Il carattere residuale della conciliazione monocratica

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Tizio rappresenta alla DTL che il proprio datore di lavoro Gamma S.r.l. è inadempiente agli obblighi retributivi e pertanto chiede l’attivazione dell’organo di vigilanza, al fine di conseguire quanto dovuto. La retribuzione di Tizio risulta composta anche da assegni per il nucleo familiare (ANF), ma siffatta circostanza non viene esposta nella richiesta d’intervento. Dal canto suo la DTL non verifica telematicamente, né la composizione della retribuzione di Tizio, né eventuali conguagli effettuati da Gamma S.r.l. a titolo di ANF nei DM10/2 inviati all’Ente previdenziale. Di contro la DTL avvia il procedimento di conciliazione monocratica che si conclude positivamente con sottoscrizione tra le parti del verbale di accordo, in cui gli importi a titolo di ANF, sebbene non menzionati, confluiscono nella somma conciliata. Il verbale di accordo viene inviato dalla DTL all’INPS, il quale constata che l’accordo si è formato anche sugli ANF che Gamma S.r.l. avrebbe dovuto anticipare per conto dell’Ente, avendoli infatti conguagliati a suo tempo nei DM10/2.

È valido il verbale di conciliazione?



Il carattere residuale della conciliazione monocratica

La conciliazione monocratica, come accennato nel caso pratico de “L'ispezione del lavoro” del 21 settembre 2012 “La conciliazione monocratica non preclude un autonomo accertamento da parte dell'Inps”, è un istituto la cui applicazione è stata molto incentivata in questi ultimi anni, al fine di favorire l'eliminazione dell’arretrato e di ridurre il contenzioso in materia lavoristica. L’idea della conciliazione come rimedio, efficace ed efficiente, per conseguire in tempi ragionevoli interessi patrimoniali difficilmente realizzabili in altre sedi o conseguibili con notevoli ritardo rispetto al naturale termine di scadenza, rappresenta senz’altro una valida strada per favorire la composizione delle controversie di lavoro. La L. n. 183/10 (c.d. Collegato lavoro) si fa portatrice di tale pensiero, poiché introduce e potenzia siffatti meccanismi conciliativi. Ma tali strumenti deflattivi, per quanto utili, dovrebbero pur sempre essere impiegati nel rispetto degli interessi pubblici sottesi alle imperative e inderogabili norme di legge che disciplinano il rapporto di lavoro. Il riferimento, a maggior ragione, si riferisce alla conciliazione monocratica, che si svolge dinanzi ad organi titolari di funzioni ispettive e di controllo circa l’osservanza delle regole conformanti il rapporto di lavoro da parte dei soggetti coinvolti nella procedura.

L’illecito penale quale fattore ostativo alla conciliazione monocratica


L’istruzione diramata dal Ministero, per cui la conciliazione non può essere azionata quando la controversia tra datore di lavoro e lavoratore risulti contrassegnata da illeciti penali, determina infatti un forte ridimensionamento della portata applicativa dell’art. 11 del D.lgs. n. 124/04, sottratta non a caso alle attribuzioni del Nucleo dei Carabinieri operanti presso la DTL, in ragione dello status di Ufficiali e Agenti di Polizia Giudiziaria, conferito a costoro e che, a detta del Ministero, “mal si contempera con il ruolo di conciliatore”. Il rapporto di lavoro è infatti disciplinato in massima parte da norme di rango pubblicistico, la cui violazione è spesso accompagnata da sanzioni penali. A ciò si aggiunga che tale rapporto costituisce presupposto per l’insorgenza dell’autonomo vincolo contributivo, tutelato anch’esso da norme penali. Sicché, la possibilità che la conciliazione verta su tematiche circoscritte esclusivamente al piano civilistico o amministrativo, appare alquanto residuale, atteso che la sussistenza di fatti di reato obbliga l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria (U.P.G.) all’accertamento dell’eventuale violazione della norma penale, precludendo di fatto la procedura di conciliazione.

