Scelte gestionali a discrezione dell’imprenditore
Pubblicato il 28 marzo 2018
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L’amministratore di una società non può essere condannato al risarcimento dei danni a fronte della generica contestazione di aver posto in essere una gestione priva di un’adeguata programmazione economico-finanziaria.
Niente responsabilità per scelte inopportune
In particolare, secondo la Cassazione, all’amministratore societario non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte economiche inopportune.
Una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.
Eventuale giudizio solo su diligenza e omissione nelle verifiche
Conseguentemente, il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può investire le scelte gestionali o le modalità e circostanze di tali scelte ma, eventualmente, solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e l’eventuale omissione delle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per la scelta operata in quelle circostanze e con quelle modalità.
Cassazione: no a valutazioni generiche
Così la Corte di cassazione, Prima sezione civile, nella sentenza n. 7545 del 27 marzo 2018, con cui è stato accolto il motivo di doglianza sollevato dall’amministratore di una Srl contro la decisione di merito che lo aveva ritenuto corresponsabile, insieme agli altri amministratori, del dissesto finanziario della medesima.
Il ricorrente si era opposto all’affermazione della sua responsabilità per i danni attribuitigli, sull’assunto che tali danni non risultavano conseguenza di condotte dallo stesso poste in essere nel quadro di applicazione della regola generale stabilita dall’articolo 1223 del Codice civile secondo cui “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
Doglianza, questa, ritenuta fondata dagli Ermellini, secondo i quali la decisione impugnata aveva posto in essere una valutazione del tutto generica e scollegata da qualunque scrutinio dei dati istruttori disponibili, laddove aveva solo affermato, senza aggiungere altro, che la gestione non era stata caratterizzata da un’adeguata programmazione economico-finanziaria.
La valutazione operata in sede di merito – ha concluso, in definitiva, la Corte – si risolve in un’elusione dei principi ricordati e, conseguentemente, in una violazione di legge.
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