La Corte Ue boccia l’Italia in tema di inserimento lavorativo dei disabili

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La sentenza sulla causa C-312 emessa dalla Corte europea non lascia dubbi: l’Italia non ha recepito in modo corretto la direttiva 2000/78/Ce sulla parità di trattamento dei disabili in ambito lavorativo. Le norme sono parziali e incomplete con distinguo su datori di lavoro pubblici e privati.

Si tratta del passaggio della normativa italiana che esclude alcune categorie di datori.

La strada giusta è l’obbligo ai datori di lavoro di adottare provvedimenti efficaci e pratici per garantire ai disabili non solo l’accesso al lavoro, ma anche la possibilità di svolgerlo, di poter ottenere una promozione o di ricevere una formazione. E la sentenza è esplicita nell’indicare come ci si deve comportare, ossia provvedendo alla sistemazione dei locali, all'adattamento delle attrezzature ed al ripensamento dei carichi di lavoro.

L’unica deroga è quella della proprorzionalità, non potendosi imporre misure troppo gravose rispetto alle caratteristiche dell’azienda che assume.

Dunque, sono insufficienti: la legge 104/1992, che provvede all'inserimento lavorativo e all'integrazione sociale dei disabili senza impegnare le aziende ad adottare provvedimenti efficaci e pratici in funzione delle esigenze delle situazioni concrete; la legge 381/1991, sulle cooperative sociali; il TU sicurezza sul lavoro, che risulta incompleto; la legge 68/1999, relativa all’impiego di alcune categorie di disabili.
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