Licenziamento per altra attività durante la malattia: quando è legittimo

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Licenziamento per altra attività durante la malattia: quando è legittimo

Con ordinanza n. 23747 del 4 settembre 2024, la Corte di cassazione, sezione lavoro, è tornata a pronunciarsi in materia di licenziamento disciplinare intimato al dipendente per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l'assenza per malattia.

Attività lavorativa durante la malattia: legittimità del licenziamento

Sulla questione, gli Ermellini hanno fatto richiamo ai principi già enunciati in precedenti pronunce di legittimità.

Onere della prova al datore di lavoro

Nelle ipotesi in esame - ha ribadito la Corte - grava sul datore di lavoro la prova che la malattia in questione sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente medesimo.

Difatti, l'art. 5 della Legge n. 604/1966 - secondo cui "L'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro" - pone a carico del datore di lavoro l'onere della prova di tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento.

E' il datore, dunque, che deve provare tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l'illecito disciplinare contestato.

Attività lavorativa durante la malattia: violati obblighi di diligenza e fedeltà

Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede.

Tale violazione si determina sia nell'ipotesi in cui l'attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, sia nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

Attività non compromette la guarigione? Stop al licenziamento

Il caso esaminato

Nella vicenda esaminata dalla Suprema corte, una società aveva licenziato il dipendente per giusta causa, accusandolo di aver svolto attività lavorative durante il periodo in cui era in congedo per infortunio.

Nello specifico, il dipendente era stato sorpreso mentre eseguiva attività leggere e pesanti nel proprio bar, come sollevare sedie, tavoli e manipolare oggetti, nonostante fosse in malattia per una distorsione alla mano.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, sostenendo che tali attività non avevano compromesso la sua guarigione.

Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte d'Appello avevano dichiarato l'illegittimità del licenziamento, ordinando la sua reintegrazione e il risarcimento dei danni.

La società, ciò posto, aveva proposto ricorso in Cassazione.

In questa sede, tuttavia, sono state confermate le decisioni dei precedenti gradi di giudizio.

La decisione della Corte di cassazione

Onere della prova

Nella propria disamina, la Suprema corte ha rammentato che spettava alla società dimostrare che le attività svolte dal dipendente durante il periodo di malattia fossero tali da compromettere la sua guarigione o ritardare il suo rientro al lavoro.

Nella specie, la società non era riuscita a fornire prove sufficienti in tal senso.

Rilevanza delle attività

Le attività contestate - accertate attraverso il posizionamento di una telecamera puntata sull’ingresso dell’esercizio commerciale - non erano state ritenute sufficientemente gravi per compromettere la guarigione del dipendente.

In particolare, le attività considerate più gravose - come il sollevamento di sedie e tavoli - erano avvenute a distanza di circa sette mesi dall'infortunio e a pochi giorni dalla fine del periodo di inabilità, circostanza, questa, che riduceva ulteriormente la loro rilevanza.

Giusta causa di licenziamento

La Corte, in tale contesto, ha ribadito che la giusta causa per licenziamento deve essere interpretata in maniera rigorosa.

Nel caso specifico, non c'erano prove sufficienti per dimostrare che il comportamento del dipendente fosse stato tale da giustificare il licenziamento.

Tale condotta, pur essendo materialmente sussistente, non presentava profili di illiceità sufficienti per giustificare il licenziamento per giusta causa.

Il ricorso della società, come anticipato, è stato rigettato e la datrice di lavoro è stata condannata al pagamento delle spese legali.

Attività extralavorativa durante la malattia

Da rammentare, in un caso analogo, altra recente pronuncia della Cassazione - la n. 22712/2024 - con cui gli Ermellini hanno confermato l'illegittimità di un licenziamento disciplinare a seguito della prova, da parte del dipendente, della circostanza che l'attività extralavorativa praticata durante la convalescenza - nella specie si era trattato di attività sportiva - non aveva prolungato il periodo di inidoneità al lavoro ma anzi aveva favorito la guarigione.

Un diverso esito ha invece caratterizzato altra vicenda, riguardante un dipendente, sempre assente per malattia, a cui era stato contestato di aver partecipato ad una partita di calcio, implicante uno sforzo fisico gravoso (Cassazione n. 25852 del 5 settembre 2024). 

Mentre è stato escluso, in un'altra fattispecie, che lo svolgimento di attività ludica presso una sala Bingo potesse rivelare una malattia simulata da parte di una lavoratrice, per come invece contestato dalla datrice di lavoro (Cassazione n. 25858 del 5 settembre 2024).

Attività extralavorative incompatibili? Licenziamento legittimo

E' stato confermato, invece, sempre dalla Cassazione, il licenziamento disciplinare di altro lavoratore che, durante la malattia, aveva svolto attività extralavorative incompatibili con la sua condizione di salute certificata.

Nell'impugnare il licenziamento, il lavoratore aveva sostenuto che gli accertamenti investigativi svolti dalla società fossero illegittimi e che la sua condotta non giustificasse il licenziamento.

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 21766 del 2 agosto 2024, ha confermato la legittimità della decisione di recesso e degli accertamenti svolti a suo carico dalla società.

Legittimi gli accertamenti investigativi

Tali indagini non erano rivolte a verificare lo stato di salute, bensì a valutare se le attività svolte fossero compatibili con la malattia dichiarata.

Inoltre, il licenziamento per giusta causa irrogato era da ritenere legittimo, atteso che il dipendente non aveva rispettato i doveri di correttezza e buona fede, non comunicando il miglioramento del suo stato di salute e svolgendo attività che avrebbero potuto ritardare il suo rientro al lavoro.

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