Il primo contratto a termine non rientra nei limiti di contingentamento

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Nel mese di agosto 2012 Alfa S.r.l. assume, per la durata di dodici mesi, molteplici dipendenti con contratto a tempo determinato acausale, così come disciplinato dall’art. 1, comma 1 bis, del D.lgs. n. 368/2001, introdotto dalla recente L. n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero). Per ogni neo assunto si tratta del primo rapporto a termine concluso con Alfa S.r.l.. Nel mese di settembre 2012 gli ispettori della DTL sottopongono a verifica Alfa S.r.l. alla quale viene contestato che i primi contratti a termine stipulati nel mese di agosto 2012 superano i limiti di contingentamento previsti dal CCNL di categoria, rinnovato nell’anno 2008. Per l’effetto gli ispettori convertono tutti i primi contratti a termine in contratti a tempo indeterminato e diffidano Alfa S.r.l. ad effettuare nuove comunicazioni UNILAV recanti i dati scaturenti dalla conversione dei rapporti. È corretto l’operato degli ispettori?



Premessa

Gli schemi negoziali oggetto di modifiche operate dalla recente riforma del mercato del lavoro, attuata con L. n. 92/2012, vengono ora esaminati dagli scriventi con una serie di articoli volti ad evidenziare le principali e più evidenti problematiche applicative. Si comincerà con il contratto a tempo determinato non solo per ragioni sistematiche, ma anche perché tale modello costituisce molto spesso il principale canale di accesso nel mercato del lavoro.

Il nuovo contratto a termine: aspetti generali


Prima di concentrare il fuoco dell’attenzione sul rapporto intercorrente tra l’art. 1, comma 1 bis, e l’art. 10, comma 7, del D.lgs. n. 368/2001, pare opportuno illustrare in via sintetica e schematica le novità che hanno interessato il contratto a tempo determinato, rinviando per maggiori dettagli al testo della norma, nonché alle prime istruzioni diramate dal Ministero del Lavoro con circolare n. 18 del 2012 e alle già numerose pubblicazioni che sono state emanate sull’argomento.

Sotto il profilo della successione dei contratti sono stati ampliati i termini di intervallo tra la stipula di un contratto e l’altro, che attualmente sono di sessanta e novanta giorni, a seconda che il contratto scaduto abbia rispettivamente avuto durata inferiore o superiore a sei mesi. Quest’ultimo parametro viene preso a riferimento anche per l’eventuale prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine, che può protrarsi rispettivamente fino a trenta o cinquanta giorni con l’accorgimento che lo sforamento deve essere comunicato in via telematica al Servizio per l’impiego entro il termine di naturale scadenza del contratto. Resta invece invariata la durata complessiva di trentasei mesi concernente la c.d. “sommatoria” dei contratti a termine stipulati tra le medesime parti. La novità, invece, è rappresentata dal fatto che nel computo di tale periodo si tiene conto anche dei periodi di missione svolti in applicazione dei contratti di somministrazione aventi a oggetto mansioni equivalenti e svolti tra i medesimi soggetti. Sono stati rivisti i termini di impugnazione per l’esercizio dell’azione di nullità con operatività decorrente dal primo gennaio 2013. I termini attualmente sono di centoventi giorni per l’impugnativa stragiudiziale e centottanta per quella giudiziale. In ordine alle conseguenze risarcitorie connesse alla conversione a tempo indeterminato del rapporto a termine è stata prevista un’indennità onnicomprensiva compresa tra 2,5 e 12 mensilità. Infine è stata prevista una contribuzione aggiuntiva a carico dei datori di lavoro dell’1,40% per la stipula del contratto a termine. È altresì prevista la parziale restituzione degli importi versati nell’ultimo semestre in caso di conversione del rapporto a tempo indeterminato.

Contratto a termine acausale e limiti di contingentamento


La nuova disciplina sopra descritta si applica anche nei confronti del primo rapporto di lavoro termine, la cui stipulazione, tra le medesime parti, può avvenire anche in assenza di espressa enunciazione delle motivazioni di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 368/2001, essendo tale acausalità espressamente introdotta dall’art. 1, comma 9, lett. b), della L. n. 92 cit. Tale contratto non è prorogabile, può avere una durata non superiore a dodici mesi e può essere utilizzato per lo “svolgimento di qualunque tipo di mansioni.

