La diffida accertativa va adottata al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali

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Tizio formula una denuncia alla DTL competente rivendicando il mancato pagamento delle retribuzioni da parte del proprio datore di lavoro. Gli ispettori all’esito dell’accertamento constatano la fondatezza della denuncia e decidono di adottare il provvedimento di diffida accertativa. Tuttavia si pone il dilemma se la diffida debba essere emessa al netto o al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali. Come procedere?



Sebbene siano trascorsi più di dieci anni dall’entrata in vigore del D.lgs. n. 124/04, che ha disciplinato tra l’altro l’istituto della diffida accertativa, tutt’oggi si riscontra l’assenza di indicazioni operative sulle modalità di determinazione del credito patrimoniale del lavoratore, accertato all’esito del procedimento ispettivo. Con il presente contributo si cercherà pertanto di fornire un’opinione in merito, avvalendosi degli arresti giurisprudenziali formatisi sulla liquidazione dei crediti di lavoro.


La diffida accertativa: al netto o al lordo degli oneri fiscali e previdenziali?


L’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit. dispone testualmente che “qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti”. Alla luce di tale previsione normativa si può asserire che la diffida accertativa costituisce un provvedimento autoritativo a tutela di un credito di natura privatistica che può acquisire efficacia di titolo esecutivo, ove, nel termine perentorio di 30 giorni dalla notifica dell’atto, le parti non trovino, innanzi alla DTL, un’intesa conciliativa sul credito, ovvero nell’ipotesi in cui il datore di lavoro decida di non corrispondere affatto al lavoratore quanto diffidato dal personale ispettivo. In entrambe le ipotesi l’art. 12 comma III del D.lgs. n. 124 cit. prevede che la diffida accertativa “acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, con apposito provvedimento del Direttore della DTL”.

Tale procedura, senz’altro dettagliata e forse un po’ farraginosa, non chiarisce il significato da attribuire all’espressione “crediti patrimoniali in favore dei prestatori dei lavori”. Si tratta di comprendere se con tale sintagma il Legislatore abbia circoscritto il portato della diffida ai soli emolumenti retributivi che attengono cioè al rapporto di lavoro intercorrente tra datore di lavoro e lavoratore o piuttosto abbia voluto ricomprendere anche gli oneri che il datore di lavoro deve versare, in qualità di sostituto d’imposta all’erario o all’Istituto previdenziale. In sostanza il thema decidendum è: la diffida accertativa va adottata al netto o al lordo degli oneri previdenziali e fiscali?


L’orientamento della giurisprudenza sulla liquidazione dei crediti di lavoro

Considerata l’assenza di istruzioni operative, la questione può essere risolta richiamando il recente arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di accertamento e liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive, le somme oggetto di provvedimenti di condanna debbono essere conteggiate sia al lordo delle ritenute fiscali sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore. Per quanto concerne gli oneri contributivi la S.C. osserva che “al datore di lavoro è consentito procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo”. Mentre per ciò che riguarda le ritenute fiscali, queste ultime seguono il principio di cassa e conseguentemente dovranno essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che quest’ultimo abbia effettivamente percepito il pagamento delle spettanze retributive.


Gli interessi e la rivalutazione monetaria


Altro tema invece riguarda se la diffida accertativa debba comprendere o meno anche gli interessi e la rivalutazione monetaria.

Vale considerare che i crediti aventi ad oggetto una somma di denaro maturano interessi, a far data dal momento in cui gli stessi divengano liquidi e quindi certi nel loro ammontare o comunque determinabili in forza di una semplice operazione matematica e comunque esigibili perché scaduti. In tal senso, se alla scadenza del debito quest’ultimo non viene adempiuto, cominciano a decorrere gli interessi nella misura legale. Se poi il debito ha natura retributiva, nel senso che trova la propria causa in un rapporto di lavoro, allora al creditore deve essere riconosciuto anche il danno da svalutazione monetaria. Ciò è quanto dispone l’art. 429 c.p.c. comma III, a mente del quale “il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto”. Gli interessi devono essere calcolati sulla somma di denaro rivalutata, ciò in quanto il credito rivalutato rappresenta il valore reale del debito originario. Pertanto, su questa base devono essere quantificati gli interessi. Va da sé che il calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi debba essere effettuato sull’ammontare lordo del debito. Gli oneri fiscali e in parte previdenziali che gravano sulla retribuzione costituiscono un debito del lavoratore il cui adempimento viene curato, in qualità di sostituto d’imposta, dal datore di lavoro, con la conseguenza che l’inadempimento di quest’ultimo si ripercuote in negativo sulla posizione del lavoratore. Va da ultimo osservato che sebbene l’art. 429 comma III c.p.c. si riferisca ragionevolmente alle pronunce giurisdizionali, deve altrettanto plausibilmente ritenersi che il criterio da esso enunciato sia applicabile anche alla diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit.. La misura riparatoria infatti viene dettata in favore del lavoratore e del credito di lavoro indipendentemente dalla tipologia, amministrativa o giurisdizionale, del provvedimento che dispone l’adempimento dell’obbligazione. Conseguentemente, alla scadenza del debito retributivo non corrisposto, il lavoratore comincia a maturare, oltre agli interessi, anche la rivalutazione monetaria, calcolata sulla base dell’indice dei prezzi elaborato dall’Istat per la scala mobile per i lavoratori dell’industria. Interessi e rivalutazione debbono essere pertanto acclusi nella diffida accertativa.

Il caso concreto

Tizio ha formulato denuncia alla DTL competente rivendicando il mancato pagamento delle retribuzioni da parte del proprio datore di lavoro. Gli ispettori all’esito dell’accertamento hanno constatato la fondatezza della denuncia e hanno deciso di adottare il provvedimento di diffida accertativa. Si è così imposta la scelta se emanare l’atto al lordo o al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. L’orientamento della S.C. dovrebbe spingere gli ispettori a scegliere la seconda opzione. All’uopo sarebbe plausibile che la somma diffidata tenga altresì conto degli interessi e rivalutazione monetaria.


NOTE

i Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-09-2013, n. 21010; Cass. civ. n. 19790 del 28/09/2011, da ultimo sulla stessa linea cfr. Cass. civ. n. 3525 del 13/02/2013.

ii Cass. civ. 7 luglio 2008, n. 18584; Cass. civ. 11 febbraio 2011, n. 3375.

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