Falsi rapporti di lavoro per ottenere la NASpI: è truffa aggravata
Pubblicato il 11 settembre 2025
In questo articolo:
- Assunzioni fittizie per ottenere la NASpI: reato di truffa aggravata
- Il caso esaminato
- Il ricorso in Cassazione
- La decisione della Corte: è truffa aggravata non indebita percezione
- I requisiti per ottenere la NASpI
- La verifica dei dati da parte dell'INPS
- Natura sussidiaria e residuale del reato di indebita percezione
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Risponde del reato di truffa aggravata - e non della meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche - l'imprenditore che, mediante artifici e raggiri, dichiara falsamente l'esistenza di rapporti di lavoro, ingannando l'INPS e facendo ottenere ai falsi dipendenti l'indennità NASpI.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, nel testo della sentenza n. 30485 del 10 settembre 2025, pronunciata sul caso di un amministratore di fatto di alcune società, accusato, tra gli altri reati, del delitto di truffa aggravata, in concorso con il legale rappresentante delle stesse società e con altri soggetti.
Assunzioni fittizie per ottenere la NASpI: reato di truffa aggravata
Il caso esaminato
L'amministratore, nella specie, era stato condannato dalla Corte d'appello per avere, mediante artifici e raggiri consistiti nel denunziare falsamente la costituzione di rapporti di lavoro, indotto in errore l'INPS e procurato ai falsi dipendenti un ingiusto profitto facendo sì che percepissero l'indennità NASpI con corrispondente danno dell'Istituto previdenziale.
Il ricorso in Cassazione
L'uomo si era rivolto alla Suprema corte per impugnare la decisione di merito, lamentando, tra i motivi, l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 640 (sulla truffa aggravata) e 316-ter (sulla indebita percezione di indennità) del Codice penale, nonché l'illogicità e la mancanza di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'art. 316-ter cod. pen.
Secondo il ricorrente, in altri termini, l'invio della documentazione falsa all'INPS integrava la meno grave fattispecie di cui all'art. 316-ter cod. pen. non costituendo, la condotta posta in essere, artificio o raggiro ai sensi dell'art. 640 cod. pen.
La decisione della Corte: è truffa aggravata non indebita percezione
Gli Ermellini hanno ritenuto infondata la predetta doglianza, riconoscendo la sussistenza del più grave delitto di cui all'art. 640 cod. pen. nella sua forma aggravata.
L'imputato, difatti, non si era limitato a far dichiarare dei licenziamenti fittizi ma aveva posto in essere plurimi artifici e raggiri idonei non solo a trarre in inganno l'Istituto previdenziale sulla effettiva esistenza del rapporto di lavoro ma anche a rendere più difficile la verifica postuma dei presupposti per l'erogazione della prestazione richiesta.
Il complesso meccanismo truffaldino imbastito dal ricorrente ostava, pertanto, alla applicazione della residuale fattispecie di cui all'art. 316-ter cod. pen. riferito a situazioni meno gravi. In questo senso, il riferimento fatto dalla Corte d'appello alla natura fittizia delle assunzioni precedenti era un motivo valido per giustificare la condanna.
I requisiti per ottenere la NASpI
La Cassazione, nella propria disamina, ha ricordato che per ottenere la NASpI sono necessari diversi requisiti, tutti da soddisfare contemporaneamente. Molti dei dati richiesti per la sua erogazione, come la data di assunzione e licenziamento e le settimane di contribuzione, sono già in possesso dell'INPS. Questi dati sono infatti comunicati all'ente previdenziale in base a specifiche disposizioni legislative.
La verifica dei dati da parte dell'INPS
La semplice presentazione della domanda (insieme alla dichiarazione di licenziamento) non è sufficiente, di per sé, per l’erogazione della prestazione.
L'INPS deve verificare i dati forniti confrontandoli con le informazioni già in suo possesso, che precedono la domanda stessa. Quando, come nel caso in questione, tali dati derivano da assunzioni fittizie, essi rappresentano chiaramente artifici e raggiri che possono indurre in errore l'ente previdenziale.
L'INPS, infatti, non si limita a considerare i requisiti autocertificati dal richiedente, ma verifica anche le ulteriori informazioni necessarie per erogare il beneficio. Queste informazioni sono già in possesso dell'INPS e, come già spiegato, se presenti nella banca dati a seguito di comunicazioni false inviate precedentemente, diventano artifici e raggiri che possono indurre in errore l'Istituto, anche durante la fase istruttoria precedente all'erogazione della NASpI.
Nel caso in esame, inoltre, andava considerato che:
- la falsità dei dati comunicati all'INPS (e già in possesso dell'Istituto) prima della presentazione della domanda aveva reso decisamente più difficile verificare ex post la natura fittizia del rapporto di lavoro, come era stato accertato dalla polizia giudiziaria nel caso specifico;
- i giudici di merito avevano affermato (senza essere contraddetti su questo punto) che il complesso meccanismo truffaldino includeva anche l'indebita compensazione dei debiti contributivi con crediti inesistenti, che si basavano su rapporti di lavoro fittizi mai esistiti.
Natura sussidiaria e residuale del reato di indebita percezione
Nella decisione, peraltro, la Cassazione ha richiamato la sentenza pronunciata a Sezioni Unite n. 11969 del 2025 con cui è stata riaffermata la natura sussidiaria e residuale del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) rispetto al reato di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.). La norma introdotta nell'art. 316-ter, pur tutelando gli stessi interessi della truffa, offre una tutela complementare e copre i margini di scostamento dal paradigma punitivo della truffa.
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