Decesso per amianto: la Cassazione riconosce il risarcimento agli eredi
Pubblicato il 20 febbraio 2025
In questo articolo:
- Amianto e decesso sul lavoro: la Cassazione conferma il risarcimento
- Il caso all'esame della Corte
- La decisione della Corte di Cassazione
- Obblighi di sicurezza del datore di lavoro
- L’onere della prova nella responsabilità datoriale
- Il nesso di causalità e la responsabilità del datore di lavoro
- Tabella di sintesi della decisione
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L’articolo 2087 del codice civile rappresenta un principio cardine nella tutela della salute e della dignità del lavoratore, imponendo al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dei dipendenti. Questo obbligo non si limita alle sole prescrizioni legislative esplicite, ma si estende a qualsiasi misura idonea a prevenire i rischi, tenendo conto delle particolarità dell’attività svolta, dell’esperienza e delle conoscenze tecniche disponibili.
Il datore di lavoro, in altri termini, è tenuto a garantire la massima sicurezza tecnologicamente possibile, adottando sia dispositivi di protezione individuale che interventi ambientali e organizzativi. La sua condotta deve conformarsi a un livello di diligenza particolarmente elevato, che non si esaurisce nel rispetto delle norme vigenti, ma richiede un costante aggiornamento rispetto all’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecniche nel settore della prevenzione dei rischi lavorativi.
Amianto e decesso sul lavoro: la Cassazione conferma il risarcimento
I principi sono stati ribaditi dalla Corte di cassazione, Sezione lavoro, nel testo dell'ordinanza n. 4084 del 17 febbraio 2025, pronunciata su un caso di esposizione professionale all’amianto che aveva portato al decesso di un lavoratore, impiegato presso una Spa dal 1963 al 1994.
Il caso all'esame della Corte
La controversia era nata in seguito alla richiesta di risarcimento avanzata dagli eredi del lavoratore, la moglie e i figli, i quali avevano promosso due distinti giudizi: uno in sede di lavoro per il riconoscimento dei danni iure hereditatis e un altro in sede civile per i danni iure proprio.
Entrambi i procedimenti si erano conclusi, nel merito, con la condanna dell’azienda a risarcire i familiari, con riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per la mancata adozione di misure di sicurezza atte a prevenire l’esposizione all’amianto.
La decisione, nella specie, era supportata dalla consulenza tecnica d’ufficio, dai rilievi dell’INAIL e dall’ASL, nonché da testimonianze che avevano confermato l’assenza di adeguate misure di protezione.
La società aveva impugnato entrambe le decisioni della Corte d’Appello, contestando il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia che ha condotto al decesso del lavoratore.
Secondo l’azienda, il giudice d’appello aveva erroneamente applicato il principio di equivalenza delle cause, ignorando possibili concause estranee all’ambiente di lavoro.
Con ulteriore motivo di impugnazione, la società aveva lamentato l’errata applicazione dell’art. 2087 c.c., in quanto, secondo la sua difesa, negli anni in cui il lavoratore era impiegato non vi era una normativa chiara e specifica sui rischi legati all’amianto.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte ha rigettato i motivi di ricorso dell'azienda, confermando le statuizioni rese in sede di appello.
Sul piano del nesso di causalità, ha ritenuto corretta l’applicazione del principio di equivalenza delle cause, ribadendo che la prolungata esposizione del lavoratore alle fibre di amianto sul luogo di lavoro può avere un’incidenza determinante nell’insorgenza della malattia, anche in termini di concausalità.
Obblighi di sicurezza del datore di lavoro
La Suprema corte, nella sua disamina, ha confermato un principio fondamentale in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro: l’assenza di specifiche previsioni non esonera il datore di lavoro dall’adozione delle misure necessarie per proteggere i propri dipendenti dai rischi connessi all’attività lavorativa.
La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 2087 c.c., secondo cui il datore di lavoro è tenuto a garantire la massima sicurezza tecnologicamente possibile, anche al di là delle previsioni normative esplicite.
