Uso del cellulare personale sul lavoro: licenziamento legittimo

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L’uso del cellulare sul luogo di lavoro, quando comporta rischi per la sicurezza o manifesta insubordinazione, può legittimare il licenziamento disciplinare.

Uso del cellulare in servizio e insubordinazione: sì al licenziamento

Con la sentenza n. 541 del 18 settembre 2025, il Tribunale di Parma – Sezione Lavoro si è pronunciato in materia di licenziamento disciplinare per giusta causa, riaffermando principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in tema di proporzionalità della sanzione, onere della prova e rispetto delle procedure disciplinari.

La controversia ha avuto origine dal recesso disposto da una società cooperativa nei confronti di un proprio socio-lavoratore, addetto alla movimentazione merci, accusato di aver utilizzato il telefono cellulare personale durante il turno di lavoro e di essersi rifiutato di obbedire ai richiami dei preposti.

Il giudice del lavoro ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa, riconoscendo la gravità della condotta e la conseguente irrimediabile compromissione del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

È stata tuttavia accolta parzialmente la domanda economica del lavoratore, con condanna della società al pagamento del TFR e degli emolumenti di fine rapporto.

Il caso esaminato dal Tribunale di Parma  

I fatti di causa  

Il procedimento nasce dal rapporto di lavoro tra il ricorrente, socio-lavoratore di una cooperativa del settore logistica, e la società resistente, presso la quale svolgeva mansioni di movimentazione merci con inquadramento nel livello 6J del CCNL Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni.

Durante un turno, il lavoratore è stato sorpreso dai preposti mentre, alla guida del commissionatore elettrico, utilizzava il proprio telefono cellulare personale per visionare un video, con auricolari nascosti sotto le cuffie aziendali di sicurezza. Invitato a interrompere l’attività e a consegnare il dispositivo, il dipendente ha ignorato i richiami e ha proseguito la marcia del mezzo, allontanandosi dal luogo dell’intervento.

La società ha ritenuto tale condotta gravemente contraria alle disposizioni interne sull’uso dei dispositivi personali e alle norme di sicurezza, nonché lesiva del vincolo fiduciario.

A seguito della sospensione cautelare, il datore di lavoro ha irrogato il licenziamento per giusta causa, qualificando i fatti come grave insubordinazione e violazione degli obblighi di diligenza e correttezza.

Le posizioni delle parti  

L’impugnazione del lavoratore  

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, eccependo la mancanza di una contestazione preventiva, la violazione dell’obbligo di forma scritta e la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti contestati.

Ha inoltre lamentato il mancato pagamento del TFR e delle retribuzioni residue, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act) o, in subordine, il risarcimento del danno tra 6 e 36 mensilità.

Le difese della società datrice di lavoro  

La cooperativa, costituendosi in giudizio, ha difeso la legittimità del licenziamento, sostenendo che la condotta del dipendente avesse determinato una grave violazione degli obblighi di diligenza e correttezza, tale da compromettere definitivamente il rapporto fiduciario

La società ha inoltre ribadito la regolarità formale del provvedimento, sottolineando che il lavoratore aveva rifiutato di ricevere la lettera di licenziamento pur avendone preso piena conoscenza.

L’analisi del Tribunale  

La prova dell’inadempimento datoriale  

In via preliminare, il Tribunale ha accolto la domanda economica del lavoratore relativa al pagamento del TFR e degli emolumenti di fine rapporto, rilevando che la società non aveva fornito prova dell’avvenuto adempimento

Richiamando l’art. 2697 c.c., il giudice ha evidenziato che spetta al datore di lavoro dimostrare l’avvenuto pagamento delle competenze dovute, condannando quindi la cooperativa al saldo delle somme, con interessi legali e rivalutazione monetaria ex art. 429, comma 3, c.p.c.

La validità formale del licenziamento  

Respinte, invece, le eccezioni del lavoratore sulla mancanza di forma scritta e sulla non ricezione della lettera.

Il giudice ha richiamato l’art. 1335 c.c., affermando che il rifiuto del destinatario di ricevere un atto recettizio non impedisce il perfezionarsi della comunicazione.

Le testimonianze dei preposti hanno confermato che la lettera era stata letta e spiegata al lavoratore, che aveva scelto di non firmarla.

Il Tribunale si è così allineato all’orientamento consolidato della Cassazione (sentt. n. 7390/2013 e n. 20272/2009), secondo cui il rifiuto di ricezione non invalida la comunicazione del licenziamento.

