Dimissioni di fatto e licenziamento disciplinare: il ruolo dei CCNL

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Ancora le dimissioni di fatto al centro di una Faq pubblicata sul sito del Ministero del lavoro: dopo che nei giorni scorsi il tribunale di Trento si è pronunciato con la prima sentenza di merito (n. 87 del 5 giugno 2025) sulle dimissioni per fatti concludenti, evidentemente permangono ancora dubbi sull’applicazione della nuova fattispecie introdotta dal Collegato lavoro.

Prima di analizzare quanto chiarito dal Ministero, un breve riepilogo delle dimissioni di fatto.

Dimissioni per fatti concludenti

Con l’entrata in vigore della legge n. 203 del 2024, come accennato, il legislatore ha dunque introdotto una rilevante innovazione in materia di cessazione del rapporto di lavoro: la possibilità di configurare le dimissioni di fatto del lavoratore in presenza di una assenza ingiustificata prolungata per oltre quindici giorni consecutivi.

Tale disposizione, entrata in vigore il 12 gennaio 2025, mira a colmare un vuoto normativo e ad offrire uno strumento interpretativo e operativo per i datori di lavoro, riducendo il contenzioso legato alle assenze prolungate e non comunicate.

In passato, la gestione delle assenze ingiustificate protratte risultava infatti complessa, poiché la normativa prevedeva come principale strumento la sanzione disciplinare fino al licenziamento, da attuare secondo la procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).

La nuova disciplina introduce invece un criterio oggettivo e formale per interpretare il comportamento del lavoratore assente prolungatamente e senza giustificazione come manifestazione implicita della volontà di risolvere il rapporto.

Il cuore della nuova disciplina è contenuto dunque nellart. 19 della legge 203/2024, a norma del quale in presenza di una assenza ingiustificata superiore a quindici giorni consecutivi, il datore di lavoro può considerare il rapporto di lavoro risolto, attribuendo al comportamento del lavoratore la valenza di dimissioni implicite o dimissioni di fatto.

Si tratta quindi di una previsione che si innesta nella più ampia cornice della disciplina della cessazione del rapporto di lavoro, introducendo un’ulteriore ipotesi non riconducibile né al licenziamento né alle dimissioni volontarie formalizzate secondo le modalità ordinarie, come previsto dall’art. 26 del d.lgs. n. 151/2015.

Comportamento concludente del lavoratore

La nozione di dimissioni di fatto si fonda quindi sul principio giuridico del comportamento concludente, secondo cui un soggetto può manifestare la propria volontà attraverso atti inequivoci che, sebbene non espressamente dichiarati, risultano idonei a produrre effetti giuridici.

Nel contesto lavoristico ciò significa che il lavoratore, omettendo qualsiasi comunicazione e abbandonando il posto di lavoro per un periodo significativo, può essere ritenuto responsabile della risoluzione tacita del rapporto, senza necessità di una dichiarazione scritta o della convalida presso gli uffici competenti.

Questa configurazione si distingue quindi dalle dimissioni ordinarie, che richiedono una procedura specifica disciplinata dal D.lgs. n. 151/2015, tra cui l’utilizzo della piattaforma telematica del Ministero del lavoro e la conferma dell’intenzione del lavoratore di cessare il rapporto.

Ecco uno schema riassuntivo delle differenze tra le dimissioni esplicite (formalizzate secondo la normativa vigente) e le dimissioni di fatto, recentemente introdotte:

 

Dimissioni esplicite

Dimissioni di fatto

Forma

Telematica, tramite apposita procedura

Nessuna forma; basata su comportamento

Manifestazione di volontà

Dichiarazione espressa

Condotta concludente (assenza ingiustificata)

Controllo amministrativo

Convalida presso l’Ispettorato

Nessun controllo formale

Rischi per il datore di lavoro

Ridotti

Possibilità di contenzioso se non vi è certezza sull’intenzione del lavoratore

Condizioni previste dalla legge per la risoluzione per fatti concludenti

L’applicazione dell’art. 19 è subordinata a due condizioni essenziali:

1. assenza ingiustificata protratta per oltre 15 giorni consecutivi

Il primo presupposto è l’assenza ingiustificata del lavoratore per un periodo superiore a 15 giorni di calendario. La norma stabilisce un termine minimo inderogabile, non riducibile da parte della contrattazione collettiva.

Tale termine ha la funzione di garantire un ragionevole lasso di tempo per escludere situazioni eccezionali (ad esempio, emergenze sanitarie, impedimenti documentati, errori di comunicazione) e per permettere al datore di lavoro di attivare eventuali verifiche preliminari.

