Esonero 2018 (parte 4): i vincoli posti dalla Legge di Bilancio 2018

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Esonero 2018 (parte 4): i vincoli posti dalla Legge di Bilancio 2018

I vincoli posti dalla Legge di Bilancio 2018

Dopo aver affrontato nei precedenti contributi le condizioni generali che il datore di lavoro deve rispettare per conseguire l’esonero triennale, si presta attenzione al terzo e ultimo gruppo di vincoli, posti direttamente dalla Legge di Bilancio 2018 (L. 205/2017). Alcuni di questi sono stati già illustrati e riguardano il limite di età e l’occupazione del lavoratore con contratto subordinato a tempo indeterminato.

La L. n. 205 cit. aggiunge altre due condizioni.

Il divieto di licenziamenti

Il datore di lavoro, nei sei mesi precedenti all’assunzione, non deve avere proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva.

Premesso che la previsione, per effetto dell’art. 1 comma 106, non si applica al caso di esonero collegato al mantenimento in servizio dell’apprendista al termine del periodo formativo, si pongono, al riguardo, alcune questioni di stretto diritto.

In primo luogo, l’art. 1 comma 104 della Legge di Bilancio 2018 si riferisce espressamente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La conseguenza è che restano esclusi dal vincolo normativo le risoluzioni: consensuali, per dimissioni, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Si richiama l’importanza, seppur non dirimente, delle informazioni contenute nell’UNILAV di cessazione del rapporto. È bene però precisare che secondo la c.d. nozione ontologia del licenziamento, è sottratta alla disponibilità del datore la possibilità di qualificare giuridicamente la ragione giustificatrice del licenziamento a prescindere dalla sostanza di esso.

Rimane semmai aperta la questione se possano o meno essere sussunti nel recesso per giustificato motivo oggettivo, le seguenti fattispecie di recesso: licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, licenziamento per superamento del periodo di comporto, licenziamento per sopravvenuta inidoneità al lavoro.

Il licenziamento per scarso rendimento

La giurisprudenza, sebbene non sempre univoca, è recentemente propensa a ricondurre tale recesso al giustificato motivo soggettivo “in quanto le ragioni ad esso sottese dipendono, anche solo in parte, dalla condotta del lavoratore o sono connesse alla sua persona”. Invero a detta di tale indirizzo, “la scarsa intensità e inadeguatezza della prestazione sono riconducibili ad un comportamento imputabile, a titolo di colpa, al lavoratore e sono strutturalmente estranee all’ipotesi normativa del giustificato motivo oggettivo” (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/11/2016, n. 23735, ma vedi anche Cass. civ. Sez. lavoro, 05-03-2003, n. 3250). 

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto

Indirizzo differente invece si registra per il licenziamento irrogato a seguito di superamento del periodo di comporto. Quest’ultimo è stato assimilato a un licenziamento non disciplinare, ma per giustificato motivo oggettivo (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 23/01/2018, n. 1634; cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 19/10/2017, n. 24739). Pertanto ove un lavoratore sia stato espulso per eccessiva morbilità, il datore nei sei mesi successivi non potrà assumere avvalendosi dell’esonero previsto dalla L. n. 205 cit..

Tuttavia sul punto si segnala il diverso orientamento del Ministero del Lavoro, il quale, nel fornire chiarimenti operativi circa lo svolgimento della procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti causati da giustificato motivo oggettivo, ha escluso che tale procedura trovi applicazione al caso di recesso per avvenuto superamento del periodo di comporto (cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 3 del 2013).

Il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore

Quanto alla sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, la circolare, da ultimo citata, riconduce tale recesso al giustificato motivo oggettivo. Anche la giurisprudenza pare orientata in tal senso, con la precisazione che l’atto risolutivo può considerarsi legittimo alla condizione che il lavoratore non abbia avuto la possibilità di essere astrattamente impiegato in mansioni diverse (Cass. civ. Sez. lavoro, 04/10/2016, n. 19774; Cass. civ. Sez. lavoro, 06/12/2017, n. 29250; Cass. civ. Sez. lavoro, 21/07/2017, n. 18020).

I licenziamenti collettivi

La seconda questione che pone l’art. 1 comma 104 della Legge di Bilancio 2018 riguarda l’ipotesi dei licenziamenti collettivi. Il termine semestrale, spirato il quale è possibile procedere all’assunzione, deve essere correlato all’atto delle espulsioni, indipendentemente dal termine della procedura.

