Equo compenso negato per l’incarico di sindaco e revisore legale, le motivazioni di Assonime

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Equo compenso negato per l’incarico di sindaco e revisore legale, le motivazioni di Assonime

Con la legge sull’equo compenso, Legge 21 aprile 2023, n. 49, sono state introdotte nel nostro ordinamento nuove regole per la definizione del compenso delle prestazioni intellettuali rese dai professionisti iscritti in albi (tra cui avvocati e dottori commercialisti) e dai professionisti non organizzati in ordini professionali.

Equo compenso, cosa prevede la nuova normativa

La Legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 5 maggio 2023, recante "Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali", ha come scopo quello di assicurare al professionista un compenso commisurato al valore della prestazione, rafforzando la tutela nel rapporto contrattuale soprattutto nei confronti di quelle specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti.

La definizione di “equo compenso è recata dall’articolo 1, dei 13 totali di cui si compone il provvedimento. Esso viene definito come la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonchè conforme ai compensi previsti:

  • per gli avvocati dal decreto del Ministro della giustizia n. 55/2014;
  • per i professionisti iscritti agli ordini e collegi dal decreto del Ministro della giustizia n. 140/2012;
  • per le professioni non organizzate in ordini o collegi da un emanando decreto del Ministro delle imprese e del Made in Italy.

NOTA BENE: Il compenso è considerato equo quando, oltre ad essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, non risulta inferiore agli importi stabiliti dai parametri previsti dai decreti ministeriali per la liquidazione giudiziale dei compensi.

La legge sull’equo compenso, infatti, dispone la nullità delle clausole contrattuali che non prevedono un compenso equo e di quelle che attribuiscono al committente vantaggi sproporzionati in danno del professionista

Con l’entrata in vigore di tale legge, dunque, si prevede una sostanziale reintroduzione di un sistema di tariffe minime inderogabili.

Visti i profili interpretativi introdotti dalla legge nella definizione delle tariffe professionali, la questione principale che essa pone è quella della corretta individuazione del suo ambito di applicazione.

Equo compenso, a chi spetta

L’equo compenso trova applicazione ai rapporti professionali che hanno ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all'art. 2230 Codice civile, regolate da convenzioni e relative allo svolgimento anche in forma associata o societaria delle attività professionali rese in favore di:

  • imprese bancarie assicurative e loro controllate, mandatarie;
  • imprese con più di 50 lavoratori;
  • imprese con ricavi annui superiori a 10 milioni di euro;
  • pubblica amministrazione e società a partecipazione pubblica.

Sono escluse dall’ambito di applicazione della nuova disciplina le prestazioni rese dai professionisti a società veicolo di cartolarizzazione e quelle rese in favore di agenti della riscossione.

La legge dunque interviene in tutti quei rapporti professionali nei quali la sussistenza di un possibile squilibrio delle posizioni contrattuali – tra professionista e impresa – può giustificare una tutela rafforzata del professionista da parte del legislatore.

ATTENZIONE: Pertanto, a tutela del professionista, sono considerate nulle tutte le clausole che compromettono l’equità del compenso.

La nullità delle singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto, destinato a rimanere valido per tutto il resto delle pattuizioni.

Legge equo compenso, rischio di aumenti indiscriminati dei compensi professionali

Dopo solo pochi mesi dall’entrata in vigore della Legge n. 49/2023, numerose associazioni datoriali di maggiore dimensione sono intervenute per denunciare come la sua applicazione potrebbe condurre, in alcuni casi, alla determinazione di compensi del tutto “fuori mercato”, con un esorbitante aumento dei costi per le imprese e per la Pubblica Amministrazione.

Così, le principali organizzazioni di impresa, Abi, Assonime, Confindustria, Ania e Confcooperative, il 19 luglio scorso hanno evidenziato in una lettera una serie di considerazioni, inviandole ai capi di gabinetto del ministero della Giustizia, delle Imprese e del Made in Italy e alla presidenza del Consiglio dei ministri.

Nella missiva si chiede di intervenire “con urgenza” per apportare “correttivi normativi o chiarimenti interpretativi” che “senza minare gli obiettivi di fondo della legge” possano impedire che si producano “effetti applicativi paradossali, minando la legittimità stessa della disciplina”.

NOTA BENE: Le cinque organizzazioni non mettono in discussione la ratio della legge, ma le modalità con cui è stata declinata “rischiano di dare luogo ad aumenti paradossali e indiscriminati di tutti i compensi professionali, generando un volume di costi insostenibili per le imprese”.

