Nuovi voucher, ma vecchie e più annose criticità

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Nuovi voucher, ma vecchie e più annose criticità

L’antefatto

All’esito di proposte e serrate discussioni sulla necessità di contrastare l’abuso delle prestazioni accessorie, che ha contrassegnato il mercato del lavoro italiano nell’ultimo periodo, il Governo, nell’approvare lo schema di decreto legislativo sulle modifiche da apportare al D.lgs. n. 81/15 (di seguito per brevità: correttivo), ha scelto di adottare una soluzione mite e non omogenea, che desta non poche perplessità e che lascia ancora molti spazi a un utilizzo non ortodosso di tali forme di impiego.
Va sin da subito messo in evidenza che le modifiche apportate dal correttivo all’art. 49 del D.lgs. n. 81/15 sono entrate in vigore l’8 ottobre 2016. Pertanto da tale data i committenti che intendano occupare lavoratori mediante voucher sono tenuti a osservare gli adempimenti previsti dalla novella normativa.
Per quanto riguarda i contenuti del correttivo non è un mistero che da più parti, e persino dallo stesso presidente della Commissione lavoro alla Camera dei deputati, era stata suggerita una soluzione di rigore, volta non solo a rendere tracciabili le singole prestazioni occasionali, ma anche a limitarne l’impiego per settori merceologici. Tra le proposte al vaglio del Governo vi era anche quella di non consentire ai committenti l’utilizzo dei voucher per mansioni in cui, indipendentemente dal settore di inquadramento dell’azienda o del privato, il tasso di rischio applicato dall’INAIL alla prestazione fosse superiore a una certa soglia percentuale. Quest’ultima tesi, che appariva la più persuasiva, e che avrebbe senz’altro coniugato i buoni con il concetto di accessorietà, non è passata, e l’Esecutivo ha preferito virare su una metodologia che, non ricalca, ma assomiglia a quella prevista per il lavoro intermittente.

Il nuovo art. 49 comma 3 del D.lgs. n. 81 cit.

Il decreto legislativo n. 185/2016 prevede all’art. 1 comma 1 lett. b) la modifica dell’art. 49 comma 3 del D.lgs. n. 81 cit. e pertanto che “i committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione”.

I soggetti destinatari dell’obbligo di comunicazione

Salva l’apposita disciplina prevista per gli imprenditori agricoli, di cui si tratterà a breve, la modifica pone subito la questione se nel raggio applicativo della norma rientrino o meno anche i soggetti privati non imprenditori o professionisti. Il tenore letterale della previsione appare abbastanza eloquente per fornire una risposta negativa, atteso che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Pertanto, il committente privato che decida di utilizzare i buoni lavoro per remunerare la prestazione accessoria resa da un lavoratore non è tenuto a eseguire la comunicazione preventiva all’Ispettorato (es. per attività domestiche o di giardinaggio).

Il contenuto della comunicazione

Per quanto riguarda il contenuto dell’adempimento, si evidenzia che la comunicazione dovrà essere inviata dal committente, all’Ispettorato territoriale del lavoro, mediante uno dei canali previsti dalla norma: sms o posta elettronica. Essenziale è che la comunicazione venga inviata 60 minuti prima della prestazione e che contenga i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione. Alla base della modifica traspare l’esigenza di correlare ogni singola prestazione ad un’apposita comunicazione. Ciò si desume chiaramente dal tenore letterale della norma e dall’eliminazione dell’inciso relativo all’arco di durata di validità della comunicazione, allo stato attuale contenuto in trenta giorni.

