Non deducibili i costi aziendali derivanti da una lettera d’intenti senza la valida documentazione

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Il tema delle operazioni inesistenti e della idonea documentazione necessaria per far considerare il costo realmente sostenuto dall’impresa è stato oggetto di analisi da parte della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 3220 depositata l’11 febbraio 2011.

Il caso riguarda una società che ha presentato ricorso, impugnando il recupero a tassazione dell’Iva, dal momento che l’ufficio delle imposte non aveva riconosciuto l’esistenza di tali costi sulla base di una lettera d’intenti che la società contribuente aveva concluso con un’altra impresa cliente, qualche anno prima, e con la quale veniva riconosciuto un compenso mensile.

Tale circostanza aveva fatto scattare l’accertamento fiscale da parte dell’ufficio del Fisco, avvalorato, prima, dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli e, poi, dalla Commissione regionale della Campania.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 3220, respinge definitivamente il ricorso e dichiara non provata la deducibilità dei costi per l’assenza di una documentazione riguardante l’esito dell’attività di riscossione o lettere di messa in mora o, ancora, solleciti. Inoltre, gli stretti rapporti familiari intercorrenti tra i rappresentanti legali delle due società e la mancanza della documentazione, anche generica, sull’attività svolta dal fornitore di servizi portano a considerare la lettera di intenti come un rimedio teso a far apparire costi in realtà inesistenti.
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  • ItaliaOggi, p. 26 - Lettera di intenti, costi indeducibili - Alberici

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