Lavoro nero regolarizzato con contratto a termine: beneficio o elusione?

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Lavoro nero regolarizzato con contratto a termine: beneficio o elusione?

La regolarizzazione del lavoratore in nero può avvenire anche con contratto a termine di durata non inferiore a tre mesi. È questa una delle novità più significative introdotte dal D.lgs. n. 151/15. La novella, sebbene ispirata da finalità antielusive, rischia però di collidere con la disciplina dettata in materia di contratti a termine.

L’intento antielusivo del Legislatore

Procedendo con ordine: spesso si verifica l’ipotesi in cui il rapporto di lavoro in nero, ove riscontrato dal personale ispettivo, viene comunicato dal datore di lavoro al Servizio per l’Impiego con la forma dell’assunzione mediante contratto a tempo indeterminato. Succede però che tale rapporto viene risolto non appena il datore di lavoro riceve la notifica del verbale conclusivo degli accertamenti.

Per aggirare tale procedura, il Legislatore della riforma ha previsto che l’illecito di occupazione in nero di manodopera possa beneficiare della misura premiale della diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124, a condizione che il rapporto di lavoro regolarizzato perduri nel tempo per un periodo non inferiore a tre mesi. Tale regolarizzazione, secondo quanto disposto dall’art. 22, comma 1 del D.lgs. n. 151/15, può essere effettuata anche con la stipula di un contratto di lavoro a termine.

La disciplina de qua sembra pertanto ammettere che il termine di durata del contratto possa essere apposto in un momento successivo alla nascita del rapporto di lavoro, ovvero all’inizio della prestazione lavorativa, originariamente cominciata “in nero”.

Tale impostazione sottende un difetto di coerenza sistematica.

Il contratto a tempo determinato come deroga al principio generale

L’art. 1 del D.lgs. n. 81/15, prevede che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. Tale negozio assume valenza centrale in quella che ormai è divenuta una dimensione pluralistica del diritto del lavoro. Quest’ultimo, infatti, risulta contrassegnato da molteplici forme contrattuali subordinate, speciali o flessibili, che si affiancano e che derogano allo schema classico del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Una variante del contratto a tempo indeterminato è per l’appunto costituita dal contratto a tempo determinato, la cui disciplina presenta indubbi caratteri di specialità, a cominciare dalla forma di conclusione del negozio. Infatti, mentre per la conclusione del contratto a tempo indeterminato è prevista la forma libera, l’art. 19, comma 4 del D.lgs. n. 81 cit. dispone che il termine apposto al contratto, ove quest’ultimo abbia durata superiore a 12 giorni, debba risultare per atto scritto a pena di inefficacia.

Quanto alle conseguenze per l’inosservanza della forma prescritta, l’orientamento giurisprudenziale dominante (formatosi in pendenza del D.lgs. n. 368/01, ma applicabile, stante l’identità di disciplina, anche sotto il regime del D.lgs. n. 81 cit.) ritiene che“[…] in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine, ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola, pur se eventualmente dichiarata essenziale, e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato” (cfr. per tutte Cass. civ. Sez. lavoro, 27/03/2014, n. 7244).

Il termine come garanzia per la disciplina dei licenziamenti

La ratio della previsione di cui all’art. 19, comma 4 del D.lgs. n. 81 cit. si rinviene non solo e non tanto nell’opportunità di richiamare l’attenzione del lavoratore circa la natura temporanea del rapporto di lavoro, quanto soprattutto sulla finalità di evitare forme di elusione alla disciplina dei licenziamenti.

Infatti, l’apposizione del termine al contratto di lavoro – poiché ipotesi derogatoria al principio generale di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 81 cit. - è predicabile solo nella fase genetica del negozio, giacché diversamente si legittimerebbe una trasformazione inversa del rapporto, da tempo indeterminato a tempo determinato; trasformazione che renderebbe inapplicabile, in corso di esecuzione del contratto, la disciplina dettata in materia di licenziamenti. Proprio a garanzia di ciò, il Legislatore ha prescritto che il termine di durata del rapporto di lavoro debba essere formalizzato per iscritto, all’atto della stipula del contratto.

