Estorsione del datore di lavoro, quando si prescrive il reato?

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Estorsione del datore di lavoro, quando si prescrive il reato?

Commette il reato di estorsione il datore di lavoro che costringa i propri dipendenti ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge ed ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato e ponendoli in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivalga a perdere il posto di lavoro.

L'eventuale accordo contrattuale tra datore di lavoro e dipendente, con cui quest'ultimo accetti le suddette condizioni vessatorie, non esclude, di per sé, la sussistenza dei presupposti dell'estorsione mediante minaccia.

E difatti, anche uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perché ingiusto è il fine a cui tende.

Tali principi sono stati richiamati dalla Seconda sezione penale della Cassazione con sentenza n. 34775 del 9 agosto 2023, a conferma del riconoscimento della penale responsabilità di un'imprenditrice in ordine al reato di estorsione commesso ai danni di alcuni lavoratori.

Nella specie, le modalità estorsive contestate erano consistite nel costringere le persone offese - quali dipendenti dei diversi punti vendita delle varie società riconducibili alla ricorrente e al suo nucleo familiare - a sottoscrivere, nel corso dell'esecuzione del rapporto di lavoro, quietanze retributive per un importo che risultava superiore a quello corrisposto mensilmente in contanti.

Reato di estorsione del datore di lavoro, prescrizione

Nel testo della sentenza, la Suprema corte ha fornito chiarimenti anche in ordine al termine di prescrizione del reato di estorsione del datore di lavoro.

In primo luogo, è stato rammentato come, in tema di estorsione, le diverse condotte di violenza e minaccia poste in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonome ipotesi di reato, consumate o tentate, unificabili con il vincolo della continuazione.

L'unificazione si ha quando le condotte, singolarmente considerate, in relazione alle circostanze del caso concreto, alle modalità di realizzazione e all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità.

Qualora, invece, i molteplici atti di minaccia costituiscano singoli momenti di un'unica azione va ravvisato - come nel caso in esame - un unico reato.

Da quanto esposto discende che, ai fini dell'individuazione della consumazione del reato e del termine necessario a prescrivere, deve aversi riguardo non al momento in cui è stata profferita la minaccia, bensì all'epoca di cessazione delle singole condotte estorsive realizzate ai danni di ciascuna persona offesa, ossia all'atto della cessazione del rapporto di lavoro.

Nella vicenda esaminata, nessuna delle estorsioni era estinta per prescrizione alla data di deliberazione della sentenza di merito; di conseguenza, la condanna per estorsione andava confermata.

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