DURC on-line: un passo in avanti, ma si doveva osare di più

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DURC on-line: un passo in avanti, ma si doveva osare di più

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 125 del 01/06/2015, il D.M. del 30 gennaio 2015, rubricato “Semplificazione in materia di documento unico di regolarità contributiva”, inerente le modalità di verifica, in tempo reale, della regolarità contributiva nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, per le imprese del settore edilizia, delle Casse edili.

La procedura è comunemente nota come “DURC on-line”.

Il D.M. è stato preceduto da un comunicato stampa del Ministero del Lavoro (oggetto di contributo nella presente rivista con titolo DURC, nuova procedura semplificata di rilascio on-line, del 04/06/2015), seguito da una specifica circolare esplicativa, la n. 19/2015.

In sintesi, l’esito positivo della verifica genera un documento pdf non modificabile, che sostituisce ad ogni effetto il DURC pregresso. Il documento generato contiene - tra l’altro - la dichiarazione di regolarità, il numero identificativo, la data di effettuazione della verifica e quella di scadenza del documento. Il DURC conseguito tramite procedura on-line avrà una validità di 120 giorni e potrà essere utilizzato per le diverse finalità richieste dalla legge - quali: erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici, di qualunque genere; procedure di appalto di opere, servizi e forniture pubblici e nei lavori privati dell’edilizia - e per il rilascio dell’attestazione SOA. E’ opportuno evidenziare che la regolarità sussiste anche in caso di rateizzazioni, crediti certi ed esigibili e di lievi scostamenti nel rapporto credito-debito.

Nel rinviare, per la disciplina dettaglio, ai contenuti del D.M. e ai chiarimenti ministeriali, occorre spendere brevi riflessioni su ciò che si poteva fare che, invece, non è stato fatto.

Il riferimento riguarda sia i soggetti abilitati alla verifica, sia il contenuto di tale documento, ormai digitale.

Con riferimento al primo aspetto, l’art. 1 del D.M. legittima alla verifica un novero di soggetti, tra i quali figurano “l’impresa o il lavoratore autonomo in relazione alla propria posizione contributiva o, previa delega dell’impresa o del lavoratore autonomo medesimo, chiunque vi abbia interesse”.

Gli obiettivi perseguiti con l’istituzione del DURC sono sostanzialmente volti sia a disincentivare il ricorso al lavoro sommerso, sia a regolamentare il mercato del lavoro, sia, infine, a costituire una banca dati aggiornata cui attingere per saggiare la virtuosità negli adempimenti contributivi, delle imprese e dei lavoratori autonomi.

Il DURC, in una parola, è espressione di “trasparenza.

Se ciò è vero, non si comprende perché il D.M. abbia ristretto o limitato la possibilità di accedere a tale banca dati solo a soggetti specificamente abilitati piuttosto che legittimare l’accesso a un’indistinta platea di “soggetti interessati”.

Invero, la possibilità da parte di “chiunque vi abbia interesse” di effettuare il controllo risulta condizionata dal rilascio di delega da parte del lavoratore e dell’impresa, con la conseguenza che in mancanza di tale atto propedeutico, all’interessato risulta preclusa ogni verifica. Ne deriva che colui o coloro che intendano saggiare, a monte, la rettitudine dell’impresa o del lavoratore in funzione di una scelta a contrarre (si pensi al cittadino che deve scegliere l’impresa o il lavoratore per eseguire dei lavori presso la propria abitazione), sono tenuti a richiedere all’impresa o al lavoratore, prima dell’inizio di ogni attività, la consegna del DURC. Sicché, il D.M. non apporta alcuna novità rispetto all’attuale sistema che impronta le dinamiche negoziali.

Sarebbe stata piuttosto preferibile la creazione di una banca dati correlata al “registro delle imprese”, cui qualunque soggetto interessato, indipendentemente dalle deleghe, avesse la possibilità di accedere per verificare la posizione complessiva dei soggetti iscritti.

Altro profilo che non convince riguarda il contenuto del DURC, che è volto ad attestare la regolarità contributiva dell’impresa o del lavoratore autonomo nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, eventualmente, delle Casse edili.

Prescindendo dalle ragioni poste alle base dell’elevazione delle Casse edili al rango di Enti deputati al controllo, si può asserire che, allo stato, ciò che qualifica la virtuosità dell’impresa è dato esclusivamente dall’assolvimento degli oneri previdenziali e assicurativi, mentre nessun peso viene attribuito all’adempimento dell’obbligazione principale del rapporto di lavoro: la retribuzione. Così, una domanda spontanea è: al lavoratore chi pensa?

INPS e INAIL, quali Enti pubblici, risultano legittimati ad attestare la correttezza dei contribuenti. Alle Casse edili, come enti bilaterali privati (che riecheggiano le vesti corporative), è stata riconosciuta la facoltà di pronunciarsi sulla puntualità nella riscossione dei propri crediti. Il lavoratore, al contrario, viene lasciato in disparte, poiché la sua retribuzione viene ritenuta elemento non meritevole di qualificare la regolarità del datore di lavoro.

Il sistema non sembra equilibrato.

Una vera riforma che aspiri a garantire una corretta concorrenza e una trasparente competitività tra le imprese dovrebbe tenere in considerazione, ai fini del riconoscimento della regolarità aziendale, tutto il rapporto di lavoro globalmente considerato, comprendendovi pertanto anche la retribuzione.

All’uopo sarebbe sufficiente creare un sistema digitale analogo a quello usato dall’INPS e dalle Casse edili per controllare la puntualità negli adempimenti contributivi e rendere tracciabili tutti i flussi monetari relativi al pagamento delle retribuzioni. In tale contesto, il LUL dovrebbe essere redatto unicamente in formato digitale ed essere inserito in un server centrale al quale potrebbero accedere tutti i soggetti deputati alle verifiche, ispettori del lavoro compresi. Nel sistema così creato transiterebbero i pagamenti tracciati delle retribuzioni, di modo che ove dovessero riscontrarsi scostamenti, il DURC non avrebbe esito positivo e l’ispettore, con un semplice “clic”, potrebbe emettere provvedimenti di diffida accertativa con modalità analoghe a quelle utilizzate dall’INPS per l’invio degli avvisi di pagamento.

La strada è ancora lunga per trasformare quelle che oggi sembrano visioni astratte in fatti concreti, ma in questo momento il prezzo più alto viene pagato, paradossalmente, dal lavoratore.

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