La disciplina non muta nell’ipotesi in cui l’occupazione del lavoratore avvenga in violazione della normativa sul lavoro sommerso.

Il rapporto di lavoro in nero

Il rapporto di lavoro viene definito “in nero” perché la sua esistenza non è conosciuta alla Pubblica Amministrazione e tale circostanza espone ancor più il lavoratore a forme di sfruttamento ingiustificate. Ciò spiega il trattamento di disfavore che l’ordinamento riserva a tale fattispecie, la cui repressione viene infatti perseguita mediante la previsione di severe sanzioni amministrative. Tuttavia, per il diritto del lavoro il rapporto di lavoro in nero è e rimane un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che trova il proprio titolo in un accordo, ordinariamente carente del requisito formale del termine. Nulla esclude, secondo tale prospettiva, che le parti possano omettere di comunicare il rapporto di lavoro alla Pubblica Amministrazione, ma, al tempo stesso, formalizzare l’accordo per iscritto apponendo un termine di durata al contratto. In tale evenienza, si sarebbe al cospetto di un rapporto di lavoro in nero (perché sconosciuto alla P.A.), ma a termine, atteso il rispetto del requisito formale previsto dall’art. 19, comma 4 del D.lgs. n. 81 cit..

Lavoro in nero e successiva regolarizzazione con contratto a termine

Tali premesse consentono di risolvere la potenziale antinomia corrente tra l’art. 22, comma 1 del D.lgs. n. 151 cit. e l’art. 19, comma 4 del D.lgs. n. 81 cit..

Come testé accennato, l’art. 22, comma 1 del D.lgs. n. 151 cit., nel legittimare la regolarizzazione del lavoratore in nero con contratto a termine sembra consentire, durante la fase esecutiva della prestazione, una trasformazione inversa del rapporto di lavoro: da tempo indeterminato a tempo determinato. L’aspetto curioso è che tale trasformazione troverebbe l’avallo della Pubblica Amministrazione, perché ammessa da quest’ultima mediante provvedimento di diffida, ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit.

Orbene, se è vero che tale regolarizzazione garantirebbe al lavoratore una maggiore protezione sociale e normativa, è altrettanto vero che il beneficio de quo priverebbe il dipendente, in via sopravvenuta, della facoltà di invocare l’applicazione della disciplina dettata in materia di licenziamenti, stante l’apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro, originariamente sorto a tempo indeterminato.

Per corollario, il lavoratore c.d. regolarizzato riceverebbe un trattamento disomogeneo e meno favorevole rispetto a quello riconosciuto ai lavoratori occupati regolarmente o irregolarmente a tempo indeterminato, per i quali invero è garantita l’applicazione della disciplina in materia di licenziamenti.

Sicché, stante l’assenza, per il momento, di istruzioni ministeriali e nel tentativo di dare coerenza sistematica alla complessiva disciplina, si ritiene che la regolarizzazione del lavoratore occupato in nero mediante contratto a termine di durata non inferiore a tre mesi, previa diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., sia praticabile nella rara ipotesi in cui le parti abbiano omesso di comunicare il rapporto di lavoro al Servizio per l’Impiego, ma, all’atto di conclusione dell’accordo, abbiano però formalizzato per atto scritto, recante data certa ex art. 2704 c.c., il termine di durata del rapporto medesimo.

In altre parole, salva l’ipotesi del rapporto di lavoro di durata inferiore a tre mesi (quindi comprensivo anche dei contratti a termine di durata inferiore a 12 giorni), per il quale non è comunque ammessa la possibilità di avvalersi della procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., quest’ultima potrà essere adottata, onde consentire la regolarizzazione con contratto a termine, laddove dalle risultanze istruttorie emerga che:

  • l’accordo per iscritto sia stato stipulato dalle parti anteriormente all’inizio della prestazione di lavoro (necessariamente prima dell’accesso ispettivo);

  • il termine di durata del rapporto sia stato convenuto in un periodo non inferiore a tre mesi.

In carenza di tali elementi, si ritiene che la regolarizzazione del lavoratore in nero possa essere effettuata con diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit. solo mediante un contratto a tempo indeterminato.

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