2. mancanza di comunicazioni giustificative da parte del lavoratore

Il secondo elemento è costituito dalla totale assenza di comunicazioni da parte del lavoratore, sia prima sia durante il periodo di assenza. Ciò implica che non vi siano state giustificazioni, richieste di aspettativa, né altri elementi idonei a giustificare l’assenza.

Il silenzio del lavoratore è, pertanto, elemento costitutivo della dimissione di fatto, in quanto interpreta la condotta come rivelatrice della volontà di non proseguire il rapporto. È su questo presupposto che si fonda il concetto di comportamento concludente.

Il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina delle assenze ingiustificate e delle dimissioni di fatto

Veniamo ora al punto oggetto della Faq ministeriale: la possibile sovrapposizione della fattispecie delle dimissioni di fatto con le previsioni contenute nei CCNL.

 In particolare, la questione centrale riguarda se le norme contrattuali già vigenti, relative al licenziamento per assenza ingiustificata, possano essere automaticamente utilizzate per giustificare una cessazione del rapporto come risoluzione tacita per comportamento concludente del lavoratore.

Il Ministero del lavoro ribadisce quanto già delineato con la circolare n. 6 del 2025, fornendo fornito un’interpretazione vincolante e chiarificatrice: le disposizioni dei CCNL possono produrre effetti solo se riferite in modo diretto alla nuova fattispecie delle dimissioni di fatto. 

Licenziamento disciplinare: procedura

Il licenziamento disciplinare rappresenta una delle modalità più strutturate e garantiste di cessazione del rapporto di lavoro. Ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il datore di lavoro è tenuto a rispettare una precisa procedura prima di adottare il provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente.

  1. Contestazione formale dell’addebito al lavoratore, con indicazione puntuale dei fatti contestati.
  2. Concessione di un termine a difesa, solitamente di 5 giorni, durante il quale il lavoratore può formulare controdeduzioni o richiedere un’audizione personale.
  3. Valutazione delle giustificazioni eventualmente fornite dal lavoratore.
  4. Adozione del provvedimento disciplinare, se le giustificazioni sono ritenute insufficienti.

Questa struttura garantisce un contraddittorio effettivo, volto a bilanciare l’interesse datoriale al corretto svolgimento dell’attività produttiva con il diritto del lavoratore a una tutela procedurale preventiva, evitando decisioni arbitrarie o sproporzionate.

In caso di assenza ingiustificata, quindi, il licenziamento non può mai avvenire automaticamente: il datore deve contestare l’assenza, verificare le giustificazioni e solo successivamente, in assenza di motivi validi, procedere alla risoluzione del rapporto.

Assenza di contraddittorio nelle dimissioni di fatto: comportamento concludente e silenzio del lavoratore

Diversamente, la fattispecie delle dimissioni di fatto introdotta dall’art. 19 della legge n. 203/2024 non prevede alcuna procedura formale o contraddittorio, ma si fonda esclusivamente su due presupposti oggettivi:

  • la prolungata assenza ingiustificata del lavoratore per almeno 15 giorni consecutivi;
  • la totale assenza di comunicazioni da parte del lavoratore, in merito alle ragioni dell’assenza o a una possibile volontà di ripresa dell’attività lavorativa.

In questo caso, è il silenzio del lavoratore, protratto nel tempo, ad assumere valenza giuridica. La normativa presuppone che, trascorso un termine congruo, l’inerzia del lavoratore venga interpretata come manifestazione tacita della volontà di cessare il rapporto.

Proprio per la delicatezza della fattispecie, il termine di quindici giorni è stato fissato come limite minimo non derogabile, al fine di evitare che un’assenza momentanea, legata a problematiche personali o a difficoltà comunicative, possa indebitamente essere interpretata come volontà risolutiva.

L’applicazione concreta del principio: la sentenza del Tribunale di Trento n. 87/2025

L’interpretazione e l’applicazione concreta della disciplina sulle dimissioni di fatto è stata oggetto della sentenza n. 87/2025 del Tribunale di Trento, che ha offerto alcuni spunti rilevanti, pur nel suo carattere non generalizzabile.

Nel caso esaminato, il datore di lavoro aveva considerato cessato il rapporto con un dipendente assente ingiustificato da circa due settimane, sostenendo che si trattasse di dimissioni di fatto in base all’art. 19 della legge n. 203/2024.

