La Cassazione torna sui criteri per la genuinità degli appalti endoaziendali

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La Cassazione torna sui criteri per la genuinità degli appalti endoaziendali

Con la recente sentenza n. 3178 del 7 febbraio 2017 la Corte di Cassazione torna a occuparsi degli appalti endoaziendali, illustrando i criteri discretivi tra appalto di lavoro genuino e somministrazione illecita di manodopera.

Il fatto oggetto della controversia

La vicenda, da cui trae origine la pronuncia, si appunta sul processo di esternalizzazione, realizzato mediante contratto di appalto, concluso tra società operanti nel settore dei servizi di vigilanza e di antitaccheggio. Nello specifico, l’attività oggetto di appalto era quella di contazione valori.
Segnatamente con ricorso giurisdizionale un lavoratore dell’appaltatore ha chiesto l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’appaltante, sul presupposto di aver ricevuto da quest’ultimo, durante l’esecuzione dell’appalto, disposizioni di lavoro e specifiche direttive.
Nei primi due gradi di giudizio la controversia è stata decisa in senso favorevole al lavoratore. Da qui il ricorso per cassazione promosso dalla società appaltante, con il quale quest’ultima ha censurato la sentenza per avere ritenuto insussistente il potere direttivo e il rischio di impresa in capo all’appaltatore.

La motivazione della sentenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto le censure della committente e ha confermato la decisione di merito circa la non genuinità del contratto di appalto e la corretta costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore dell’appaltatrice e la società committente.
Nell’occasione la Suprema Corte ha evidenziato che, alla luce dell’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276/03, la differenza tra la somministrazione e l’appalto di lavoro risiede nell’effettivo esercizio del potere organizzativo della prestazione lavorativa e nell’organizzazione dei mezzi necessari all’impresa. L’assenza di tali parametri in capo all’appaltatore rimanda alla interposizione illecita di manodopera.
La verifica di tali presupposti costituisce un giudizio di fatto nell’ambito del quale assume valenza comprendere se:

  1. l’attività e le mansioni svolte dai dipendenti dell’appaltatore presso il committente siano o meno equipollenti a quelle svolte dai lavoratori di quest’ultimo;
  2. i mezzi per l’esecuzione dell’appalto siano appannaggio dell’appaltatore ovvero se la strumentazione all’uopo occorrente risulti di proprietà del committente;
  3. il personale dell’appaltatore sia stabilmente inserito nel ciclo produttivo del committente, ritenendo tale presupposto realizzato nell’ipotesi in cui l’appaltatore limiti la propria attività a gestire la turnazione e i ruoli dei lavoratori in base al monte ore prestabilito dall’appaltante.

Invero rileva la S.C. che la mera gestione amministrativa dei rapporti di lavoro da parte dell’appaltatore (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione, in tal senso anche cfr. Cass. sez. lav. n. 16788 del 21/7/2006) e persino l’esercizio del potere disciplinare da parte di quest’ultima deporrebbero nel senso della non genuinità del contratto di appalto, specie qualora il potere di organizzativo delle prestazioni sia concentrato in mano al committente.
La pronuncia, a ben vedere, si colloca lungo quel filone esegetico che saggia la genuinità del contratto di appalto valorizzando il criterio che verte sulle modalità di esercizio del potere direttivo e che nei processi di esternalizzazione, basati su un’alta intensità di lavoro, costituisce l’asse portante della verifica per l’interprete e quindi anche per gli ispettori del lavoro.

Gli appalti c.d. labour intensive

In tal contesto, si usa l’espressione di appalto endoaziendale perché il servizio dedotto in contratto, nell’appartenere al complessivo ciclo produttivo del committente, viene svolto nei locali dell’appaltante e insieme ai dipendenti di quest’ultimo. Lo schema riceve a volte la denominazione di appalto c.d. labour intensive per evidenziare che l’apporto di attrezzature e capitale da parte dell’appaltatore risulta marginale rispetto al prevalente impiego di prestazioni lavorative.
Al cospetto di tali appalti, il nodo che il personale ispettivo è tenuto a sciogliere è allora quello di verificare la portata del rischio di impresa e dell’organizzazione aziendale dell’appaltatore, onde salvaguardare il rispetto dell’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 273 cit..

Rischio di impresa e organizzazione aziendale

Il rischio di impresa e l’effettiva sussistenza di un’organizzazione aziendale sono requisiti connotati da circolarità o, se si preferisce, esprimono ciascuno i lati di una medesima medaglia.

