L’errore di diritto è scusabile?

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Tizio è amministratore unico di Gamma quale impresa edile. Per il trasporto di merci dal magazzino al cantiere Tizio contatta Caio, quale persona di propria conoscenza, e chiede a costui di svolgere il relativo servizio. Giunto presso il cantiere, Caio constata che all’interno del negozio è in atto un controllo ispettivo. Caio, interpellato dagli ispettori, dichiara di aver svolto l’attività su incarico di Tizio, quale amministratore unico di Gamma. Dal controllo delle banche dati emerge che la posizione di Caio non è stata comunicata mediante UNILAV, né risultano assolti in favore di costui gli adempimenti previdenziali. In ragione di ciò gli ispettori irrogano la sanzione per lavoro nero. Tizio, in sede di ricorso, adduce come esimente la propria buona fede, affermando di conoscere le regole civili che disciplinano l’instaurazione del rapporto di lavoro, ma non quelle specifiche di settore che concernono la regolarità amministrativa del rapporto stesso. È plausibile l’argomentazione addotta da Tizio?



Premessa

Dopo aver illustrato nel caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro”, del 18 ottobre 2013, “Quando la buona fede esime dalla responsabilità per illecito amministrativo” i profili che caratterizzano l’errore sul fatto, occorre inevitabilmente soffermarci sull’altro ambito in cui può annidarsi l’errore e cioè il precetto normativo, che è generalmente conosciuto con il sintagma errore di diritto. La disciplina di tale istituto viene sinteticamente espressa nel brocardo latino ignorantia legis non excusat. Tuttavia il significato della massima va parametrato non in una dimensione astratta, ma in base alle conoscenze concrete del soggetto che è caduto in errore. Scendiamo nel dettaglio.


L’errore di diritto in sede penale: cenni


Si ritiene che per comprendere la portata dell’istituto nel settore delle sanzioni amministrative occorre muovere dalla disciplina penale. Come già rilevato, l’errore è una falsa rappresentazione della realtà. Il fattore distorsivo può interessare l’ambito reale o fattuale ovvero l’esistenza e/o il significato oggettivo della norma giuridica. In tale ultima ipotesi si ha errore di diritto, che per l’appunto cade sugli elementi essenziali della fattispecie astratta, e quindi in materia penale, sugli elementi normativi che descrivono il reato e sui quali si fonda il giudizio di disvalore penale. Come osservato nel precedente contributo, dall’errore di diritto va tenuto distinto l’errore sul fatto che concerne un travisamento della realtà materiale. Siffatta distinzione diventa meno netta nell’ipotesi in cui l’inesatta conoscenza del dato giuridico si ripercuote in una errata conoscenza della realtà materiale. Analogamente problemi di qualificazione dell’errore insorgono quando l’errore cade sulla legge penale, ma investe la parte della fattispecie per la cui disciplina v’è specifico rinvio a una norma extrapenale. In tale ultima ipotesi ci si chiede se la legge extrapenale merita di essere attratta nella disciplina dell’errore sul fatto in virtù del disposto di cui all’art. 47 comma 3 del c.p., a tenore del quale “l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato”.

La Corte di Cassazione penale ritiene che l’errore di diritto rimanga tale sia (ovviamente) quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa. Così secondo la Corte il sintagma “legge diversa dalla legge penale” ai sensi dell’art. 47 c.p. si riferisce specificatamente alla norma “[…] destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente”.

La scusabilità dell’errore di diritto in sede penale


Ciò posto e venendo alla rilevanza scusante dell’errore, l’art. 5 del c.p. stabilisce perentoriamente che “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”. La rigida lettura della norma porterebbe a ritenere che l’errore di diritto non potrebbe mai essere addotto come causa di esclusione della colpevolezza. Tale lettura tuttavia è stata ritenuta non aderente al principio di colpevolezza. Segnatamente la Corte costituzionale, con sentenza 23-24 marzo 1988, n. 364, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5 c.p., nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Senza addentrarci eccessivamente in un tema da ampi e più profondi risvolti e limitandoci agli aspetti della presente indagine, è sufficiente rilevare che per il Giudice delle leggi l’efficacia scusante va attribuita alla condotta di colui che, sebbene abbia adempiuto a tutti i doveri informativi, non riesce comunque a superare lo stato di ignoranza della legge penale. Ebbene, secondo la Corte Costituzionale, tale circostanza segna il discrimine della scusabilità dell’errore perché non può essere trattata allo stesso modo di chi deliberatamente o per trascuratezza violi i precetti normativi. La misura della diligenza del dovere informativo è centrato sui criteri della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento e questi ultimi debbono essere rapportati ad un parametro di riferimento tendenzialmente oggettivo, che è quello dell’homo eiusdem professionis et condicionis. Si tratta, in altre parole, di un’astratta figura di agente modello, esperto ed accorto, che ipoteticamente svolga quello stesso tipo di attività posta in essere dall’agente in carne ed ossa. Tale raffronto dovrebbe poi essere calmierato con le concrete conoscenze del soggetto, dal suo livello culturale e di socializzazione, nonché dalle particolari conoscenze e dalle personali condizioni di inferiorità. Testé si è utilizzato l’avverbio tendenzialmente perché il criterio dell’agente modello, per quanto esprima l’idea di una valutazione oggettiva, rimane comunque permeato da inevitabili canoni soggettivi che risiedono nella mens dell’interprete e che sono il frutto della cultura, degli ideali e delle convinzioni personali di quest’ultimo.

