L’assunzione di alcol o droga può escludere l’assoggettabilità a sanzione?

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Caio amministratore unico di Beta cade obnubilato per l’abuso di alcol e droga e commette una serie di illeciti in materia lavoristica, che, riscontrati dagli ispettori della DTL, vengono puntualmente sanzionati. La DTL conclude il procedimento adottando il provvedimento di ordinanza ingiunzione, il quale viene opposto dal Caio che adduce a propria discolpa l’assenza di una effettiva capacità di discernimento causata dall’abuso delle predette sostanze. È fondata la censura di Caio?



Premessa

La minore età e l’infermità costituiscono causa di esclusione dell’imputabilità laddove il soggetto abbia commesso il fatto perché obnubilato dall’assunzione di sostanze alcoliche o da stupefacenti. In tale eventualità il codice penale prevede nei confronti dell’autore del fatto un trattamento differenziato in ragione delle cause poste alla base dell’assunzione di tali sostanze.

Imputabilità e colpevolezza nell’ubriaco o nel drogato

La tematica dell’assunzione di alcol o di stupefacenti pone un problema delicato, che riguarda il criterio posto alla base dell’accertamento della responsabilità nei confronti di colui che, a causa di tali sostanze, possiede capacità cognitive e intellettive significativamente ridotte se non proprie inconsistenti. Ci si chiede in sostanza se tale soggetto possa essere considerato imputabile e conseguentemente essere assoggettato a un giudizio di colpevolezza. Sicché, atteso il disposto di cui all’art. 2, comma 1, della L. n. 689/81, occorre applicare i criteri stabiliti dal codice penale per verificare l’imputabilità del trasgressore in funzione dell’accertamento della responsabilità amministrativa.

  1. Ubriachezza e intossicazione accidentali

    Gli artt. 91 e 93 del c.p. escludono l’imputabilità se rispettivamente l’ubriachezza o l’intossicazione di stupefacenti siano dovute a caso fortuito o forza maggiore. Si tratta di ipotesi che vengono tradizionalmente denominate ubriachezza o intossicazione accidentale, perché causalmente involontarie, cioè non dipendenti da colpa dell’autore del fatto. Pare evidente che la prova del caso fortuito o della forza maggiore nell’assunzione delle predette sostanze deve essere fornita in maniera rigorosa dall’autore del fatto. La ratio delle disposizioni è facilmente individuabile: colui che ha assunto sostanze alcoliche o stupefacenti non può addurre giustificazioni di sorta e se commette un illecito deve risponderne come se fosse pienamente capace di intendere e di volere.
  1. Ubriachezza e/o intossicazione volontaria e premeditata

L’imputabilità viene ritenuta altresì esistente anche nei confronti di colui che assume alcol o droga volontariamente e cioè con scienza e volontà, ovvero con premeditazione al fine di commettere un illecito. Trattasi in quest’ultimo caso, dell’actio libera in causa, così denominata perché il soggetto inizialmente ha la facoltà di scegliere se assumere o meno tali sostanze e, decidendo di ubriacarsi o drogarsi, realizza un’azione meritevole di rimprovero e di sottostare (ai sensi degli art. 92, comma 2, e 93 c.p.) anche a un aggravamento di pena, atteso che tale alterazione mentale è stata provocata proprio per violare il precetto normativo.
  1. Il regime previsto dalla L. n. 689 cit.

Nel regime delle sanzioni amministrative entrambe le fattispecie testé descritte sono riconducibili alla parte finale dell’art. 2, comma 1, della L. n. 689 cit. che considera imputabili e quindi sottoponibili a sanzione coloro la cui capacità di intendere e di volere sia stata menomata per fatti addebitabili a colpa ovvero a scelta premeditata.

L’orientamento della giurisprudenza sull’accertamento della responsabilità colpevole

Premessa l’imputabilità del soggetto che abbia assunto alcol o droga, la giurisprudenza ritiene che il giudizio di colpevolezza debba essere formulato secondo i normali criteri d’individuazione dell’elemento psicologico del reato e ciò anche laddove tali sostanze siano state assunte dal soggetto volontariamente ovvero con premeditazione. Ne segue che la colpevolezza va valutata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43 c.p. “[…] attraverso l’indagine sull’atteggiamento psicologico tenuto dall’agente al momento della commissione del fatto imputato”.

Spunti riflessivi

Sennonché sorge spontanea la domanda: come è possibile accertare la colpa o il dolo nei confronti di un soggetto che, nel momento del fatto, non era in possesso delle proprie facoltà cognitive e intellettive perché ottenebrato dagli effetti dell’alcol o dalle sostanze stupefacenti? La soluzione difficilmente si concilia con il principio di colpevolezza e trova semmai spiegazione sul piano della prevenzione generale, volta come tale a scoraggiare la commissione di illeciti. L’accertamento della colpevolezza nei confronti dell’ubriaco o dell’intossicato sottende in verità un’ipotesi di responsabilità oggettiva occulta che, se risulta difficilmente giustificabile in sede penale, ove la colpevolezza informa la struttura del reato, lo diviene maggiormente nel regime delle sanzioni amministrative. In siffatta sede sono necessarie, e al tempo stesso sufficienti, la coscienza e la volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa. Sul punto vale infatti richiamare la recente giurisprudenza delle SS.UU., che negli illeciti di mera trasgressione, come sono per l’appunto quelli di natura amministrativa, considera “[…] impossibile individuare, sul piano funzionale, un’intenzione o una negligenza nell’azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell’atteggiamento interiore: l’azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la c.d. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa”.