Le prestazioni assistenziali componenti la retribuzione


Nel caso di specie, che poi è riscontrabile in maniera ricorrente, la retribuzione di Tizio risulta composta da emolumenti di natura assistenziale e segnatamente dagli assegni familiari, erogati dall’INPS al fine di sostenere economicamente il nucleo familiare del predetto lavoratore. L’erogazione da parte dell’INPS è stata effettuata mediante la tecnica del conguaglio eseguita nei modelli DM10/2, inviati telematicamente da Gamma S.r.l. all’Istituto. La denuncia mensile, contenente l’operazione di conguaglio, costituisce attestazione consapevole del datore di lavoro circa l'esistenza e il contenuto del rapporto obbligatorio intercorrente con l'Istituto previdenziale e secondo la Suprema Corte, tali modelli, proprio perché provenienti dal datore, hanno natura ricognitiva della situazione creditoria-debitoria esposta e fanno piena prova nei confronti del denunciante. Il valore probatorio attribuito a tali modelli determina la responsabilità penale di Gamma S.r.l., laddove quest’ultima, omettendo di corrispondere la retribuzione a Tizio, abbia portato comunque a conguaglio nei DM10/2 gli importi dovuti a titolo di ANF, integrando la fattispecie di truffa aggravata in danno dell'INPS, tipizzata dall'art. 640, comma 2, n. 1, c.p.

L’operazione, così strutturata, risulta il più delle volte sconosciuta al lavoratore, il quale infatti non è in grado di differenziare le voci che compongono la retribuzione, giacché per quest’ultimo ciò che rileva è “solo” la mancata corresponsione dello ‘stipendio’. In altri termini, in sede di richiesta d’intervento l’esposto del lavoratore si concentra sull’omesso pagamento della retribuzione, senza alcuna elencazione delle voci che ne compongono la struttura.

La richiesta d’intervento e il
fumus di reato

L’inconsapevolezza, plausibile nel lavoratore, diviene ingiustificata se riferita all’organo che raccoglie la denuncia. La tracciabilità dei rapporti di lavoro, le cui prestazioni sono verificabili telematicamente tramite apposite banche dati in dotazione agli organi di vigilanza, consente a questi ultimi di rilevare l’eventuale rilevanza penale della denuncia del lavoratore.

È vero che la mera presentazione di una richiesta d’intervento non ha valore vincolante per l'organo ispettivo, né costituisce ovviamente atto di accertamento, ma è altrettanto vero che i reati, sebbene non provati nella loro certezza ed obiettività, sono meritevoli di verifica anche solo allo stato della denuncia, essendo prevalente la necessità di reprimere condotte lesive degli interessi tutelati dalla legge penale. Si tratta di un orientamento espresso anche dalla Suprema Magistratura per cui “[…] il significato dell'espressione ‘quando...emergono indizi di reato’ - contenuta nell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell'ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l'obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire ai fini dell'applicazione della legge penale - deve intendersi nel senso che presupposto dell'operatività della norma sia non l'insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall'art.192 cod. proc. pen., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata”.

L’
escamotage ministeriale

Per superare l’impasse e rendere fattibile la conciliazione monocratica, anche in presenza di denunce suscettibili di risvolti penali, si è fatto ricorso a quello che si potrebbe definire un escamotage.

Infatti, fare della conciliazione monocratica il “canale prioritario di definizione delle richieste d’intervento aventi comunque contenuto patrimoniale”, “via assolutamente privilegiata di definizione della vicenda” e addirittura renderla “condizione preliminare di procedibilità” dell’azione ispettiva presuppone, da parte dell’organo di vigilanza, un esame empirico o sommario dei fatti esposti nella richiesta d’intervento. Il fuoco della verifica così si sposta sull’esistenza o meno di rivendicazioni patrimoniali, evitando di esaminare in maniera approfondita il contenuto della denuncia e la relativa portata effettuale. Secondo tale logica l’organo di vigilanza dovrebbe arrestarsi alle affermazioni del denunciante. Solo laddove la denuncia risultasse particolarmente dettagliata e volta a palesare violazioni penali, si determinerebbe uno sbarramento per l’avvio del procedimento di conciliazione.

Tale modus operandi si traduce nell’istruzione diramata dal Ministero del Lavoro per cui la conciliazione deve lasciare il posto alla visita ispettiva solo a fronte di denunce che rivestano “diretta ed esclusiva rilevanza penale” non essendo tali quelle in cui “la fattispecie rappresentata potrebbe avere solo eventuali implicazioni sul piano penale (es. lavoro in nero in relazione all’omessa sorveglianza sanitaria).

Dunque l’attivazione della procedura conciliativa sarebbe sempre fattibile qualora la richiesta d’intervento abbia anche risvolti penali, ma in realtà sia prioritariamente diretta a conseguire interessi patrimoniali. E considerato che tali interessi sono prevalentemente, se non esclusivamente presenti in ogni denuncia, ne segue che la procedura conciliativa diviene per l’appunto “canale prioritario di definizione della vicenda”, a prescindere da qualsiasi giudizio preliminare sul merito della denuncia.