Ciò chiarito il passaggio successivo è quello di verificare se tali principi possono attagliarsi anche alla materia delle sanzioni amministrative. Il quesito si impone perché l’art. 3 della L. n. 689/81 attribuisce efficacia scusante all’errore sul fatto, mentre non contiene alcun cenno all’errore di diritto.

La giurisprudenza formatosi sull’art. 3 della L. n. 689 cit.

  1. Un primo filone ormai datato e comunque isolato della giurisprudenza ritiene di leggere l’art. 3 della L. n. 689 cit. in una prospettiva strettamente letterale, nel senso che tale norma attribuirebbe efficacia esimente unicamente all’errore sul fatto. L’ipotesi dell’errore di diritto non viene menzionata dalla citata previsione normativa e quindi non potrebbe essere addotta dal soggetto agente per escludere la propria eventuale responsabilità. Pertanto, secondo tale orientamento, l’ignoranza o l’inesatta conoscenza del precetto normativo al quale sono correlate sanzioni amministrative non scuserebbe mai. Conformemente a tale indirizzo si registra una recente pronuncia della Suprema Corte che, seppur emanata su un istituto differente (sospensione della prescrizione), ritiene che nel sistema generale delle sanzioni amministrative non sono applicabili per analogia le norme dettate dal codice civile o dal codice penale. Ciò comporterebbe che l’errore di diritto, in quanto non disciplinato dalla L. n. 689 cit., non potrebbe essere regolamentato neppure mediante ricorso per analogia ai principi del diritto penale.

  2. Di tutt’altro avviso è l’orientamento maggioritario della giurisprudenza la quale ritiene che l’omessa previsione da parte dell’art. 3 della L. n. 689 cit. dell’errore di diritto come causa esimente della responsabilità possa essere superata mediante l’applicazione analogica dei principi del diritto penale e quindi dell’art. 5 del c.p.. Testualmente il Consiglio di Stato ha osservato recentemente che “anche nella materia dell’illecito amministrativo disciplinato dalla legge n. 689/1981 (Depenalizzazione) deve ritenersi applicabile l’art. 5 c.p., quale risulta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 364, secondo la quale viene a mancare l’elemento soggettivo quando ricorra la inevitabile ignoranza del precetto da parte di chi commetta l’illecito […]”. Medesimo orientamento è stato espresso dalla Corte di Cassazione, secondo la quale la circostanza che l’art. 3 della L. n. 689 cit. conferisca rilevanza esimente unicamente all’errore sul fatto non esclude che tale efficacia possa essere riconosciuta anche all’errore di diritto, in analogia a quanto previsto dall’art. 5 del cod. pen., dovendosi in materia fare applicazione dei principi contenuti nella sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale.

  3. Nell’ambito di tale indirizzo si inserisce poi quell’orientamento (cui si è fatto cenno nel precedente contributo) che unifica ai fini pratici l’errore di fatto e di diritto.


Il dovere di informazione

In sede di applicazione dei canoni di valutazione dell’errore le due ipotesi sono in un certo senso assimilabili, perché entrambe devono essere ragguagliate al criterio dell’homo eiusdem professionis et condicionis sul quale grava l’adempimento del dovere di informazione da assolvere in base alle circostanze del caso concreto e alla tipologia di attività presa a riferimento.

Si rileva che la giurisprudenza penale ha osservato che per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre che il soggetto abbia assolto tale dovere di informazione interpellando formalmente esperti ovvero le autorità competenti in materia. L’effetto scusante può conseguire inoltre da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale; circostanze queste che hanno potuto indurre il convincimento sulla correttezza dell’interpretazione normativa e, quindi, sulla liceità del comportamento tenuto. Al contrario la giurisprudenza nega efficacia esimente in caso di contrasto di orientamenti giurisprudenziali dal momento che, “[…] in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia”. Del pari sono considerate ininfluenti anche le condotte tolleranti se non proprio superficiali tenute dal personale della P.A. e che abbiano ingenerato “ingenui” affidamenti.

