Infortunio sul lavoro. Datore consapevole dei rischi? Esimente esclusa

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Infortunio sul lavoro. Datore consapevole dei rischi? Esimente esclusa

Il datore di lavoro è consapevole della disapplicazione delle misure di sicurezza, sostituite con altre modalità operative volte a ridurre i tempi di lavorazione, meno sicure?

Va esclusa l'applicazione, in suo favore, della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in relazione al reato di lesioni personali colpose contestatogli per l'infortunio sul lavoro occorso al prestatore. 

E' quanto si desume dalla lettura della sentenza della Corte di cassazione n. 20279 del 12 maggio 2023, con cui è stato respinto il ricorso dei legali rappresentanti di un'azienda, penalmente condannati per il reato di lesioni personali colpose in relazione agli obblighi del datore di lavoro di cui all'art. 71, comma 1, D. Lgs. n. 81/2008.

Gli stessi erano stati ritenuti responsabili in quanto, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, avevano cagionato al dipendente lesioni personali da cui era derivata una malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di oltre 50 giorni.

I due si erano rivolti alla Suprema corte per lamentare la mancata applicazione dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p. che i giudici di secondo grado avevano escluso, in sede di rinvio, ritenendo che il fatto non potesse qualificarsi di particolare tenuità.

Ciò in ragione dell'elevata pericolosità della condotta e dell'elevato grado di colpevolezza, desunto dalla consapevole disapplicazione delle misure di sicurezza e dell'entità delle lesioni procurate al lavoratore.

Decisione, questa, che la Corte di cassazione ha ritenuto meritevole di conferma, atteso che la relativa motivazione risultava immune dal denunciato vizio di contraddittorietà e illogicità.

Non punibilità per particolare tenuità, applicazione

Secondo gli Ermellini, in particolare, l'irrogazione di una pena vicina al minimo edittale non risultava, di per sé, incompatibile con l'esclusione della causa di non punibilità in parola.

Quest'ultima, trovando il proprio fondamento giustificativo nel principio di proporzione, si applica infatti a quei fatti di reato che, seppur tipici, antigiuridici e colpevoli, rimangono al di sotto della soglia della meritevolezza della pena, denotando, dunque, una gravità in concreto inferiore alla pena minima prevista.

E' quindi legittimo che il giudice commini una pena molto vicina al minimo edittale e, nondimeno, escluda la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'esimente.

Senza contare che, sotto altro profilo, la Corte territoriale aveva preso in considerazione, nella valutazione complessiva del fatto, le circostanze della predisposizione di misure antinfortunistiche alternative e dell'individuazione di un numero limitato di lavoratori adibiti alla peculiare lavorazione.

Era stato considerato, nel dettaglio, che:

  • la sostituzione dei presidi automatici con altro tipo di misure era volta a ridurre i tempi di lavorazione;
  • gli imputati erano consapevoli della maggiore pericolosità derivante da tale sostituzione, predisponendo la formazione soltanto per tre dipendenti su dieci;
  • tali misure erano evidentemente inidonee a garantire la sicurezza e l'incolumità dei lavoratori a fronte delle lesioni cagionate.

Quanto, poi, all'entità del danno, i giudici d'appello avevano valutato in concreto l'entità delle lesioni derivate al dipendente infortunato, ritenendola espressiva della pericolosità delle condizioni lavorative consapevolmente predisposte dagli imputati.

Di alcun rilievo, per finire, è stato giudicato il motivo di doglianza relativo alla violazione dell'art. 131-bis citato, laddove si lamentava che il giudice di appello avrebbe mancato di considerare, ai fini dell'applicazione dell'esimente in parola, la condotta susseguente al reato.

Era infatti legittimo ritenere che la gravità dell'offesa e l'elevata pericolosità delle condizioni di lavoro non fossero scalfite dalla condotta susseguente di messa a norma del macchinario.

Dopo la riforma Cartabia, infatti, la condotta susseguente al reato, in uno con i criteri di cui all'art. 133 comma 1 c.p., rientra sempre nell'ambito della valutazione spettante al giudice di merito, al fine di stabilire se, per le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa risulti di particolare tenuità.

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