Diritto alle ferie retribuite anche in caso di reintegra

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Diritto alle ferie retribuite anche in caso di reintegra

Con la sentenza della Corte di Giustizia UE del 25 giugno 2020, cause riunite C762/18 e C37/19, i giudici della Curia, a seguito di rinvio pregiudiziale dei giudici bulgari ed italiani, si pronunciano sull'interpretazione relativa alle previsioni dell'art. 7, paragrafo 1 e 2, direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003.

In particolare, i giudici degli Stati membri, nell'ambito della controversia della quale sono stati investiti, pongono le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se l'art. 7, par. 1, della predetta direttiva europea in materia di organizzazione dell'orario di lavoro debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa e/o a una giurisprudenza nazionali in forza delle quali un lavoratore, illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel suo posto di lavoro a seguito di ordine giudiziale, non ha diritto a ferie annuali retribuite per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro;
  • se, previa risposta affermativa alla prima questione, l'art. 7, par. 2, della medesima direttiva 2003/88/CE, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa e/o a una giurisprudenza nazionali in forza delle quali, a seguito di una nuova cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore di cui trattasi non ha diritto ad alcuna indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute in relazione al periodo compreso tra la data del precedente licenziamento e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro.

 

Il diritto alle ferie, la normativa nazionale

Per lavoratori dipendenti il diritto al godimento di ferie annuali retribuite è investito di tutela costituzionale ai sensi dell'art. 36, comma 3, secondo cui "Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi".

Il principio inderogabile è più specificatamente illustrato dal combinato disposto dell'art. 2109, Cod. Civ. e dall'art. 10, Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, attuativo delle direttive 93/104/CE e 200/34/CE.

Ai sensi dell'art. 2109, Cod. Civ., il lavoratore dipendente ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l'imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Il datore di lavoro ha, altresì, l'onere di comunicare preventivamente al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie e non potrà collocarlo durante il periodo di preavviso previsto dall'art. 2118, Cod. Civ.

Il periodo annuale di ferie non potrà essere inferiore alle quattro settimane, ex art. 10, Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66, salvo disposizioni contrattuali, collettive o individuali, più favorevoli, ed andrà goduto dal prestatore di lavoro per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell'anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei diciotto mesi successivi al termine dell'anno di maturazione. Inoltre, con riferimento ai diciotto mesi successivi, relativi al godimento delle ferie pregresse, la contrattazione collettiva può spostare il godimento delle ferie anche per periodi successivi, salvo snaturare la funzione intrinseca delle stesse e cioè il diritto al recupero delle energie psico-fisiche del prestatore di lavoro. Per tale ultima ragione, il comma 2, del sopracitato articolo 10, preclude la possibilità di sostituire il predetto periodo minimo di ferie con la relativa indennità di ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.

In tal senso, dal mancato godimento delle ferie deriva, ancorché sia divenuto impossibile per il datore di lavoro consentirne la fruizione ed anche senza sua colpa, il diritto del lavoratore a ricevere il pagamento della relativa indennità sostitutiva che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, ai sensi degli artt. 1463 e 2037 Cod. Civ., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'esclusione alla corresponsione dell'indennità sostitutiva di ferie sussiste ove il datore di lavoro riesca a dimostrare di aver offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie e che il lavoratore non ne abbia usufruito, incorrendo, nella c.d. mora del creditore (Cass. n. 7976/2020).

 

La maturazione del diritto alle ferie

La maturazione al diritto delle ferie spettanti è collegata al periodo di effettiva prestazione lavorativa resa e dalla quantificazione stabilita dai contratti collettivi o dalla legge. A tal fine, le assenze dal lavoro per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore non interrompono la maturazione delle ferie (a titolo esemplificativo: malattia; infortunio; congedo matrimoniale; astensione obbligatoria; etc.). Il diritto alle ferie matura durante un arco temporale di dodici mesi e proporzionalmente al servizio effettivamente prestato.

Le modalità di maturazione nelle frazioni di mese vengono stabilite dalla contrattazione collettiva e sono, generalmente, collegate a periodi di esecuzione della prestazione lavorativa di almeno 15 giorni a valere come mese intero.