Alla luce di tali osservazioni si può passare all’esame del caso concreto.

Il caso concreto


Tizio è amministratore unico dell’impresa edile Gamma. Per il trasporto di merci dal magazzino al cantiere, Tizio ha contattato Caio, quale persona di propria conoscenza, e gli ha chiesto di svolgere il relativo servizio. Giunto presso il cantiere Caio ha constatato che all’interno del negozio era in atto un controllo ispettivo. Caio, interpellato dagli ispettori, ha dichiarato di aver svolto l’attività su incarico di Tizio, quale amministratore unico di Gamma. Dal controllo delle banche dati è emerso che la posizione di Caio non è stata comunicata mediante UNILAV, né sono stati assolti in favore di costui gli adempimenti previdenziali. In ragione di ciò gli ispettori hanno irrogato la sanzione per lavoro nero. Tizio in sede di ricorso ha addotto come esimente la propria buona fede, affermando di conoscere le regole civili che disciplinano l’instaurazione del rapporto di lavoro, ma non quelle specifiche di settore che concernono la regolarità amministrativa del rapporto stesso. Le giustificazioni di Tizio non appaiono plausibili. Tizio è amministratore unico di Gamma e quindi occupa la posizione di vertice dell’impresa: ciò comporta per costui l’assunzione delle principali responsabilità gestionali dell’azienda. Tali responsabilità implicano senz’altro il dovere di Tizio di assumere tutte le informazioni inerenti alla gestione, non solo civilistica ma anche amministrativa, del rapporto di lavoro dei dipendenti. Gli scriventi ritengono che Tizio era perfettamente in grado di acquisire facilmente le informazioni sulla normativa di settore, sia rivolgendosi ai professionisti abilitati (se del caso chiedendo ausilio al proprio consulente aziendale), sia interpellando le strutture periferiche ministeriali. La mancata conoscenza addotta da Tizio della normativa di settore non appare giustificabile e la buona fede invocata da costui non pare che possa essere validamente sostenuta in sede di ricorso. Anzi, la posizione rivestita da Tizio rispetto alla specifica tipologia di illecito, lascia trasparire una grave negligenza del predetto amministratore nelle modalità di gestione del rapporto di Caio. Semmai, ma l’aspetto non è stato affrontato, Tizio avrebbe potuto contestare la legittimità della maxisanzione in ordine all’eventuale sussistenza degli indici della subordinazione.


NOTE

i In ambito civile la disciplina è differente e non viene trattata nel contributo perché non afferente al tema di indagine.

ii All’errore viene comunemente equiparato lo stato d’ignoranza, mentre lo stato di dubbio non è idoneo ad escludere la colpevolezza.

iii Cass. pen. Sez. IV, 07/07/2010, n. 37590; conformi Cass. pen. Sez. IV, 18/01/2012, n. 6405; Cass. pen. Sez. VI, 22/06/2011, n. 43646; Cass. pen. Sez. V, 12-02-2009, n. 10636 ; Cass. pen. Sez. V, 20-02-2001, n. 17044.

iv Cfr. Cass. pen. Sez. VI, 22/06/2011, n. 43646.

v Cfr. Cass. civ. Sez. I, 12-06-1996, n. 5415.

vi Cass. civ. Sez. II, 13/12/2011, n. 26741.

vii Cfr. Cons. Stato Sez. VI, 05/03/2013, n. 1320.

viii Cfr. Cass. civ. Sez. II, 22-11-2006, n. 24803; Cass. civ. Sez. II, 13-09-2006, n. 19643; Cass. civ. Sez. V, 09-04-2003, n. 5615; nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Macerata, 07/03/2008.

ix Cons. Stato Sez. VI, 21/06/2011, n. 3719; Cass. civ. Sez. II, 06/04/2011, n. 7885; sembra più aderente al concetto di errore sul fatto T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 11/02/2011, n. 456.

x Cass. civ. Sez. II Sent., 18-07-2008, n. 19995.

xi Cass. civ. Sez. II, 22-11-2006, n. 24803; Cass. civ. Sez. II, 13-09-2006, n. 19643.

xii Cass. pen. Sez. III, 10/03/2011, n. 14033; Cass. pen. Sez. III, 05/04/2011, n. 35694.

xiii Cfr. Cass. pen. Sez. IV, 15/07/2010, n. 32069; Cass. pen. Sez. Unite, 10/06/1994, n. 8154.

xiv Cass. pen. Sez. VI, 25/01/2011, n. 6991; Cass. pen. Sez. II, 23/11/2011, n. 46669; Cass. pen. Sez. III, 05/04/2011, n. 35694.

xv Cass. pen. Sez. III, 05/12/1996, n. 646

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