Esenzione Tari per magazzini produttivi: chiarimenti della Cassazione
Pubblicato il 09 maggio 2025
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La Sezione tributaria della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11476 depositata il 1° maggio 2025, ha trattato un procedimento riguardante la validità dell’avviso di pagamento della TARI relativo agli anni 2012-2017, con particolare riferimento alla tassazione dei locali utilizzati come magazzini funzionali all’attività produttiva di un’impresa.
Tari: magazzini dove si producono rifiuti speciali
La vicenda si colloca nell'area della fiscalità locale, con riferimento all’applicazione della TARI (Tassa sui Rifiuti), istituita dall’art. 1, commi 639 e ss., della Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), che ha sostituito le previgenti TARSU e TARES.
La questione centrale oggetto del giudizio attiene alla legittimità dell’assoggettamento a TARI di specifiche superfici – in particolare magazzini strumentali e uffici – situate all’interno di un opificio industriale, in relazione agli anni d’imposta dal 2012 al 2017.
La controversia si sviluppa nell’ambito del contenzioso tra una società contribuente e la società affidataria del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
In particolare, la società contribuente ha contestato la validità dell’avviso di pagamento emesso dall’ente impositore, ritenendo che le aree adibite a magazzino fossero funzionalmente ed esclusivamente collegate all’attività produttiva e, come tali, escluse dall’ambito di applicazione della tassa, trattandosi di spazi nei quali si producono rifiuti speciali in via continuativa e prevalente.
Profilo normativo
La vicenda è giunta all’esame della Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 11476/2025 ha affrontato diversi profili di legittimità, sia sul piano procedurale, sia sul piano sostanziale, con particolare riguardo alla corretta interpretazione dell’art. 1, comma 649 della Legge n. 147/2013 e alla portata dell’esenzione TARI per rifiuti speciali, come chiarita anche dalla risoluzione n. 2/DF/2014 del MEF.
Ci soffermeremo sul diritto sostanziale ovvero sul terzo motivo sollevato dalla contribuente contro l’atto di accertamento.
Con esso, la società ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile – una errata interpretazione e applicazione dell’art. 1, comma 649 della legge n. 147 del 2013, per quanto riguarda la soggezione a TARI delle superfici destinate a magazzini funzionali al processo produttivo. Secondo la ricorrente, le decisioni giurisprudenziali richiamate nella sentenza impugnata non sono pertinenti al caso concreto, e l’interpretazione fornita dai giudici di merito risulta eccessivamente restrittiva, arrivando di fatto a negare ogni possibilità di esenzione prevista dalla normativa citata.
La società ricorda che la norma – come successivamente modificata dall’art. 2, comma 1, della legge n. 68 del 2014 – stabilisce, nell’ultima parte, che spetta al Comune individuare le aree in cui si generano rifiuti speciali non assimilabili, nonché i magazzini di materie prime e merci strettamente e unicamente connessi all’attività produttiva, che devono essere esclusi dalla disciplina dell’assimilazione.
In questa prospettiva, l’esclusione dalla tassazione dovrebbe estendersi anche a magazzini intermedi e a quelli destinati allo stoccaggio di prodotti finiti, in quanto luoghi nei quali si producono rifiuti speciali e che risultano funzionalmente legati alle aree produttive già esenti.
Mef: fuori dalla Tari l’area dove si generano rifiuti speciali
Tale interpretazione è anche confermata dalla risoluzione n. 2/DF/2024 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che offre una lettura sistematica dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147 del 2013. Secondo tale documento, la disposizione finale deve essere letta congiuntamente con la parte iniziale, nella quale si afferma che la superficie nella quale si generano, in modo prevalente e continuativo, rifiuti speciali – la cui gestione è a carico del produttore – non va computata ai fini del tributo, a condizione che il contribuente dimostri di aver provveduto allo smaltimento secondo la normativa vigente.
Ne deriva che, in presenza di tali condizioni, anche i magazzini operativi e quelli destinati allo stoccaggio debbano rientrare tra le superfici esenti dalla TARI.