La L. n. 92 cit. conferisce alla contrattazione collettiva delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o decentrata, se delegata, la facoltà di prevedere modalità alternative di assunzione con esclusione della causale, anche se nel limite complessivo massimo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva e per processi produttivi determinati da:

  1. avvio nuova attività;

  2. lancio di un prodotto o di un servizio innovativo;

  3. implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico;

  4. fase supplementare di un significativo progetto di ricerca o sviluppo;

  5. rinnovo o proroga di una commessa consistente.

In assenza di disposizioni collettive che prevedano tali modalità alternative di assunzioni contrassegnate da acausalità ci si chiede piuttosto se il “primo contratto a termine” di cui all’art. 1, comma 1 bis, del D.lgs. n. 368 cit. debba o meno essere computato nei limiti di contingentamento eventualmente previsti dai CCNL di categoria stipulati in applicazione dell’art. 10, comma 7, del D.lgs. n. 368 cit.

La questione non è secondaria, specie ove si prenda atto che tali clausole limitative hanno senz’altro natura inderogabile e considerato che in ambito lavoristico il rapporto di lavoro è regolamentato non solo dalla volontà individuale delle parti, ma anche e soprattutto da norme imperative e da norme collettive: ne segue pertanto che la violazione delle disposizioni che impongono limiti di contingentamento si traduce sostanzialmente nell’illegittima apposizione del termine al contratto. Tali limiti, il cui rispetto deve essere dimostrato dal datore di lavoro, costituiscono condizione di legittimità del contratto, la cui violazione comporta nullità parziale ex art. 1419, c. 2, c.c. e la conseguente conversione del contratto a tempo indeterminato. È pur vero che tale conversione non risulta positivizzata, ma è altrettanto vero che la giurisprudenza dominante ritiene che la conseguenza de qua è espressione di un principio generale dell’ordinamento, qualificata dalla Corte Costituzionale addirittura come “diritto vivente”.

Primo contratto a termine e autonomia collettiva


La circostanza che l’art. 1, comma 9, lett. d), della L. n. 92 cit. abbia previsto esclusivamente l’inammissibilità della proroga per il “primo contratto a termine”, senza nulla disporre invece in merito ai limiti di contingentamento di cui all’art. 10, comma 7, del D.lgs. n. 368 cit. (la cui disciplina invero è rimasta sostanzialmente immutata), costituisce un indice sintomatico dalla non computabilità del primo contratto a termine nei limiti numerici quantitativi.

In altre parole, se il Legislatore avesse voluto assoggettare il “primo contratto a termine” a limiti di contingentamento, avrebbe innovato anche il portato applicativo dell’art. 10, comma 7, del D.lgs. n. 368 cit., la cui disciplina invero sottopone a tali restrizioni solamente il “contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell’art. 1 comma 1e non anche quello di cui al successivo comma 1 bis, introdotto dalla L. n. 92 cit.: Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

D’altro canto si potrebbe anche argomentare che l’immutabilità dell’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit. riguarda pure le fattispecie contrattuali escluse dai limiti di contingentamento di cui alle lett. a), b), c), d), le quali a ben vedere non comprendono il “primo contratto a termine” disciplinato dall’art. 1 comma 1 bis della L. n. 368 cit..

Quest’ultima considerazione attenua la valenza dell'interpretazione strettamente letterale dell’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit. in favore di un’opzione ermeneutica che riconosca all’autonomia collettiva menzionata dalla norma da ultimo citata la possibilità di ricomprendere, con precetti chiari, ampi e onnicomprensivi, il primo contratto a termine nei limiti quantitativi. In mancanza di tali clausole pattizie il primo contratto a tempo determinato acausale di cui all’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368 cit. non appare computabile nelle percentuali di contingentamento. Tale soluzione appare plausibile anche in forza del portato applicativo dell’art. 8 del D.L. n. 138/11 conv. in L. n. 148/11, il quale ha ampliato le materie suscettibili di regolamentazione da parte dei contratti di prossimità aziendali e territoriali che, in quanto sottoscritti da soggetti muniti da idonea rappresentatività, sono in grado di introdurre discipline in deroga alle disposizioni di legge e agli stessi CCNL nazionali fermo “il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro”. E il comma 2 lett. c) del citato articolo 8 ricomprende tra siffatte materie anche il contratto a termine.