Pertanto, i firmatari si sono detti disponibili a dare il proprio supporto conoscitivo per risolvere le rilevanti problematiche generate dal provvedimento.

In particolare, evidenziano come le maggiori criticità riguardano la possibile estensione dell’ambito applicativo della legge anche ai rapporti tra professionista e committente in cui il compenso sia oggetto di libera negoziazione tra le parti.

Spiegano, infatti, le associazioni citate come nel caso di società quotate o di grandi dimensioni, per esempio holding di gruppi importanti, l’applicazione di un parametro di riferimento rimesso all’equa valutazione del giudice in sede di liquidazione dei compensi possa portare ad un aumento dell’incarico sindacale fino ad importi che possono raggiungere milioni di euro.

Viceversa, nelle società di minori dimensioni, invece, può determinare in alcuni casi importi inferiori a quelli riconosciuti dalle assemblee prima dell’entrata in vigore della Legge n. 49/2023; mentre nel caso di piccole imprese, tenute a nominare per la prima volta l’organo di controllo, la norma può portare a costi eccessivi e non preventivati.

ATTENZIONE: Esistono dunque, secondo le maggiori associazioni di imprese, “fondate argomentazioni” per escludere dalla legge l’incarico sindacale che, in termini di diritto societario, ha “un ruolo ben diverso dal mero svolgimento di un incarico professionale ma deve essere considerato una vera e propria funzione organica, necessaria a tutela di interessi collettivi sia dei soci che di terzi”.

Assonime. Effetti della legge su equo compenso sulle tariffe dei professionisti

Assonime, ricordando che la ratio della Legge n. 49/2023 è quella di rafforzare la tutela dei professionisti verso clausole ritenute vessatorie ex lege e comportamenti abusivi da parte di imprese che detengono un forte potere contrattuale, considerato che le nuove regole per la determinazione dei compensi possono avere un impatto anche per le imprese committenti, pubblica una circolare in cui si concentra sull’ambito di applicazione della disciplina.

Nella circolare n. 24 del 3 agosto 2023, dal titolo “L’Impatto della legge in materia di equo compenso sulle società di capitali”, l’Associazione, si concentra sugli articoli 1 e 2, al fine di delineare il potenziale impatto sull’operatività delle società di capitali.  

Nello specifico, nel documento si sottolinea come l’applicazione corretta della Legge dovrebbe consentire l’attuazione delle tutele prefigurate dal legislatore, evitando il prodursi di effetti paradossali.

Da una prima analisi d’impatto della disciplina emerge, invece, che, qualora vi fosse un’applicazione generalizzata delle nuove norme a tutte le prestazioni professionali, per le società di maggiori dimensioni, si determinerebbe, ad esempio, un aumento del compenso dei sindaci del tutto fuori mercato.

Da questa inedita interpretazione dell’ambito di applicazione della legge ne dovrebbe conseguire l’inapplicabilità della disciplina in questione ai sindaci e ai revisori di società.

Per motivare tutto ciò, Assonime riporta il calcolo effettuato da una società di grandi dimensioni quotata che presenta un valore di redditi lordi e di attività pari a circa 8 miliardi, secondo cui l’equo compenso di ciascun sindaco ammonterebbe a circa 580.000 euro, a fronte dell’attuale compenso medio di circa 50.000 euro.

Analogamente, anche per quanto riguarda l’attività stragiudiziale affidata ad avvocati, l’applicazione delle tariffe forensi comporterebbe aumenti dei costi di consulenza esorbitanti, ad esempio, per l’attività di assistenza in un’operazione straordinaria o di emissione di obbligazioni, per un valore dell’affare pari a 100 milioni di un compenso minimo di 125.000 euro a fronte dell’attuale compenso medio che per i medesimi valori si attesta sui 60-70.000 euro circa.

In più, si legge nella circolare in oggetto, vi sono ulteriori argomenti specifici per ritenere che tanto l’incarico di sindaco quanto quello di revisore legale non ricadono comunque nell’alveo della disciplina sull’equo compenso.

Infatti, per esempio, l’incarico di sindaco non sarebbe assimilabile a un mero incarico professionale; mentre per quanto riguarda i revisori legali, si sottolinea come l’attività di revisione legale presenta uno statuto normativo proprio, separato da quello degli ordini professionali, anche proprio con riferimento al tema dei compensi.

Questi ed altri motivi, conclude Assonime, appaiono sufficienti ad escludere dall’ambito di applicazione della legge sull’equo compenso i revisori legali, come pure i sindaci delle società di capitali.

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