Jobs Act, licenziamento orale: inderogabile il risarcimento minimo di 5 mensilità
Pubblicato il 28 luglio 2025
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Il risarcimento minimo di 5 mensilità previsto dal Jobs Act per il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale è inderogabile e non può essere intaccato da quanto percepito dal lavoratore a seguito di nuova occupazione.
È quanto ha statuito l'ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 20686 del 22 luglio 2025.
Licenziamento in forma orale: la vicenda processuale
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20686/2025, ha accolto il primo motivo del ricorso presentato dal lavoratore avverso la decisione della Corte d’appello di Napoli, che aveva riformato la sentenza del Tribunale di Benevento del 10.12.2020, dichiarando l’inefficacia del licenziamento orale del 31.10.2016.
La Corte territoriale aveva riconosciuto al lavoratore il diritto al risarcimento del danno sino al 15.10.2018, data in cui era sopraggiunta l’impossibilità totale della prestazione, ma aveva detratto l’“aliunde perceptum”, cioè le somme percepite da altra attività lavorativa, riducendo il risarcimento.
Il primo motivo di ricorso censura la violazione dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 23 del 2015, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha riconosciuto al lavoratore il diritto all’indennità minima pari a 5 mensilità, prevista in via inderogabile dalla norma.
Il ricorrente evidenzia che ha trovato nuova occupazione già nel mese successivo al licenziamento, circostanza che la Corte territoriale ha valorizzato ai fini della riduzione del risarcimento del danno per effetto dell’“aliunde perceptum”. Tuttavia, secondo il ricorrente, la sentenza non avrebbe potuto comprimere la misura minima risarcitoria prevista ex lege, alla quale egli conserva interesse proprio in virtù dell’immediata ricollocazione lavorativa.
Licenziamento in forma orale: cosa prevede il Jobs Act
L’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, rubricato “Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale” dispone che il giudice, quando accerta che un licenziamento è nullo perché discriminatorio, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel suo posto, a prescindere dalla motivazione formale del recesso.
Lo stesso regime si applica al licenziamento orale, ossia privo della forma scritta, dichiarato inefficace.
Se, dopo l’ordine di reintegrazione, il lavoratore non rientra in servizio entro 30 giorni dall’invito formale del datore, il rapporto di lavoro si intende risolto, salvo che il lavoratore chieda l’indennità sostitutiva forfettaria di 15 mensilità.
Il giudice, oltre alla reintegrazione, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, da calcolarsi:
- sulla base della retribuzione mensile lorda di riferimento per il TFR,
- per il periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione effettiva.
Da tale importo va detratto quanto il lavoratore ha eventualmente percepito da altre attività lavorative svolte nel frattempo (aliunde perceptum). Tuttavia, il risarcimento non può mai essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione, anche se il lavoratore ha trovato un nuovo lavoro subito dopo il licenziamento.
Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali e assistenziali relativi al medesimo periodo.
Il lavoratore ha facoltà di rinunciare alla reintegrazione, chiedendo invece un’indennità forfettaria di 15 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il TFR.
L’indennità:
- non è soggetta a contribuzione previdenziale;
- va richiesta entro 30 giorni dalla comunicazione dell’ordine del giudice o, se anteriore, dall’invito del datore a riprendere servizio;
- comporta la risoluzione definitiva del rapporto di lavoro.
Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale: articolo 2, D.Lgs. 23/2015
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Comma |
Regime sanzionatario |
Note |
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1 |
Reintegrazione |
Nei casi di:
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2 |
Risarcimento del danno |
È calcolato dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione effettiva |
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Detrazione dell’aliunde perceptum (compensi da altra attività nel periodo di estromissione) |
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Mai inferiore a 5 mensilità, anche se il lavoratore è stato rioccupato subito |
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3 |
Indennità sostitutiva della reintegrazione |
Facoltà del lavoratore di chiedere 15 mensilità (non assoggettate a contributi) |
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Va chiesta entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza o dell’invito a riprendere servizio |
Risarcimento minimo e “aliunde perceptum”
Con il primo motivo di ricorso il lavoratore contesta proprio la violazione dell’art. 2, comma 2 del D.Lgs. 23/2015 (cd. Jobs Act), nella parte in cui non era stata riconosciuta la soglia minima risarcitoria di 5 mensilità, nonostante il licenziamento fosse stato dichiarato inefficace.
La Corte di Cassazione ha accolto questo motivo, precisando che in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.
La Suprema Corte ha ribadito che il danno da licenziamento illegittimo in regime di tutele crescenti non può essere compresso sotto tale soglia minima, anche nel caso in cui il lavoratore abbia trovato un’altra occupazione prima del decorso dei cinque mesi.
L’“aliunde perceptum” (cioè quanto percepito dal lavoratore per altri impieghi) può essere detratto solo dalla parte del risarcimento che eccede le 5 mensilità, ma non incide sulla soglia minima garantita.
Questa interpretazione è coerente con precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 3205/1992 e n. 5645/1989).
La Corte di Cassazione ha pertanto cassato la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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