Inadempimento retributivo: la sentenza non interrompe la prescrizione dei contributi

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Inadempimento retributivo: la sentenza non interrompe la prescrizione dei contributi

"L’accertamento giudiziale dell’inadempimento retributivo, intervenuto esclusivamente tra il datore di lavoro e il lavoratore, non ha alcuna incidenza sul decorso della prescrizione dei contributi e dei relativi accessori".

Lo ha puntualizzato la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con ordinanza n. 14548 del 30 maggio 2025.

La sentenza sulle differenze retributive non ferma la prescrizione dei contributi

Autonomia tra obbligazione retributiva e contributiva

Nella decisione, la Suprema corte ha ricordato come l’obbligazione retributiva e quella contributiva, pur traendo origine entrambe dall’instaurazione del rapporto di lavoro, siano giuridicamente autonome e distinte.

In particolare, l’obbligo del datore di lavoro di versare i contributi previdenziali all’ente competente sorge a prescindere dall’effettivo adempimento degli obblighi retributivi nei confronti del lavoratore.

Ciò significa che l’obbligo contributivo sussiste anche qualora il datore abbia omesso in tutto o in parte il pagamento delle retribuzioni, oppure il lavoratore abbia rinunciato ai relativi diritti.

I contributi dovuti sono infatti determinati in base alla retribuzione dovuta per legge o contratto, e non alla retribuzione effettivamente corrisposta, secondo il principio del minimale contributivo.

Rilievo a retribuzione dovuta

Il sistema di prelievo contributivo è fondato sulla nozione di retribuzione “dovuta”, intesa come l'importo che spetta al lavoratore in base alla legge, al contratto collettivo o ad altri titoli giuridici, indipendentemente dalla sua effettiva erogazione.

Di conseguenza, il termine di prescrizione del credito contributivo, così come quello relativo alle somme accessorie (quali sanzioni e interessi di mora), decorre dal momento in cui la prestazione retributiva è dovuta nella sua interezza, anche se di fatto non corrisposta.

L'incidenza dell'accertamento giudiziale sull'andamento della prescrizione

Come naturale conseguenza dei principi precedentemente esposti, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’accertamento giudiziale dell’inadempimento retributivo, intervenuto nell’ambito di un giudizio promosso esclusivamente tra il datore di lavoro e il lavoratore, non influisce in alcun modo sul decorso della prescrizione del diritto dell’INPS alla riscossione dei contributi previdenziali e delle relative somme accessorie.

In altri termini, anche se una sentenza riconosce successivamente il diritto del lavoratore a percepire differenze retributive (ad esempio, per un superiore inquadramento), tale accertamento non interrompe né sospende il termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio del diritto contributivo da parte dell’ente previdenziale, il quale resta ancorato al momento in cui la prestazione retributiva era originariamente dovuta.

Il caso esaminato

Nel caso oggetto della pronuncia, la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che le sentenze emesse nei giudizi promossi dai lavoratori nei confronti del solo datore di lavoro, finalizzate all’accertamento del diritto a percepire differenze retributive, potessero costituire fatti interruttivi del termine di prescrizione del credito contributivo vantato dall’INPS.

Secondo la Corte territoriale, tali pronunce avrebbero inciso sul decorso della prescrizione, determinando un nuovo dies a quo per l’esercizio del diritto dell’ente previdenziale al recupero dei contributi e dei relativi accessori.

Tale impostazione è stata smentita dalla Corte di Cassazione, in quanto priva di fondamento giuridico, alla luce dell’autonomia dell’obbligazione contributiva e dell’inidoneità di atti provenienti da soggetti terzi (come i lavoratori) a produrre effetti interruttivi nei confronti dell’INPS.

La Corte di Cassazione ha rilevato l’errore commesso dal giudice di merito, chiarendo che gli atti interruttivi della prescrizione devono provenire esclusivamente dal creditore (INPS) o, eventualmente, dal debitore (datore di lavoro).

Il lavoratore, infatti, non riveste la qualifica né di creditore né di debitore nel rapporto contributivo: non è titolare del credito previdenziale né è obbligato al suo pagamento. Di conseguenza, l’azione giudiziaria promossa dal lavoratore per ottenere il riconoscimento delle differenze retributive, così come la pronuncia che accerta tale diritto, non hanno alcuna efficacia interruttiva nei confronti della prescrizione del credito contributivo e dei relativi accessori.

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