Del resto - ha evidenziato la Corte - la normativa applicabile all’epoca dei fatti imponeva già specifici obblighi in materia di sicurezza, e la conoscenza dei rischi derivanti dall’amianto era documentata almeno dagli anni ’60.
L’onere della prova nella responsabilità datoriale
Altro aspetto centrale della sentenza riguarda l’onere della prova: il datore di lavoro che intende escludere la propria responsabilità deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni ragionevolmente esigibili.
Nel caso in esame, la società datrice di lavoro non aveva fornito alcuna prova di aver adottato misure idonee a limitare l’esposizione all’amianto.
Era dunque corretta la valutazione della Corte d’Appello, che aveva fondato la propria decisione sulle evidenze scientifiche e sulla documentazione raccolta.
Il nesso di causalità e la responsabilità del datore di lavoro
Tornando al nesso causale, la sentenza ha ribadito che l’esposizione prolungata all’amianto, anche in presenza di altre possibili cause, può essere considerata sufficiente per riconoscere la responsabilità del datore di lavoro.
La giurisprudenza consolidata, in materia di esposizione professionale, ha sempre riconosciuto il principio della concausalità, affermando che anche un fattore che contribuisca parzialmente all’insorgenza della malattia può fondare una responsabilità risarcitoria.
Le misure preventive omesse, in tale contesto, avrebbero potuto almeno ritardare l’insorgenza della malattia o ridurne la gravità.
Sul punto, è stata richiamata la giurisprudenza secondo cui la riduzione della dose cumulativa di esposizione può incidere sulla latenza della patologia e sulla durata della vita del lavoratore.
Per la Corte, infine, indipendentemente dal luogo in cui l’attività lavorativa veniva svolta, la società aveva l’obbligo di garantire la sicurezza dei propri dipendenti: il fatto che il lavoro fosse svolto in appalto presso impianti di terzi non esonerava l’azienda dall’adozione di misure preventive.
E' stato in definitiva confermato, dalla Cassazione, un orientamento rigoroso in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro: il datore di lavoro è responsabile non solo per le conseguenze dirette della sua condotta omissiva, ma anche per gli effetti derivanti dall’accelerazione dell’insorgenza della malattia dovuta all’esposizione prolungata a fattori di rischio noti e prevenibili.
Tabella di sintesi della decisione
Aspetto | Descrizione |
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Sintesi del caso | Il caso riguarda il decesso di un lavoratore, impiegato presso una Spa dal 1963 al 1994, a causa di mesotelioma pleurico dovuto all'esposizione professionale all'amianto. Gli eredi del lavoratore (moglie e figli) hanno avviato due distinti giudizi per ottenere il risarcimento dei danni: uno in sede di lavoro per i danni iure hereditatis e uno in sede civile per i danni iure proprio. Entrambi i procedimenti hanno confermato la responsabilità dell’azienda per la mancata adozione di misure di sicurezza adeguate. |
Questione dibattuta | La società ha impugnato le decisioni della Corte d’Appello sostenendo che non vi fosse un nesso causale diretto tra l’attività lavorativa e la malattia del lavoratore. Ha inoltre contestato l’applicazione del principio di equivalenza delle cause, ritenendo che possibili concause estranee all’ambiente di lavoro avrebbero dovuto escludere la responsabilità dell’azienda. La difesa ha inoltre invocato l’assenza di una normativa chiara sui rischi dell’amianto negli anni in cui il lavoratore era impiegato. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi della società, confermando la sentenza d’appello. Ha ritenuto corretta l’applicazione del principio di equivalenza delle cause, affermando che la prolungata esposizione all’amianto è stata determinante nell’insorgenza della malattia. Ha ribadito che il datore di lavoro è responsabile per la mancata adozione di misure di prevenzione anche in assenza di normative specifiche, in applicazione dell’art. 2087 c.c. La Corte ha inoltre sottolineato che il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni necessarie, prova che la società non ha fornito. |
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