Giusta causa: ipotesi del contratto collettivo meramente esemplificative

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Giusta causa: ipotesi del contratto collettivo meramente esemplificative

L'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa. Questo, alla luce della natura legale della nozione di cui all’art. 2119 c.c..

Di conseguenza, la presenza di un'eventuale elencazione non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

E' quanto rammentato dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 36861 del 15 dicembre 2022, pronunciata a conferma della decisione con cui la Corte d'appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare senza preavviso che un'azienda aveva comminato ad un proprio dipendente.

La Corte territoriale, nella specie, aveva ritenuto fondati gli addebiti contestati al lavoratore, consistiti:

  • nell'avere, reiteratamente e in più occasioni, intrattenuto colloqui telefonici (oggetto di intercettazione) con un ex dipendente, indagato nell'ambito di un procedimento penale, fornendo a costui informazioni commercialmente sensibili al fine di consentirgli di compiere operazioni illecite in danno del datore;
  • nell'essersi adoperato per accelerare l'evasione delle pratiche segnalate da detto ex dipendente prima della loro naturale scadenza, con l'intento di favorire i clienti che ne avevano avanzato richiesta;
  • nell'avere ritirato misuratori di energia senza rilevare la presenza di evidenti segni di manomissione sugli stessi e senza darne comunicazione alle strutture preposte secondo le procedure aziendali in vigore.

I giudici di merito, accertati tali fatti, avevano ritenuto giustificato il licenziamento, argomentando che, “al di là dell'effettivo pregiudizio arrecato, rilevano l'intensità dell'elemento soggettivo (chiaramente intenzionale) e la delicatezza delle mansioni svolte (operaio addetto, tra l'altro, all'installazione e disinstallazione dei misuratori di energia elettrica), che richiedono il massimo affidamento da parte del datore di lavoro circa la capacità del prestatore di operare secondo criteri di assoluta trasparenza e rispettando le procedure aziendali destinate proprio ad impedire tentativi di frode in danno dell'azienda”.

L'uomo si era rivolto alla Suprema corte, lamentando violazione e falsa applicazione di legge, atteso che, secondo la sua difesa, la Corte di gravame si era concentrata unicamente sulla ricostruzione, in termini di mera verosimiglianza, dell’elemento soggettivo delle condotte, omettendo “ogni indagine e considerazione circa il pregiudizio reale ed effettivo arrecato all’azienda”.

Lo stesso aveva inoltre dedotto, tra i motivi, che secondo la disciplina collettiva applicabile, la massima sanzione espulsiva era “relegata a fatti gravissimi, connotati da rilevanza penale” o a fatti che avessero provocato all'azienda “grave nocumento morale e/o materiale”.

Licenziamento. Giusta causa a prescindere da CCNL

Motivi, questi, che per la Cassazione non potevano trovare accoglimento, in quanto non deducevano, nelle forme proprie, la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ma, piuttosto, tendevano ad una rivalutazione nel merito, circa il concreto apprezzamento delle condotte contestate quali ipotesi di giusta causa di licenziamento.

Ad ogni modo, come sopra ricordato, la sentenza impugnata era conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui dalla natura legale della nozione di cui all’art. 2119 c.c. deriva che l'elencazione dei casi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa e non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito.

Conta più il valore sintomatico della condotta che il danno arrecato

Con riferimento, poi, all’indagine sul pregiudizio arrecato all’azienda, gli Ermellini hanno ricordato che, in tema di licenziamento per giusta causa, la modesta entità del fatto addebitato non va riferita alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, "dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all'idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull'elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro".

Utilizzabili le intercettazioni svolte in ambito penale

Nella decisione, infine, è stato anche ribadito come, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, "il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacché la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale".

Con particolare riferimento alle intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, la Corte ha spiegato che esse sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare "purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall'art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, in cui si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale".

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