L’attività istruttoria preliminare all’attività ispettiva


Ma ciò si pone in contrasto non solo con l’orientamento espresso dalle SS.UU., ma anche con l’art. 6 del DM del 20 aprile 2006 (
Codice di comportamento ad uso degli ispettori) il quale al comma I prevede che “[…] l’indagine ispettiva deve essere preceduta da una fase preparatoria diretta a raccogliere tutte le informazioni e la documentazione inerente al soggetto da sottoporre a controllo”. A tale fine i commi II e III della norma in commento contemplano rispettivamente l’utilizzo “delle tecnologie informatiche a supporto dell’attività di vigilanza”, dalle quali occorrerebbe ricavare sia “la tipologia d’intervento e le motivazioni che l’hanno determinata” sia e tra l’altro il “comportamento contributivo” del soggetto da ispezionare. A ciò si aggiunga che l’art. 8 del citato D.M. dispone che l’agevolazione degli accertamenti sui fatti oggetto della segnalazione richiede che quest’ultima sia acquisita in maniera “[…] circostanziata, con dettagliata descrizione degli elementi che ne costituiscono il fondamento attraverso l’indicazione di eventuali testi e documentazione cartacea”. Il tutto per evitare l’aggravio del procedimento ispettivo, ma anche al fine di saggiare la rilevanza e la disponibilità degli interessi sottesi alla richiesta d’intervento e valutare la portata effettuale della stessa.

In altri termini, la denuncia presentata dinanzi alla DTL dovrebbe essere completa e debitamente vagliata e scrutinata dall’organo ispettivo, mediante l’ausilio di ogni opportuna strumentazione, per comprendere:

  • l’eventuale fondatezza della richiesta;

  • se gli interessi sottesi al rapporto di lavoro ed esposti con la denuncia rientrino o meno nella disponibilità delle parti e quindi se siano conciliabili da parte di costoro o se invece integrino violazioni di norme penali, suscettibili di rendere necessario l’accertamento ispettivo.


Capacità delle parti a transigere ed efficacia dell’accordo


Così operando la conciliazione monocratica si marginalizza, in ragione della codificata e prevalente necessità di svolgere un’istruttoria preliminare inerente alla capacità dispositiva delle parti rispetto alle complessive pretese patrimoniali rivendicate con la richiesta d’intervento; pretese invero che possono comprendere emolumenti di integrazione e/o sostegno al reddito sottratti alla disponibilità delle parti e che ove conciliati formerebbero oggetto di un accordo senz’altro inefficace rispetto agli enti assicurativi e previdenziali. Tale accordo peraltro potrebbe essere colpito da nullità, se non altro parziale, per violazione dell’art. 1966 c.c., che comunque non farebbe venir meno l’obbligo, da parte della DTL, di esercitare rispetto ai fatti oggetto di segnalazione le funzioni di cui all’art. 6 comma 2 del D.lgs. n. 124 cit..

E infatti se la qualifica di Agenti e U.P.G. attribuita ex lege ai militari del Nucleo dell’Ispettorato del lavoro preclude a costoro la possibilità di presiedere all’attività di conciliazione, obbligandoli invece all’esperimento delle indagini, mutatis mutandis la stessa considerazione dovrebbe valere anche per gli ispettori del lavoro della DTL. Questi ultimi sono infatti titolari, ai sensi dell’art. 6 comma 2 del D.lgs. n. 124 cit., dello status di U.P.G., che, riprendendo la dizione ministeriale, “mal si contempera con il ruolo di conciliatore e che invece rende necessario, qualora vi siano ipotesi di reato, l’esercizio delle funzioni di cui all’art. 55 c.p.p. volte a reprimere condotte offensive al bene tutelato dalla norma penale.

Il caso di specie


All
a luce di tali argomentazioni, a parere degli scriventi, la conciliazione monocratica, contrariamente alla prassi invalsa negli uffici, può essere validamente ed efficacemente espletata nelle sole ipotesi in cui le rivendicazioni patrimoniali attengano esclusivamente al piano civile e involgano unicamente le parti del rapporto di lavoro.

Circostanze queste che non ricorrono nel caso di specie.

E infatti Tizio ha formulato alla DTL una richiesta d’intervento nei confronti del proprio datore di lavoro Gamma S.r.l., al fine di conseguire il pagamento delle retribuzioni arretrate. La retribuzione di Tizio risulta composta anche di assegni per il nucleo familiare (ANF), ma siffatta circostanza non è stata esposta nella richiesta d’intervento. Dal canto suo la DTL, pur avendone la facoltà, non ha verificato telematicamente, né la composizione della retribuzione di Tizio, né eventuali conguagli effettuati da Gamma S.r.l. a titolo di ANF nei DM1/02, inviati all’Ente previdenziale. Di contro la DTL ha avviato il procedimento di conciliazione monocratica, che si è concluso positivamente con sottoscrizione, tra le parti, del verbale di accordo, nel quale gli importi a titolo di ANF, sebbene non menzionati, sono confluiti nella somma conciliata. Il verbale di accordo è stato poi inviato dalla DTL all’INPS, il quale ha constatato che l’accordo si è formato anche sugli ANF che Gamma S.r.l. avrebbe dovuto anticipare per conto dell’Ente, avendoli infatti conguagliati a suo tempo nei DM10/2 inviati all’Ente.