Il caso concreto


Alla luce delle riflessioni sopra esposte e per quel che riguarda il caso di specie, in punto di fatto si rileva che nel mese di agosto 2012 Alfa S.r.l. ha assunto, per la durata di dodici mesi, molteplici dipendenti con contratto a tempo determinato acausale, così come disciplinato dall’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368 cit., introdotto dalla recente L. n. 92 cit. (c.d. riforma Fornero). Per ogni neo assunto si è trattato del primo rapporto a termine concluso con Alfa S.r.l.. Nel mese di settembre 2012 gli ispettori della DTL hanno sottoposto a verifica Alfa S.r.l., alla quale è stato contestato che i primi contratti a termine stipulati nel mese di agosto 2012 hanno superato i limiti di contingentamento previsti dal CCNL di categoria, rinnovato nell’anno 2008. Per l’effetto gli ispettori hanno convertito tutti i primi contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, in applicazione della regola giurisprudenziale sulla nullità parziale del contratto e hanno diffidato Alfa S.r.l. ad effettuare nuove comunicazioni UNILAV recanti i dati scaturenti dalla conversione dei rapporti.

Le conclusioni a cui sono giunti gli ispettori non sono condivisibili perché contrastano con il dettato dell’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit..

Come sopra argomentato la circostanza che l’art. 1 comma 9 lett. d) della L. n. 92 cit. abbia previsto esclusivamente l’inammissibilità della proroga per il “primo contratto a termine”, senza nulla disporre invece in merito ai limiti di contingentamento di cui all’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit., denota la volontà del Legislatore della riforma di escludere il primo contratto a termine dall’ambito dei predetti limiti. Né sotto altro aspetto appare possibile invocare sul punto un’interpretazione estensiva dell’autonomia collettiva, visto che il CCNL di categoria è stato rinnovato nel 2008, quindi antecedentemente alla riforma del 2012, e pertanto non può ragionevolmente contenere clausole che comprendano nel novero dei limiti di contingentamento schemi negoziali di recente introduzione e che all’epoca non erano neppure prefigurati dalle parti collettive.

Ne segue pertanto che, a parere degli scriventi, la conversione dei contratti e i provvedimenti sanzionatori adottati dagli ispettori appaiono illegittimi e meritevoli, ove tempestivamente impugnati, di caducazione.

NOTE

i Fatta eccezione per i rapporti stagionali e le altre ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva così come previsto nel D.L. n. 83 del 2012 c.d. “decreto sviluppo”.

ii Art. 1 commi 11 e 12 della L. n. 92 cit. che hanno modificato l’art. 32 comma 3 della L. n. 183/10.

iii Art. 2 commi 28, 29 e 30 della L. n. 92 cit..

iv Se poi il primo contratto ha avuto una durata inferiore a dodici mesi l’eventuale secondo contratto a tempo determinato deve, necessariamente, contenere una delle motivazioni previste dall’art. 1 comma 1 del D.lgs. n.368/01.

v I CCNL possono e non debbono prevedere tali limiti. Trattasi di una facoltà: cfr. circolare Ministero del lavoro n. 42 del 2002. Sicché in assenza di previsioni contrattuali collettive la stipulazione del contratto a termine deve ritenersi consentita senza limiti percentuali.

vi L’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit. rimette alle parti collettive, più rappresentative a livello nazionale, la facoltà di introdurre "limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato" , con esclusione delle ipotesi espressamente previste ex lege, tra le quali si annoverano le assunzioni "per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale". Tali limiti sono spesso espressi con percentuale calcolata sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato complessivamente occupati presso l’azienda.

vii Trib. Trapani Sez. lavoro, 21/09/2011.

viii Cfr. Cass. civ. Sez. VI, Ord., 24-02-2012, n. 2912; e ancora Cass. Civ. 7645 del 4.4.2011; Trib. Ischia 29 giugno 2011.

ix Cfr. Trib. Trieste 3 agosto 2011; per tale principio anche Trib. Roma, 17/11/2008.

x Cass. civ. Sez. lavoro, 23/11/2010, n. 23684; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 21/05/2008, n. 12985.

xi Cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 214 del 2009.

xii "Dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto". Se infatti in un disposto normativo non è stato analizzato un determinato aspetto, si deve presupporre che il legislatore non lo abbia voluto affrontare e modificare, pertanto, in difetto di norma, non si deve procedere ad interpretazioni estensive.

xiii L’art. 8 dispone testualmente che “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività”.

Il secondo comma recita “le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:

  1. agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

  2. alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

  3. ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;

  4. alla disciplina dell'orario di lavoro;

  5. alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento”.

xiv L’art. 8 comma 2 bis del D.L. n. 138 cit. recita testualmente: “fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.

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