Lettera di impugnazione del licenziamento, possibile l’esibizione dopo il ricorso

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Lettera di impugnazione del licenziamento, possibile l’esibizione dopo il ricorso

Nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di termini di produzione in giudizio della lettera di impugnazione del licenziamento. Applicando in maniera estremamente estensiva alcuni principi ormai noti e pacifici alla dottrina, i giudici della Suprema Corte, con la sentenza n. 25346 del 9 ottobre 2019, hanno stabilito che il lavoratore può produrre la lettera di impugnazione stragiudiziale del recesso anche in una fase successiva alla presentazione del ricorso, qualora quest’ultimo intenda agire in giudizio contro il provvedimento espulsivo adottato dal datore di lavoro nei suoi confronti.

Lettera di impugnazione licenziamento, la vicenda

Il lavoratore, nella vicenda in esame, si opponeva al licenziamento intimato nei suoi confronti, non allegando, però, nella prima fase del ricorso introduttivo del giudizio, la lettera di impugnazione stragiudiziale del licenziamento.

Nonostante il datore di lavoro abbia eccepito l’intervenuta decadenza dal diritto di impugnare il recesso, tale eccezione è stata tuttavia superata grazie all’intervento del giudice di primo grado, ammettendo la produzione tardiva della lettera.

Lettera di impugnazione licenziamento, la Cassazione

I giudici della Corte di Cassazione sposano la pronuncia dei giudici di primo e secondo grado di giudizio. Sul punto, gli ermellini ricordano che - seppur nel rito del lavoro l’omesso deposito di un documento contestualmente all’atto introduttivo del giudizio determina la decadenza dal diritto alla produzione – esistono comunque delle eccezioni ben precise previste dalla legge.

In tal caso, affermano i giudici di legittimità, esistono due deroghe:

  • nel caso in cui la produzione tardiva sia giustificata dal tempo di formazione del documento;
  • qualora la produzione tardiva sia resa necessaria dall’evolversi della vicenda processuale successivamente alla presentazione del ricorso.

In conclusione, sottolinea la Cassazione, tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato all’esigenza di ricerca della “verità materiale”, cui è funzionale il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ove indispensabili ai fini della decisione della causa.

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