La risoluzione ministeriale chiarisce, infatti, che l’obiettivo della norma è quello di garantire una tassazione proporzionata e rispondente al reale utilizzo del servizio pubblico, escludendo l’imposizione in tutti i casi in cui il presupposto impositivo non si verifica, come avviene nelle aree produttive o artigianali dove si formano principalmente rifiuti speciali. Naturalmente, l’esclusione è subordinata alla prova del corretto trattamento dei rifiuti da parte dell’impresa.
Cassazione: condizioni per l’esclusione dalla Tari
Tale motivo di ricorso è stato ritenuto fondato.
La doglianza riguarda la questione della non imponibilità ai fini TARI delle superfici utilizzate come magazzini, funzionali sia alla fase produttiva sia alla conservazione dei prodotti finiti, in quanto luoghi dove vengono generati, in maniera stabile e prevalente, rifiuti speciali.
Per affrontare la problematica, è necessario partire dal contenuto dell’art. 1, comma 649, della legge n. 147 del 2013, il quale stabilisce che, nel calcolo della superficie rilevante ai fini TARI, non si considerano le aree in cui si producono rifiuti speciali in modo continuo e predominante, a condizione che il soggetto obbligato dimostri di aver effettuato il corretto smaltimento a proprie spese, nel rispetto della normativa ambientale vigente.
Inoltre, la norma prevede che i Comuni, con apposito regolamento, debbano:
- prevedere riduzioni proporzionali della quota variabile del tributo per chi conferisce rifiuti assimilati al riciclo;
- identificare le zone di produzione di rifiuti speciali non assimilabili, nonché i magazzini di materie prime o merci strettamente e unicamente connessi all’attività produttiva, che godono dello stesso regime di esclusione.
L'apertura della norma introduce quindi una regola generale di esclusione dal tributo per le superfici dove si producono rifiuti speciali, giustificata dal fatto che lo smaltimento non grava sul servizio pubblico, ma direttamente sul produttore.
Il legislatore ha inoltre attribuito al regolamento comunale il compito di mappare le zone escluse, includendovi anche i magazzini strettamente connessi all’attività produttiva, sulla base di quattro condizioni cumulative:
- che ci sia un collegamento funzionale tra il locale e la produzione;
- che tale collegamento sia esclusivo, ovvero senza altra destinazione d’uso;
- che in tali spazi si producano rifiuti speciali in modo costante e prevalente;
- che il produttore abbia effettivamente smaltito tali rifiuti conformemente alle normative ambientali.
Questa interpretazione – come evidenziato dalla stessa società contribuente – è confermata anche dalla Risoluzione n. 2/DF del 9 dicembre 2014 emanata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in risposta a un quesito sulla tassabilità di aree scoperte e capannoni destinati allo stoccaggio. Secondo il MEF, le disposizioni vanno lette congiuntamente: il principio generale di esclusione previsto nel primo periodo del comma 649 deve essere armonizzato con il potere regolamentare dei Comuni previsto nel terzo periodo. Tale equilibrio serve a evitare un doppio onere economico per i produttori di rifiuti speciali, che altrimenti si troverebbero a sostenere sia il costo della TARI sia quello per lo smaltimento in proprio dei rifiuti.
Le riflessioni del Ministero appaiono dunque coerenti con un’interpretazione logica e sistematica della norma, che subordina il beneficio dell’esenzione alla dimostrata produzione continuativa e prevalente di rifiuti speciali e alla connessione esclusiva dell’area all’attività industriale.
Infine, la stessa Corte di Cassazione ha più volte ribadito (da ultimo con sentenza n. 18689/2024 e, prima ancora, con le decisioni nn. 8753, 8754 e 9032 del 2023) che le superfici dei magazzini che risultino funzionalmente ed esclusivamente legate alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili devono essere escluse dalla TARI, purché la produzione sia dimostrata e le merci stoccate rientrino nella stessa categoria.
Al contrario, restano soggette al tributo le aree destinate a:
- stoccaggio di semilavorati o prodotti finiti che generano rifiuti assimilati,
- attività commerciali, logistiche,
- deposito di beni e mezzi appartenenti a soggetti terzi.
Pertanto, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 11476 depositata il 1° maggio 2025, accogliendo la doglianza della contribuente, annulla la sentenza oggetto di impugnazione e rinvia il procedimento alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, che dovrà pronunciarsi nuovamente con una diversa composizione collegiale, occupandosi altresì della determinazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
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