Tipologia di sospensione del rapporto

Diritto alla maturazione

Astensione obbligatoria (congedo di maternità/paternità)

Si

Congedo parentale (astensione facoltativa)

No

Congedo matrimoniale

Si

Infortunio

Si

Malattia

Si

Ferie

Si

Sciopero

No

Permessi retribuiti

Si

Periodi di aspettativa non retribuita

No

 

Si rammenta che, relativamente ai periodi di cassa integrazione ed al diritto di maturazione delle ferie, è opportuno distinguere le fattispecie in cui la prestazione lavorativa venga sospesa o ridotta. Nel primo caso, come espresso nell'Interpello ministeriale n. 19/2011, ove l'attività lavorativa del prestatore venga sospesa, cade il presupposto generale della necessità di recuperare le energie psico-fisiche a cui è preordinato il diritto alle ferie. Diversamente, ove la prestazione lavorativa venga resa in misura ridotta dovrà, comunque, essere garantito il diritto al riposo psico-fisico correlato all'attività svolta, ancorché in misura ridotta. In tale ultima ipotesi sarà opportuno consultare le disposizioni della contrattazione collettiva nazionale volte a regolamentare il diritto alla maturazione delle ferie e, ove necessario, procedere a riparametrare le stesse secondo i periodi effettivamente lavorati.

 

Il diritto alle ferie e la normativa comunitaria

Ripetutamente, nell'ultimo decennio, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è espressa sulla corretta interpretazione del diritto alle ferie tutelato dalla direttiva 2003/88/CE.

In particolare, ai sensi dell'art. 7, "Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un'indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro".

In tale ambito deve, dunque, muoversi la regolamentazione di matrice nazionale, tenuto conto delle questioni pregiudiziali già poste dinnanzi ai giudici europei e di cui appresso si segnalano gli orientamenti più rilevanti.

Con riferimento al diritto alla corresponsione dell'indennità sostitutiva pecuniaria, su domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2008, proposta dal Tribunale amministrativo superiore di Berlino-Brandeburgo - Germania - la Corte è recentemente intervenuta con la sentenza della Grande Sezione della CGUE del 6 novembre 2018 nella causa C-619/16 (richiamata anche dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 13613/2020) affermando che il predetto articolo 7 osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui essa implichi che, se il lavoratore non ha chiesto prima della data di cessazione del rapporto di lavoro di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite, l'interessato perde - automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima della cessazione, segnatamente con un'informazione adeguata da parte del datore di lavoro stesso - i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell'Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute.

Nella citata sentenza appare particolarmente meritevole di interesse ripercorrere le argomentazioni della Curia:

  • il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata nei soli limiti esplicitamente indicati nella direttiva 2003/88 (v. Sentenza del 29 novembre 2019, C-214/16, EU:C:2017:914);
  • il lavoratore che non ha potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, ha diritto a un'indennità finanziaria ai sensi dell'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88. L'importo dell'indennità in parola deve essere calcolato in modo da porre tale lavoratore in una situazione analoga a quella in cui si sarebbe trovato se avesse esercitato tale diritto nel corso del rapporto di lavoro;
  • ove il datore di lavoro dimostri di aver agito con la necessaria diligenza e che, nonostante i provvedimenti dal medesimo adottati, il lavoratore abbia rinunciato deliberatamente a far valere il proprio diritto alle ferie annuali retribuite pur avendone avuto la possibilità di goderne nel corso del rapporto di lavoro, il lavoratore non potrà esigere il pagamento dell'indennità pecuniaria sostitutiva delle ferie annuali non godute all'atto dell'interruzione del rapporto di lavoro. In tal senso, il lavoratore dovrà essere edotto circa gli effetti giuridici che potrebbero derivare a suo carico all'atto dell'interruzione del rapporto di lavoro;
  • la corresponsione dell'indennità pecuniaria avente ad oggetto la sostituzione del periodo minimo di ferie annuali retribuite è possibile solo nei casi di interruzione del rapporto di lavoro. L'effettiva fruizione costituisce quindi la regola, l'indennità pecuniaria l'eccezione.
  • gli incentivi datoriali a rinunciare alle ferie ovvero sollecitare i lavoratori a rinunciarvi sono incompatibili con gli obiettivi posti del diritto alle ferie annuali retribuite consistenti nella necessità di garantire al lavoratore il beneficio di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (Sentenza 6 aprile 2006, C-124/05, EU:C:2006:244).