Il regime sanzionatorio

Il tema più scottante riguarda il regime sanzionatorio applicabile all’ipotesi in cui il committente ometta di effettuare la comunicazione, ovvero effettui quest’ultima prima della prestazione lavorativa, ma senza rispettare il termine di 60 minuti.
a) La comunicazione inviata oltre i 60 minuti, ma prima dell’inizio della prestazione
Riguardo a quest’ultimo profilo si ritiene che la comunicazione inoltrata dal committente senza rispettare il termine di 60 minuti ma comunque prima dell’inizio della prestazione costituisca una violazione punibile, senza procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., con la sanzione di €. 800,00 pari al doppio del minimo dell’importo edittale prevista dal  decreto correttivo n. 185 cit.. Il problema principale in tal caso è rappresento dal criterio per determinare l’orario di inizio della prestazione. L’auspicio, in maniera sarcastica, è che il personale ispettivo sincronizzi i propri orologi con il meridiano di Greenwich!
b) L’omesso invio della comunicazione
Ma la questione più complessa riguarda le conseguenze applicabili per l’ipotesi in cui la comunicazione venga del tutto omessa.
La disposizione del correttivo prevede che “in caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da euro 400 ad euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124”.
Poiché non si riviene più il riferimento alle trenta giornate, quale termine di validità della comunicazione e dei buoni, sembra ipotizzabile che per ogni comunicazione omessa il committente debba essere assoggettato a una sanzione. Infatti, atteso il divieto di analogia che connota il regime normativo di cui alla L. n. 689 cit. (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/01/2012, n. 1105; Cons. Stato Sez. VI, 20/09/2012, n. 4992), non pare applicabile la soglia dei trenta giorni prevista dall’art. 15 del D.lgs. n. 81 cit. in materia di lavoro intermittente (cfr. circolare Ministero del Lavoro prot. n. 37/0007258 del 22/04/2013).
Il correttivo al lavoro accessorio sembra così aver configurato un regime sanzionatorio basato sul principio di matrice penale: tot crimina tot poenae, in cui il trasgressore viene punito con tante sanzioni rispetto a quanti sono gli illeciti omissivi da costui commessi. La conseguenza è che in certe ipotesi il lavoro accessorio potrebbe risultare sottoposto a un regime sanzionatorio di gran lunga più severo rispetto a quello applicato al lavoro nero.
Esemplificando, un datore di lavoro che si avvalga di manodopera in nero, per un lasso temporale contenuto in trenta giornate, verrebbe sottoposto, peraltro mediante diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., a una sanzione di importo pari a €. 1.500,00, al più raddoppiabile a €. 3.000,00, nel caso in cui il predetto non ottemperi alla diffida.
Si faccia invece il caso del committente che, nell’arco di trenta giorni, comunichi in maniera saltuaria la prestazione del lavoratore, a fronte di un’attività di lavoro, svolta da costui, senza soluzione di continuità. In tale evenienza il personale ispettivo, proprio in considerazione del divieto di applicazione analogica della disciplina di cui all’art. 15 del D.lgs. n. 81 cit., dovrebbe irrogare, peraltro senza procedura di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., tante sanzioni quanti sono i giorni di lavoro non comunicati, ma effettivamente svolti dal prestatore. Un importo quindi che risulterebbe senz’altro superiore alle €. 1.500,00 previste per il lavoro nero.
D’altro canto, l’eliminazione del termine di validità della comunicazione contenuto in trenta giorni, consentirebbe al committente malizioso di inviare all’Ispettorato una mail carente del termine finale della prestazione ovvero che indichi un termine assai diluito nel tempo onde precludere, in sede di verifica ispettiva, l’eventuale applicazione della sanzione in materia di lavoro sommerso.
Se tale sistema sanzionatorio dovesse trovare riscontro nella prassi amministrativa non si nasconde che la scelta del Legislatore desterebbe non poche perplessità.
c) Sanzione per lavoro nero o sanzione per omessa comunicazione?
Dubbi di ragionevolezza peraltro che non si sopiscono, ma che, anzi, aumentano proprio laddove si sposti l’attenzione sulla scelta del regime sanzionatorio applicabile nei confronti di un rapporto di lavoro comunque non comunicato. In altre parole, il non aver previsto, come per il lavoro intermittente, una comunicazione iniziale propedeutica in cui canalizzare poi le specifiche comunicazioni per le singole prestazioni accessorie, pone un nodo gordiano.
Il caso esemplificativo è quello in cui gli ispettori, il giorno dell’accesso in azienda, riscontrino la presenza al lavoro di personale in carenza di copertura previdenziale e assicurativa. In tale evenienza l’illecito deve essere sottoposto al regime sanzionatorio previsto per il lavoro nero o a quello contemplato per lavoro accessorio non comunicato? Stando alle istruzioni diramate dal Ministero del Lavoro con circolare n. 38 del 2010 sembra che tale situazione fattuale sia sussumibile tanto nella fattispecie punita con maxisanzione, quanto in quella sanzionata dal novellato art. 49 del D.lgs. n. 81 cit..
L’interrogativo, in attesa di chiarimenti ministeriali, resta per ora senza risposta, a meno che si opti per una soluzione che prediliga l’applicazione della sanzione prevista per il lavoro accessorio, aderendo al principio lex posteriori derogat priori.

Le comunicazioni in agricoltura

Venendo, infine, ai committenti imprenditori agricoli, per questi ultimi il correttivo ha esteso l’obbligo di eseguire la comunicazione con le medesime modalità previste per gli imprenditori non agricoli e professionisti. Tuttavia, aspetto non secondario, è che la validità della comunicazione per gli imprenditori agricoli è stata contenuta in un arco temporale non superiore a tre giorni. Non è facile comprendere perché per gli imprenditori agricoli sia stata previsto un termine di validità della comunicazione, che, invece, è stato soppresso per gli altri imprenditori. Forse, se il Governo lo avesse configurato come requisito generale, avrebbe fornito un quadro normativo, che nella sua “drammatica” complessità, sarebbe risultato più intellegibile e avrebbe fornito un aiuto agli addetti della materia, i quali, anche questa volta, dovranno affidarsi alla autorevole opera di discernimento del Ministero del Lavoro, rectius, del nuovo Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.

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