Appalti e subappalti privati: virata sul CCNL da applicare

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Appalti e subappalti privati: virata sul CCNL da applicare

Le diposizioni del nuovo decreto PNRR che stabiliscono i criteri di individuazione del contratto collettivo nazionale e territoriale da applicare al personale impiegato nell'appalto privato e nell'eventuale subappalto saranno modificate.

Sembra quasi certo infatti che si sostituirà l’attuale riferimento ai contratti maggiormente applicati nella "zona" e nel "settore" con i contratti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

L’intendimento del Governo è trapelato nel corso della riunione svoltasi il 26 marzo 2024 con le parti sociali, sindacati e organizzazioni datoriali, a margine dell’incontro tenutosi al Ministero del Lavoro sul tema di salute e sicurezza.

Criticità che era peraltro emersa anche nel corso audizioni informali, svoltesi nell'ambito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto PNRR, di CGIL, CISL, UIL e UGL il 13 marzo 2024,  alla Commissione Bilancio della Camera.

Criticità a cui vogliono dare voce e risposta le numerose proposte emendative presentate al citato decreto.

Ma andiamo con ordine e partiamo dal principio.

Cosa prevede il decreto PNRR in merito al contratto collettivo nazionale applicabile ai fini della gestione del rapporto di lavoro?

Appalti e subappalti: CCNL da applicare al personale

Il decreto-legge n. 19 del 2024 (articolo 29, comma 2, lettera a) integra la disciplina dell'appalto di opere o servizi (e dell’eventuale subappalto) di cui all’articolo 29 della cd. legge Biagi (decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) prevedendo che al personale ivi impiegato debba essere corrisposto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto.

Criticità applicative

Già all’indomani della sua entrata in vigore (2 marzo 2024) la disposizione ha rivelato i suoi limiti e prodotto difficoltà in sede applicativa.

Tra i limiti più evidenti, si ricorda, l’esclusivo riferimento al trattamento economico complessivo, disconoscendo di fatto rilevanza al trattamento normativo.

La previsione del riferimento al contratto collettivo maggiormente applicato nel settore e per la zona in luogo dei contratti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale pone poi problemi in termini di sistematicità del quadro normativo attuale, che subordina la concessione dei benefici contributivi e normativi al rispetto del CCNL comparativamente più rappresentativo.

Per non considerare poi le difficoltà legate all’applicazione degli ampi criteri (settore e zona) che il legislatore richiama per individuare il CCNL da applicare al personale.

Ma la criticità maggiore è sicuramente legata alla legittimazione e alla mancata individuazione dei soggetti firmatari degli stessi accordi, con il rischio reale che si apra la strada ai contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali prive di rappresentatività, i cd. contratti pirata, fonte di dumping contrattuale e salariale.

Infine, l’applicazione della nuova disposizione del decreto Pnrr presta il fianco a possibili esternalizzazioni fraudolente finalizzate a tagliare il costo del personale.

Novità dalla conversione in legge

Il decreto PNRR ha avviato il suo iter di conversione alla Camera dei deputati e, dall’11 marzo 2024, è all’esame della Commissione Bilancio, tesoro e programmazione.

Molte delle proposte emendative presentate non hanno superato il vaglio dell’ammissibilità.

Sono invece state ritenute ammissibili le proposte emendative presentate a modifica della disposizione citata.

Le proposte sono tante e di diverso tenore.

Si propone per esempio, di applicare un trattamento economico e normativo complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto svolta dall'impresa anche in maniera prevalente.

Ma vi è anche la proposta di obbligare l'appaltatore  ad applicare i medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro del committente, stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora le attività oggetto di appalto coincidano con quelle caratterizzanti le attività prevalenti del committente e siano incluse nell'oggetto sociale del committente stesso.

Prevale, su tutte, la proposta di prevedere l’applicazione del contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Non resta allora che attendere l’esito dell’esame della Commissione per conoscere il destino di una disposizione “nata male”.

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