Inoltre, tra gli ulteriori orientamenti della corte europea si evidenzia che:

  • il datore di lavoro non può costringere il dipendente ad esercitare il proprio diritto a ferie annuali retribuite, ma deve assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto (Sentenza 7 settembre 2006, C-484/04, EU:C:2006:526);
  • l'art. 7 della direttiva 2003/88/CE e l'art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ostano alla normativa nazionale ai sensi della quale, in caso di cessazione del rapporto di lavoro a causa del decesso del lavoratore, il diritto alle ferie annuali non godute si estingue, senza far sorgere il conseguente diritto all'indennità finanziaria per dette ferie agli aventi causa in via successoria (Sentenza del 6 novembre 2018, cause riunite C-569/16 e c-570/16, EU:C:2018:871.

 

Diritto alle ferie e illegittimità del licenziamento

Il lavoratore illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato ha diritto alle ferie annuali retribuite, fatta salva l'eventuale maturazione al diritto determinata da un'altra occupazione.

È quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea con la sentenza del 25 giugno 2020, nelle cause riunite C-762/18 e C-37/19, aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale distrettuale di Haskovo - Bulgaria - e dalla Corte suprema di Cassazione - Italia - sulle seguenti questioni:

  • se l'art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88, debba essere interpretato nel senso che un lavoratore illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel suo posto di lavoro a seguito di ordine giudiziale non ha diritto a ferie annuali retribuite per il periodo compreso tra la data del licenziamento e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro;
  • se, in caso di risposta affermativa alla prima questione, a seguito di nuova cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore non ha diritto ad alcuna indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute in relazione al periodo compreso tra la data del precedente licenziamento e quella della sua reintegrazione sul posto di lavoro.

La Corte, richiamando il proprio costante orientamento, secondo cui nel caso in cui un lavoratore non sia in grado di adempiere alle proprie funzioni, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere necessariamente subordinato all'obbligo di aver effettivamente lavorato - come nei casi di malattia - constata che, così come la sopravvenienza di un'inabilità al lavoro per malattia, il fatto che il lavoratore sia stato privato della possibilità di lavorare a causa di un licenziamento successivamente dichiarato illegittimo, è, in via di principio, un evento imprevedibile ed indipendente dalla volontà del lavoratore e, come tale, a seguito di pronuncia giudiziale di reintegra, il periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la data della reintegrazione del lavoratore deve essere assimilato a un periodo di lavoro effettivo ai fini della determinazione del diritto alle ferie annuali retribuite.

In tale ambito, nell'ipotesi in cui il lavoratore interessato abbia occupato un altro posto di lavoro nel periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e quella della reintegrazione nel suo primo posto di lavoro, tale lavoratore non può far valere, nei confronti del suo primo datore di lavoro, i diritti alle ferie annuali corrispondenti al periodo durante il quale ha occupato un altro posto di lavoro. Invero, in tale circostanza, il lavoratore interessato sarà tenuto a far valere i propri diritti alle ferie annuali retribuite nei confronti del suo nuovo datore di lavoro.

Per tali ragioni, la Corte dichiara che:

  • l'art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una giurisprudenza nazionale in forza della quale un lavoratore illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato, a seguito di decisione giudiziaria, non ha diritto a ferie annuali retribuite per il periodo compreso tra la data del licenziamento e la data della sua reintegrazione;
  • l'art. 7, par. 2, della medesima direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una giurisprudenza nazionale in forza della quale, in caso di cessazione di un rapporto di lavoro verificatosi dopo che il lavoratore interessato sia stato illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel suo posto di lavoro, a seguito di pronuncia giudiziaria, tale lavoratore non ha diritto ad un'indennità pecuniaria a titolo di ferie annuali retribuite e non godute nel corso del periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro.

QUADRO NORMATIVO

Direttiva 2003/88/CE DEL 4 NOVEMBRE 2003

Corte di Giustizia europea - Sentenza cause riunite C‑762/18 e C‑37/19 del 25 giugno 2020

Allegati

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