Il giudice, tuttavia, ha:

  • escluso la configurabilità delle dimissioni di fatto nel caso concreto, rilevando come il lavoratore avesse successivamente giustificato l’assenza con motivazioni plausibili;
  • ritenuto il comportamento del datore assimilabile a un licenziamento orale non formalizzato, in violazione delle garanzie procedurali previste dalla normativa;
  • conseguentemente disposto la reintegrazione del lavoratore, riconoscendo l’illegittimità della cessazione del rapporto.

Sebbene la sentenza del Tribunale di Trento abbia assunto un rilievo nel dibattito interpretativo, la portata della pronuncia è circoscritta al caso concreto, trattandosi di una decisione di merito, basata sull’analisi delle specifiche circostanze fattuali e sulla valutazione delle prove disponibili.

La sentenza non incide infatti in alcun modo sull’interpretazione sistematica offerta dal Ministero, né modifica la validità dell’art. 19 della legge 203/2024. Più precisamente:

  • la pronuncia non nega la legittimità della disciplina sulle dimissioni di fatto, ma esclude che, nel caso specifico, sussistessero i presupposti di applicabilità;
  • non viene messa in discussione la legittimità dell’utilizzo del comportamento concludente come causa di risoluzione del rapporto, purché sussistano le condizioni legali.

I contenuti della Faq

Secondo quanto precisato dal Ministero, dunque, non è possibile applicare automaticamente le clausole dei contratti collettivi che prevedono il licenziamento disciplinare in caso di assenza ingiustificata, al fine di giustificare una risoluzione per dimissioni di fatto.

Tale interpretazione sarebbe infatti contraria all’intento normativo espresso dall’art. 19 della legge n. 203/2024, che introduce una nuova ipotesi autonoma di cessazione del rapporto di lavoro.

L’automatismo tra disciplina contrattuale del licenziamento e nuova normativa sulle dimissioni di fatto non trova alcun fondamento giuridico, in quanto:

  • la natura giuridica delle due ipotesi è differente: il licenziamento presuppone una valutazione disciplinare e l’attivazione delle garanzie ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori, mentre la dimissione di fatto è fondata sulla inerzia incolpevole o volontaria del lavoratore;
  • la ratio legis dell’art. 19 è quella di introdurre una fattispecie autonoma, distinta sia sul piano formale che sostanziale.

Per questi motivi, le clausole generiche presenti nei CCNL in materia di assenza ingiustificata non possono essere richiamate in modo automatico per legittimare una risoluzione tacita del rapporto.

Quando la contrattazione collettiva è valida ai fini delle dimissioni di fatto

Non è tuttavia escluso che la contrattazione collettiva possa disciplinare, in via autonoma, la risoluzione del rapporto per dimissioni di fatto, a patto che sussistano precisi requisiti di contenuto e forma.

1. Esplicita indicazione della fattispecie di dimissioni di fatto

Il CCNL deve menzionare espressamente la risoluzione del rapporto per fatti concludenti come autonoma modalità di cessazione. Non è sufficiente, ad esempio, che il contratto collettivo si limiti a prevedere la sanzione del licenziamento in caso di assenza ingiustificata oltre un certo limite. Occorre, invece, una formulazione chiara e distinta, in grado di identificare la condotta del lavoratore come comportamento inequivoco di volontà risolutiva.

Secondo l’impostazione ministeriale, l’assenza di una previsione testuale specifica esclude la possibilità di configurare le dimissioni di fatto sulla base del solo CCNL. In altre parole, la contrattazione collettiva deve adattarsi alla nuova disciplina, non può sostituirla o interpretarla in senso estensivo.

2. Rispetto del termine minimo di quindici giorni

Altro elemento imprescindibile è il rispetto del limite temporale minimo previsto dalla legge, pari a quindici giorni consecutivi di assenza ingiustificata. La contrattazione collettiva non può prevedere termini inferiori, poiché ciò costituirebbe un’elusione del principio di tutela sotteso alla norma.

In breve

 

Licenziamento disciplinare

Dimissioni di fatto

Norma di riferimento

Art. 7 L. 300/1970

Art. 19 L. 203/2024

Procedura

Contestazione, difesa, decisione

Nessuna procedura, valutazione del comportamento

Contraddittorio

Obbligatorio

Non previsto

Volontà risolutiva

Unilaterale del datore di lavoro

Tacita del lavoratore

Elementi costitutivi

Condotta disciplinarmente rilevante

Assenza ingiustificata e silenzio del lavoratore per oltre 15 giorni

Contenzioso potenziale

Controllo di proporzionalità e legittimità

Verifica rigorosa delle condizioni per evitare erronea applicazione

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