TAR Lazio: legittimo il nuovo Codice deontologico dei commercialisti
Pubblicato il 14 luglio 2025
In questo articolo:
- Il TAR Lazio conferma il Codice deontologico dei commercialisti
- Il contenuto del ricorso
- Le motivazioni del TAR
- Competenza del CNDCEC in materia regolamentare
- Divieto di pubblicità telematica non richiesta
- Legittime le restrizioni sul contenuto delle informazioni pubblicitarie
- Estensione del dovere deontologico fuori dell’attività professionale
- Trasparenza e partecipazione nella fase di consultazione
- Legittimità delle sanzioni disciplinari
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Il TAR Lazio conferma la legittimità del nuovo Codice Deontologico dei Commercialisti.
Respinto il ricorso dell’Associazione Nazionale Commercialisti: chiariti i limiti alla pubblicità e alla comunicazione professionale.
Il TAR Lazio conferma il Codice deontologico dei commercialisti
Con la sentenza n. 13710, pubblicata l'11 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Quinta Bis – ha respinto il ricorso presentato dall’Associazione Nazionale Commercialisti (ANC) e da una pluralità di iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
L’impugnazione riguardava il nuovo Codice deontologico della professione, approvato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), unitamente al regolamento aggiornato in materia disciplinare.
Il contenuto del ricorso
Il ricorso aveva ad oggetto, in particolare, la delibera adottata dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili nella seduta del 21 marzo 2024, di approvazione del nuovo Codice deontologico della professione.
Oggetto di impugnazione erano inoltre:
- l’informativa n. 22 del 26 febbraio 2024, riguardante l’avvio della consultazione pubblica sulla proposta di nuovo Codice;
- l’informativa n. 36 del 25 marzo 2024, con cui è stata comunicata l’approvazione definitiva del testo;
- il regolamento recante il Codice delle sanzioni disciplinari, così come aggiornato nella seduta del 17 aprile 2024.
I motivi alla base dell'impugnazione
Tra le principali censure sollevate, i ricorrenti contestavano, in primo luogo, la violazione della direttiva 2006/123/CE, nota anche come direttiva “Bolkestein”, ritenendo che il nuovo Codice deontologico introducesse un divieto assoluto di invio di comunicazioni telematiche a potenziali clienti, in contrasto con i principi europei sulla libera prestazione dei servizi.
Veniva inoltre denunciato un eccesso di potere da parte del Consiglio Nazionale, in quanto le modalità di adozione del nuovo Codice sarebbero risultate lesive dei principi di trasparenza e concorrenza.
I ricorrenti lamentavano, infine, l’indeterminatezza di alcune disposizioni deontologiche e la sproporzione delle sanzioni disciplinari previste, ritenute eccessive rispetto alla gravità delle condotte sanzionabili.
Le motivazioni del TAR
Il TAR ha ritenuto infondati nel merito tutti i motivi di impugnazione, affermando il pieno rispetto dei principi europei e nazionali da parte del CNDCEC.
Competenza del CNDCEC in materia regolamentare
Il Tribunale amministrativo ha innanzitutto ribadito che il Consiglio Nazionale esercita un potere regolamentare riconosciuto dalla legge, che lo legittima ad adottare e aggiornare il Codice deontologico della professione e a disciplinare l’esercizio delle funzioni disciplinari.
In questo contesto, le scelte normative adottate non sono state ritenute affette da vizi di manifesta irragionevolezza, sproporzionalità o illogicità.
Divieto di pubblicità telematica non richiesta
Il TAR ha quindi escluso che il divieto previsto dall’art. 44, comma 2, del nuovo Codice deontologico configuri un divieto assoluto di comunicazione commerciale, rilevando invece che si tratta di una limitazione parziale e circoscritta alle sole comunicazioni telematiche e digitali rivolte a potenziali clienti non consenzienti.
Tale restrizione, secondo il giudice amministrativo, trova giustificazione in motivi imperativi di interesse generale, in particolare nella tutela della dignità e del decoro della professione, nonché nella protezione della riservatezza e della libertà di autodeterminazione dei destinatari.
Il TAR ha inoltre evidenziato che la norma è conforme ai principi della direttiva 2006/123/CE, poiché non impedisce la pubblicità in sé, ma ne regola modalità ritenute intrusive e potenzialmente moleste.
Legittime le restrizioni sul contenuto delle informazioni pubblicitarie
Analogamente, il Tribunale ha ritenuto legittimi i limiti al contenuto della pubblicità informativa, tra cui il divieto di utilizzare espressioni enfatizzanti o suggestive e di menzionare i nomi dei clienti, anche in presenza di consenso.
Per il TAR, infatti, "il rispetto dei principi della dignità e dell’integrità della professione presuppone che la scelta del potenziale cliente sia pienamente consapevole, dunque che sia assunta sulla base di informazioni pubblicitarie reali ed effettive sulle caratteristiche del servizio professionale offerto e che, pertanto, non sia viziata da informazioni idonee ad alterare la corretta percezione della realtà, come nel caso di informazioni “enfatizzanti, superlative o suggestive”.
Inoltre, l’esclusione del nominativo dei clienti dalle comunicazioni pubblicitarie, anche se autorizzata dagli stessi, risulta legittima, poiché finalizzata a garantire l’indipendenza, il decoro e la riservatezza della professione, nel rispetto della sua specificità e del segreto professionale.
Estensione del dovere deontologico fuori dell’attività professionale
È stata confermata, a seguire, la liceità dell’art. 14, comma 2 del Codice, che vieta espressioni sconvenienti e denigratorie anche al di fuori dell’ambito professionale, in linea con quanto previsto dal D.lgs. n. 139/2005 e dalla giurisprudenza di legittimità in ambito forense.
Il TAR ha ribadito che tali condotte, se lesive della reputazione del professionista o dell’immagine della categoria, possono rilevare disciplinarmente anche se poste in ambiti non strettamente lavorativi.
Trasparenza e partecipazione nella fase di consultazione
Di seguito, il TAR ha riconosciuto che il procedimento di adozione del nuovo Codice deontologico si è svolto nel rispetto dei principi di trasparenza e partecipazione, pur in assenza di un obbligo normativo specifico analogo a quello previsto per altre categorie professionali.
In particolare, è stato evidenziato che il CNDCEC ha promosso una consultazione pubblica mediante la trasmissione della bozza del Codice agli ordini territoriali e agli iscritti, raccogliendo osservazioni che, in parte, sono state recepite nel testo definitivo.
Anche l’Associazione Nazionale Commercialisti, pur non formalmente destinataria della comunicazione, ha preso parte attiva al confronto, presentando un proprio contributo.
La procedura seguita è stata pertanto ritenuta idonea a garantire un adeguato coinvolgimento della categoria.
Legittimità delle sanzioni disciplinari
Infine, è stata ritenuta legittima anche la revisione del sistema sanzionatorio disciplinare, compreso l’inasprimento di alcune sanzioni (come la sospensione in luogo della censura).
Secondo il TAR, si tratta di una scelta discrezionale del Consiglio Nazionale, non manifestamente sproporzionata, volta a rafforzare la tutela del decoro, dell’integrità e della dignità della professione.
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