Orbene tale modus operandi contrasta con quanto previsto dall’art. 6 del DM del 20 aprile 2006 relativo alla necessità da parte della DTL di non arrestarsi alle locuzioni verbali della denuncia, ma valutare il merito della stessa, onde considerare l’eventuale fattibilità della conciliazione monocratica su rivendicazioni patrimoniali sottratte alla disponibilità delle parti e non conciliabili, perché comprensive di prestazioni di sostegno al reddito, peraltro conguagliate da Gamma S.r.l. nei DM10/2. Infatti, la formulazione della doglianza patrimoniale di Tizio, nonché la possibilità che la retribuzione di quest’ultimo fosse composta da ANF e l’eventuale conguaglio dei predetti importi nei DM10/2 costituivano tutte circostanze che richiedevano una preliminare ricognizione da parte della DTL e che ove effettuata (peraltro eseguibile con modalità telematiche) avrebbe scongiurato la formazione di un accordo senz’altro inefficace nei confronti dell’INPS e potenzialmente affetto da nullità per incapacità a transigere delle parti. Successivamente l’INPS potrebbe segnalare alla DTL l’inefficacia dell’accordo conciliativo al fine di consentire a quest’ultima di esercitare le funzioni di polizia giudiziaria per l’accertamento circa la fondatezza del fumus di reato.


NOTE

i Cfr. L. n. 183/10 art. 31.

ii Cfr. nota Ministero del Lavoro n. 1043 del 29 settembre 2004.

iii Le fattispecie più ricorrenti attengono alla materia della sicurezza del lavoro (cfr. D.lgs. n. 81/08 e succ. mod. e integr.).

iv Si pensi a titolo esemplificativo e più ricorrente all’art. 2 della L. n. 638/1983 che tipizza il reato di appropriazione indebita per omesso versamento dei contributi.

v All’atto della corresponsione della retribuzione mensile Gamma S.r.l. quale datore di lavoro, ha anticipato, per conto dell’INPS, anche la somma spettante a Tizio a titolo di ANF. L’importo di tale emolumento è stato poi registrato dal datore di lavoro nel Libro Unico del Lavoro e indicato nel prospetto paga mensile consegnato al lavoratore. Correlativamente, all’atto dell’invio della denuncia mensile contributiva, Gamma S.r.l., o il soggetto incaricato da quest’ultima, ha detratto a conguaglio dai complessivi oneri contributivi le somme anticipate a titolo di assegno per il nucleo familiare.

vi Cass. pen. Sez. III, Sent., 02-12-2009, n. 46451.

vii Cfr. Cass. pen. Sez. II, 02/02/2010, n. 8537; ex multis Cass. pen. Sez. II, 15/03/2007, n. 11184; Cass. Sez. II, 9.1.2003, n. 11757; Cass. Sez. II, 18.1.2002, n. 15600; Cass. Sez. III, 19.10.2000, n. 12169. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il datore di lavoro non agisce con il fine di non versare i contributi di legge, bensì con quello di conseguire un ingiusto profitto, mediante la fraudolenta esposizione nelle denunce mensili di fatti non corrispondenti al vero.

viii Il caso riferito è inerente agli assegni familiari, ma il discorso non muta in caso di mancata fruizione dell’indennità di malattia o maternità, ovvero della cassa integrazione. Così come per l’ipotesi di lavoro nero che spesso è accompagnato da violazioni in materia di sicurezza del lavoro.

ix Cass. pen. Sez. Unite, 28/11/2001, n. 45477.

xi Cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 36, del 26 novembre 2009

xii Ministero del lavoro nota prot. n. 25/SEGR/90008716 cit.

xiii Cfr. circolare Ministero del lavoro n. 36 cit.

xiv Cfr. caso pratico de “L'ispezione del lavoro” del 21 settembre 2012 “La conciliazione monocratica non preclude un autonomo accertamento da parte dell'Inps”.

xv L’art. 1966 c.c. infatti stabilisce al I comma che “Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite”. Il secondo comma dispone che “la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.

xvi Cfr. nota Ministero del Lavoro n. 1043 cit.

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