Rischio di impresa

Il rischio di impresa, in particolare, denota l’assunzione, da parte dell’appaltatore, di una responsabilità anche patrimoniale correlata al contratto di appalto. In tale senso pare corretto osservare che la quantificazione del corrispettivo del contratto di appalto può essere considerata indice rilevante dell’assenza del rischio quando tale prezzo venga pattuito, non già ex ante, in maniera fissa, e sulla base del risultato da raggiungere, bensì in relazione al costo della manodopera sostenuto dall’appaltatore (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 29-09-2011, n. 19920).
Inoltre, nell’indirizzo recente espresso dalla S.C., l’assenza di rischio non sarebbe dimostrata dall’estraneità dell’oggetto dell’appalto rispetto alle attività normalmente fornite dall’appaltatore (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-04-2011, n. 7898), essendo invero decisiva la prova dell’esistenza di una reale struttura aziendale in grado di conformare le prestazioni lavorative dei dipendenti. In altre parole, i mezzi e gli strumenti utilizzati nell’appalto possono anche essere riferibili al committente, tuttavia l’apporto di quest’ultimo deve risultare in misura minima e non può stravolgere o pregiudicare la capacità organizzativa dell’appaltatore, espressa anche con il possesso di know how, software ed in genere beni immateriali (Cass. civ. Sez. lavoro, 31/12/1993, n. 13015).

Organizzazione aziendale

La capacità organizzativa dell’appaltatore esprime l’esercizio di un’attività di coordinamento tra diversi fattori della produzione (come il personale, gli impianti, le materie prime, le risorse finanziarie), in vista della realizzazione dell’opera e/o del servizio appaltati. L’opera o il servizio devono essere eseguiti da personale in possesso di specifica professionalità e secondo le direttive stabilite dall’appaltatore (cfr. Ministero del lavoro circolare n. 5 del 2011; in giurisprudenza cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 9288 del 9 maggio 2016; cfr. Trib. Firenze Sez. lavoro, 20/01/2016 analogamente cfr. T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 19/03/2015, n. 314), al quale compete, pertanto, la remunerazione dei propri dipendenti.
Appare allora corretto sostenere che il coordinamento si realizza quando le direttive e l’attività di controllo sul lavoro promanino dall’appaltatore. Non è così, invece, laddove il potere di controllo venga esercitato solo in via mediata dall’appaltatore, considerato quale referente finale di una contestazione inizialmente mossa in via diretta dal committente (spunti in tal senso Cass. Civ. Sez. Lav. 23522/2013).

Regime sanzionatorio amministrativo

Sul piano civile, l’art. 29 comma 3 bis del D.lgs. n. 276 cit., innovando rispetto al sistema previgente, ha rimesso al lavoratore la facoltà di chiedere giudizialmente la costituzione di un tale rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore.
Per quanto concerne invece il regime sanzionatorio amministrativo, l’art. 18 comma 5 bis del D.lgs. n. 276, cit. puniva, con ammenda proporzionale al numero dei lavoratori e alle giornate lavorative, chiunque avesse svolto attività non autorizzata di somministrazione di lavoro (somministratore e utilizzatore). Sennonché il D.lgs. n. 8/2016 ha depenalizzato il reato di somministrazione di manodopera non autorizzata, assoggettando però l’illecito de quo a sanzione amministrativa.
Il Ministero del Lavoro, con circolare n. 6 del 05/02/2016, ha fornito indicazioni operative per l’applicazione delle nuove disposizioni. Nell’occasione il Dicastero ha disposto che il regime intertemporale di cui agli artt. 8 e 9 del D.lgs. n. 8 cit. trova applicazione alle condotte illecite che siano iniziate e cessate prima del 06/02/2016, mentre diversamente deve essere applicato il regime sanzionatorio ordinario.
In merito alla quantificazione della sanzione, le modalità di calcolo sono disciplinate dagli artt. 1 e 6 del D.lgs. n. 6 cit., il cui portato applicativo è stato chiarito dal Ministero del Lavoro, sempre con circolare n. 6 cit.. Da segnalare che per gli illeciti commessi o cessati successivamente al 06/02/2016 le sanzioni sono state articolate in fasce, i cui importi conseguono a fattori moltiplicativi che si basano sul numero dei lavoratori coinvolti nell’appalto e sul tempo di durata dell’illecito commesso.
La novella ha comunque posto un limite sanzionatorio massimo nel senso che anche nelle ipotesi più gravi l’entità della sanzione non potrà mai essere superiore a €. 50.000 che ridotta ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/81 è pari a €. 16.666,67.

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