Un “salvagente” per il Tfr

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La riforma della legge fallimentare ha cambiato l’intervento del Fondo di garanzia dell’Inps, al fine di tutelare il Tfr lasciato in azienda dal lavoratore nel caso in cui il datore di lavoro sia insolvente. In primo luogo, cambia il modo in cui il dipendente cessato dal lavoro, che vanta un credito verso il datore di lavoro, deve provare l’insolvenza del datore e attivare la tutela del Fondo di garanzia del Tfr. Per dichiarare un imprenditore fallito, occorre, a questo punto, valutare un aspetto quantitativo che prescinde dalla definizione di “piccolo imprenditore” o dal fatto che l’azienda sia costituita in forma individuale o societaria. L’aspetto quantitativo si articola su tre grandezze: l’attivo patrimoniale, i ricavi lordi e l’ammontare dei debiti, così come intese secondo le norme del Codice civile. Riguardo all’onere della prova della non assoggettabilità al fallimento, si deve dire che questo spetta sia all’imprenditore che al dipendente. L’imprenditore deve dimostrare agli organi del fallimento che i limiti dimensionali della sua attività sono più bassi di quelli richiesti dalla legge, così da escluderlo dal fallimento. Il dipendente, dal canto suo, deve dimostrare al Fondo di garanzia che il suo debitore non è soggetto fallibile per insussistenza dei limiti dimensionali (attraverso il decreto di rigetto dell’apertura del fallimento) così da poter addurre la prova dell’insolvenza del debitore per altra via (attraverso azioni esecutive individuali). Nel caso l’imprenditore non riesce a dimostrare di essere soggetto non fallibile, si apre la procedura concorsuale e il Fondo interviene in sostituzione di quest’ultimo nel pagare al dipendente il Tfr a lui spettante e subentrando come creditore nel fallimento per lo stesso importo dovuto al lavoratore.
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