato dall’art. 2 del D.lgs. n. 81 che, infatti, con formula perentoria, dispone che dall’1 gennaio 2016 viene applicata la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che siano carenti di autonomia operativa perché “si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Pertanto gli indici che determinano la conversione del contratto e l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato consistono nell’espletamento, da parte del collaboratore, di un’attività:

  1. personale e carente di una base organizzativa propria;

  2. continuativa e costante;

  3. eterodiretta e organizzata dal committente.

Si tratta di criteri che debbono essere applicati per saggiare la genuinità dei rapporti di collaborazione tassativamente ammessi dall’art. 2, comma 1 del D.lgs. n. 81 cit. e che si articolano nelle:

  1. collaborazioni disciplinate dai CCNL in ragione delle particolari esigenze produttive e organizzative del relativo settore (con specifica definizione del trattamento economico e normativo da applicare ai collaboratori). A tal riguardo, viene in rilievo l’accordo collettivo del 24.04.2013, che regolamenta le collaborazioni nel settore delle ONG/ONLUS. Tale accordo riguarda specificamente la disciplina dei contratti di collaborazione a progetto. La circostanza che questi ultimi siano stati abrogati non toglie validità alle previsioni contrattuali se non a quelle che attengono ai limiti di ammissibilità del progetto. L’espunzione dall’ordinamento di una fattispecie speciale comporta, di regola, l’espansione della fattispecie generale. Con la conseguenza che, in applicazione del principio di conservazione del negozio giuridico, le disposizioni contenute nell’accordo collettivo e che riguardano i trattamenti economici e normativi del collaboratore andranno lette alla luce del D.lgs. n. 81 cit. e riferite pertanto ai contratti di collaborazione, intesi sic et simpliciter quindi senza uno specifico risultato e senza limiti di durata;

  2. collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione negli appositi albi. La valorizzazione letterale della locuzione “necessaria” porta a ritenere che la conclusione del contratto di collaborazione sia ammissibile solo per i professionisti che siano effettivamente iscritti all’albo di categoria;

  3. attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni. In tale senso, non pare che sia ammissibile la stipulazione dei contratti di collaborazione per coloro che occupano nella compagine sociale la posizione di socio non amministratore;

  4. le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI (ex art. 90, Legge n. 289/2002).

In funzione di garanzia di genuinità del contratto di collaborazione, l’art. 2, comma 3 del D.lgs. n. 81 cit. ha previsto che le parti possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76, D.lgs. n. 277 cit., la certificazione che attesti l’assenza degli indici che portano alla conversione della collaborazione in contratto di lavoro subordinato. In tal modo, il contratto certificato dispiega i propri effetti verso i terzi (enti ispettivi e previdenziali compresi) fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’art. 80 del D.Lgs. n. 276 cit..

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