L’intossicazione cronica esclude l’imputabilità

Se l’autore del fatto è ritenuto normativamente imputabile e quindi sottoponibile a giudizio di colpevolezza, qualora si sia ubriacato o intossicato con colpa o in modo volontario o premeditato, tale valutazione non appare appagante laddove lo status di alterazione psicofisica assuma connotati di gravità tali da sfociare in un’infermità mentale. Invero l’art. 95 del c.p. stabilisce che “per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89” c.p., che disciplinano, per l’appunto, l’esclusione dell’imputabilità per vizio totale o parziale di mente.

Diviene allora rilevante stabilire quando l’intossicazione è transitoria o abituale e quando invece si cronicizza. Infatti mentre l’intossicazione derivante da un uso abituale di sostanze stupefacenti, disciplinata dall’art. 94, comma 3, c.p., non esclude l’imputabilità, anzi determina un aggravamento di pena, l’intossicazione cronica prevista dall’art. 95 c.p. esclude l’imputabilità.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 114/98

La Corte Costituzionale, in tempi non recenti, ha precisato che la distinzione, benché di difficile identificazione sotto il profilo medico-legale, è alquanto chiara da un punto di vista concettuale perché è fondata sul riscontro della permanenza ed irreversibilità o comunque della non transitorietà dello stato di dipendenza dall’alcol o dalla droga. Sicché, per poter correttamente invocare lo stato di intossicazione cronica, ai fini dell’esclusione dell’imputabilità, “[…] occorre un’alterazione non transitoria dell’equilibrio biochimico del soggetto tale da determinare un vero e proprio stato patologico dell’imputato e, dunque, una corrispondente e non transitoria alterazione dei processi intellettivi e volitivi”.

La giurisprudenza successiva si è uniformata a tale assunto e ha stabilito in più di un’occasione “affinché si possa ritenere esclusa o diminuita la imputabilità dell’agente, l’intossicazione da sostanze stupefacenti deve essere caratterizzata dalla permanenza e dall’irreversibilità e, cioè, da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell’assunzione o meno di sostanze stupefacenti, condizioni che, in ogni caso, debbono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto-reato è stato commesso”. Se ne deduce pertanto che l’intossicazione da alcol o da sostanza stupefacente deve essere stabile e produrre una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un’azione strettamente collegata all’assunzione di alcol o droga. In tal caso l’infermità mentale prodotta dall’uso di alcol o sostanze stupefacenti deve emergere da gravi e fondati indizi sul presupposto che il mero stato di tossicodipendenza da alcol o droga non costituisce, di per sé, indizio di malattia mentale o di alterazione psichica. In base a tali premesse è possibile affrontare il caso di specie.

Il caso concreto

Caio amministratore unico di Beta ha abusato di alcol e droga e, obnubilato da tale sostanze, ha commesso una serie di illeciti in materia lavoristica che sono stati riscontrati dagli ispettori della DTL e sono stati puntualmente sanzionati. La DTL ha concluso il procedimento adottando un provvedimento di ordinanza ingiunzione, il quale è stato opposto dal Caio che ha addotto a propria discolpa l’assenza di imputabilità causata dall’abuso delle predette sostanze. Tale circostanza pare agli scriventi di per sé ininfluente ai fini dell’esclusione dell’imputabilità, perché l’intossicazione transitoria anche se acuta e patologica, non determina un’irreversibile patologia a livello cerebrale. Altra questione sarebbe invece quella in cui Caio riuscisse a dimostrare, se del caso allegando idonea documentazione medica, che l’assunzione di droga è pervenuta a un tale stato e grado da determinare un’autentica affezione cerebrale o una permanente alterazione psichica, così da sfociare in un’infermità mentale. Solo in tale caso pare ipotizzabile invocare l’art. 2 della L. n. 689 cit. per ottenere conseguentemente in giudizio la caducazione dell’ordinanza ingiunzione.

NOTE

iCass. pen. Sez. VI, 17/07/2012, n. 35543.

ii Cass. pen., 23/04/1986.

iii Cass. pen. Sez. I, 17/12/2012, n. 5175; Cass. pen. Sez. I Sent., 09/10/2008, n. 39957.

iv Cass. pen. Sez. I Sent., 28-09-2007, n. 42387; Cass. pen. Sez. VI Sent., 22-05-2008, n. 38513; Cass. pen. Sez. V, 27/05/2003, n. 28936; datata, ma di medesimo tenore, cfr. Cass. pen., 30/04/1990.

v Corte Cost., 24-03-1988, n. 364.

vi Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 30-09-2009, n. 20933.

vii Cfr. per spunti critici, il caso pratico de "L'Ispezione del Lavoro" del 29 novembre 2013, "Lo stato di depressione causata da crisi economica esclude l'eventuale sanzione amministrativa?”.

viii Corte cost., 16-04-1998, n. 114.

ix Corte cost., 16-04-1998, n. 114.

x Cass. pen. Sez. V, 29/10/2002, n. 7363; più recentemente Cass. pen. Sez. III Sent., 08/05/2007, n. 35872; nella giurisprudenza di merito cfr. App. Milano Sez. II, 13/10/2005; App. Catanzaro Sez. I, 05/11/2009.

xi Cass. pen. Sez. VI, 16/12/2002, n. 1775; Cass. pen. Sez. VI, 22/12/1998, n. 7885; App. Napoli Sez. VI, 21/09/2012.


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