Rissa sul luogo di lavoro: licenziato per aggressione al superiore

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Rissa sul luogo di lavoro: licenziato per aggressione al superiore

La condotta contestata come insubordinazione viene riqualificata come rissa in sede di licenziamento? Nessuna violazione del principio di immutabilità della contestazione se i fatti considerati di rilievo disciplinare sono i medesimi.

Con ordinanza n. 26043 del 7 settembre 2023, la Corte di cassazione ha definitivamente respinto le istanze di un lavoratore, oppostosi al licenziamento con preavviso intimatogli dalla società presso cui lavorava.

Il recesso disciplinare era collegato ad un episodio di rifiuto di sottoscrizione di un ordine di servizio, relativo alle postazioni e agli orari di lavoro, cui era seguita un'aggressione verbale nei confronti dei responsabili, con ingiurie e minacce.

Principio di immutabilità della contestazione disciplinare

Dopo che i giudici di merito, di primo e secondo grado, avevano rigettato l'impugnativa del licenziamento, il dipendente si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, la violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.

La società, nel dettaglio, aveva contestato al lavoratore, in prima battuta, la fattispecie della grave insubordinazione prevista dal CCNL e comportante il licenziamento senza preavviso, e poi, in sede di irrogazione del licenziamento, la fattispecie della rissa sul luogo di lavoro, sempre prevista dal CCNL applicato al rapporto, comportante il licenziamento con preavviso.

La Cassazione ha giudicato infondata la predetta doglianza, posto che nella sentenza gravata non erano stati mutati i fatti contestati di rilievo disciplinare, ma la loro qualificazione.

Andava escluso, ossia, che fosse stato violato il principio di immutabilità in parola, in quanto il fatto materiale  - costituito dal rifiuto di sottoscrivere un ordine di servizio e dall'aggressione verbale con ingiurie e minacce - era rimasto il medesimo.

Come del resto ricordato dalla giurisprudenza, in tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, "così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto".

Rissa, nozione civilistica: bastano anche due persone

Gli Ermellini, a seguire, hanno rigettato anche l'ulteriore motivo di doglianza avanzato dal prestatore, relativo alla ritenuta erronea riconduzione della condotta contestata alla fattispecie di rissa sul luogo di lavoro.

La Corte territoriale, sul punto, aveva richiamato l’orientamento di legittimità secondo cui la nozione civilistica di rissa, prevista da numerosi contratti collettivi, individua una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell'azione e la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, in ogni caso, laddove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento della vita collettiva nell'ambito della comunità aziendale.

Si tratta di una nozione più lata di quella "penalistica", nella quale primeggia la tutela dell’incolumità personale e in cui è presupposta come dimensione minima del conflitto la partecipazione di almeno tre persone.

Ebbene, atteso che parte ricorrente non aveva trascritto né prodotto le norme del CCNL al ricorso per cassazione, emergeva chiaramente, dalla motivazione della sentenza impugnata, che il licenziamento intimato era stato ritenuto legittimo per la gravità della condotta contestata, essendosi trattato di uso di parole offensive e minacciose e di rifiuto degli ordini lavorativi dei responsabili, vale a dire di gesto violento con minaccia di aggressione, che aveva ingenerato un clima di paura, turbando l’attività lavorativa e l’intero ambiente circostante tanto che, nell'occasione, erano state anche chiamate le forze dell'ordine.

La pronuncia d’appello, in altri termini, aveva valutato in concreto il comportamento tenuto per la sua gravità, suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli scopi aziendali.

Andava esclusa, pertanto, la riconducibilità della condotta ad ipotesi punita con sanzione conservativa.

In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo - ha quindi rammentato la Corte - la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c.

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