Il mancato riferimento al livello del lavoratore

L’art. 1 comma 104 della L. n. 205 cit., aggancia il recesso, individuale o collettivo, all’unità produttiva, omettendo ogni riferimento al livello di inquadramento del lavoratore. Al riguardo pare che si possano formulare due opzioni esegetiche.

La prima porta a leggere l’art. 1 comma 104 della L. n. 2005 sistematicamente con l’art. 2013 c.c., con la conseguenza che il vincolo per l’accesso all’esonero opera entro il termine semestrale, alla duplice condizione che il lavoratore destinatario della nuova assunzione:

  • non venga inserito nella medesima unità produttiva in cui operavano i lavoratori espulsi dal ciclo produttivo;
  • non risulti inquadrato nella medesima categoria legale e nel medesimo livello di quello appartenente ai dipendenti licenziati.

Altra lettura, più persuasiva, suggerisce di rendere operativo il vincolo posto dalla L. n. 205 cit. prescindendo da esami comparati sulla categoria e sui livelli di inquadramento dei dipendenti.

In sostanza la sola circostanza che nella medesima unità produttiva di inserimento del dipendente neo assunto il datore di lavoro abbia eseguito, nei sei mesi precedenti, dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o licenziamenti collettivi costituirebbe condizione necessaria e sufficiente per negare l’accesso all’esonero.

Tale tesi si basa su uno criterio di interpretazione letterale. La circostanza che il Legislatore abbia omesso ogni riferimento ai livelli e alle categorie legali dei lavoratori espulsi, costituisce segno evidente della volontà normativa di conferire rilevanza all’atto di recesso in sé considerato. 

In altre parole, laddove, come nell’ipotesi di cui all’art. 31 comma 1 lett. c) del D.lgs. n. 150 cit., ovvero come nell’art. 1 comma 105 della L. n. 2015 cit., il Legislatore ha voluto prendere in considerazione il livello o la categoria professionale del lavoratore, lo ha fatto richiamando tali elementi nella parte descrittiva della norma. Diversamente, come nell’ipotesi di cui all’art. 1 comma 104 della L. n. 204 cit., ha taciuto, sicché: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Gli assetti proprietari coincidenti

Ultima questione, ma non per ordine di importanza, riguarda l’applicazione del principio previsto dall’art. 31 comma 1 lett d) del D.lgs. n. 150 cit.. Si ritiene che l’esame sull’esistenza di eventuali atti di espulsione per ragioni economiche, nel semestre precedente all’assunzione, vada condotto anche nei confronti del datore di lavoro che presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con il datore di lavoro che assume o utilizza in somministrazione, ovvero risulta con quest’ultimo in rapporto di collegamento o controllo. Per i concetti di colleganza e controllo viene in rilevo l’art. 2359 c.c., a mente del quale sono considerate società controllate:

  1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
  2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
  3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Sono invece considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

Il divieto di licenziamento nei sei mesi successivi all’assunzione

Ultima condizione posta dalla L. n. 205 cit. è quella di cui all’art. 1 comma 104 in base al quale “il licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore assunto o di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con la medesima qualifica del lavoratore assunto con l’esonero di cui al comma 100, effettuato nei sei mesi successivi alla predetta assunzione, comporta la revoca dell’esonero e il recupero del beneficio già fruito”. 

Nel richiamare quanto osservato in proposito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e del concetto di unità produttiva, occorre rilevare che la previsione in commento richiama la categoria di inquadramento del lavoratore, senza correlare tale locuzione al livello professionale. Anche in tale occasione può essere suggerita una lettura sistematica con l’art. 2103 c.c. e quindi considerare il livello professionale connaturato alla categoria legale. Sicché, in tale prospettiva, il datore di lavoro perderebbe l’esonero qualora entro sei mesi dall’assunzione licenzi un altro dipendente che abbia la medesima categoria legale e lo stesso livello professionale del dipendente assunto mediante sgravio. 

Per espressa enunciazione dell’art. 1 comma 105 della L. n. 205 cit., ai fini del computo del periodo residuo utile alla fruizione dell’esonero, la revoca del beneficio da parte dell’INPS nei confronti del datore di lavoro che ha effettuato il licenziamento non ha effetti nei confronti degli altri datori di lavoro privati che, in futuro, dovessero assumere il lavoratore. Costoro, per il principio della portabilità, potranno continuare a beneficiare dell’esonero per la parte residua.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza

Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

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