La sussistenza della giusta causa  

L’aspetto centrale della decisione riguarda la sussistenza della giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c., che consente il recesso immediato quando la condotta del dipendente rende impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

Il giudice ha individuato tre elementi essenziali della condotta contestata:

  1. Uso del cellulare personale durante la guida del mezzo aziendale;
  2. Occultamento degli auricolari sotto le cuffie aziendali, indice di consapevolezza della violazione;
  3. Rifiuto di obbedire ai superiori, comportamento qualificabile come insubordinazione.

Le prove testimoniali hanno confermato che il lavoratore stava guardando un video sul cellulare e, invitato a fermarsi, aveva continuato la marcia del mezzo avvicinandosi a un responsabile.

Tale comportamento, potenzialmente pericoloso e contrario alle norme di sicurezza, è stato ritenuto sufficiente a integrare una giusta causa di licenziamento, per la gravità e volontarietà dell’infrazione.

Il Tribunale ha escluso la necessità dell’affissione del codice disciplinare, trattandosi di una violazione “immediatamente percepibile” come contraria ai doveri fondamentali di diligenza e sicurezza, richiamando la sentenza Cass. n. 16291/2004.

La decisione e i principi affermati  

Il Tribunale ha dunque:

  • riconosciuto il diritto del lavoratore al pagamento del TFR e degli emolumenti di fine rapporto;
  • rigettato le restanti domande, ritenendo legittimo il licenziamento per giusta causa;
  • compensato integralmente le spese di lite per reciproca soccombenza.

La sentenza ribadisce principi consolidati:

  • il rifiuto di ricevere la lettera di licenziamento non incide sulla sua validità (art. 1335 c.c.);
  • la violazione delle norme di sicurezza e la condotta insubordinata integrano giusta causa di recesso;
  • non è necessaria l’affissione del codice disciplinare per comportamenti chiaramente contrari ai doveri fondamentali del lavoratore.

Orientamenti della Corte di Cassazione  

La decisione del Tribunale di Parma è coerente con l’evoluzione giurisprudenziale della Cassazione in materia di licenziamento disciplinare:

  • Cass. n. 25162/2014: la giusta causa ricorre quando la condotta scuote la fiducia datoriale, anche senza danno economico;
  • Cass. n. 12431/2018: la proporzionalità tra fatto e sanzione va valutata in concreto, considerando intensità dell’elemento soggettivo e posizione del lavoratore;
  • Cass. n. 17321/2020: la tipizzazione contrattuale delle infrazioni non vincola il giudice, che deve accertare la gravità effettiva del comportamento ai sensi dell’art. 2119 c.c.

Condotta imprudente e cellulare alla guida: il caso esaminato dalla Cassazione  

La pronuncia del Tribunale di Parma trova riscontro nella recente sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro, n. 19697/2025, anch’essa incentrata sulla giusta causa di licenziamento derivante da violazione delle norme di sicurezza e uso improprio del cellulare durante l’attività lavorativa.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un collaudatore d’auto era stato licenziato per aver registrato e pubblicato su un social network un video mentre guidava un veicolo aziendale. Il datore di lavoro aveva considerato la condotta gravemente lesiva dei doveri di diligenza e sicurezza.

Tuttavia, la Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la legittimità del recesso, poiché mancava la prova certa della coincidenza tra la registrazione e l’incidente addotto come fondamento del licenziamento.

Il confronto tra le due pronunce evidenzia un principio comune: la giusta causa di licenziamento per violazione delle norme di sicurezza o per uso del cellulare non può essere presunta, ma va valutata in concreto, considerando la consapevolezza del lavoratore, la gravità della condotta e le conseguenze sul vincolo fiduciario.

Solo un comportamento consapevolmente pericoloso o insubordinato, tale da compromettere la sicurezza e l’organizzazione aziendale, giustifica il recesso immediato senza preavviso.

Giusta causa: valutazione rigorosa

Le sentenze del Tribunale di Parma e della Corte di Cassazione delineano una linea interpretativa coerente: la giusta causa richiede una valutazione rigorosa dei fatti e una proporzionalità tra la violazione e la sanzione.

L’uso del cellulare sul luogo di lavoro, quando comporta rischi per la sicurezza o manifesta insubordinazione, può legittimare il licenziamento; al contrario, in assenza di prova concreta della pericolosità o dell’intenzionalità della condotta, il recesso è illegittimo.

In entrambe le prospettive, emerge la centralità del principio di fiducia e della tutela della sicurezza come pilastri del rapporto di lavoro moderno, nei quali il comportamento del dipendente deve costantemente conformarsi ai canoni di buona fede, diligenza e correttezza professionale.

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