Nei gruppi di imprese ciascuna società può assumere a termine nel limite massimo di trentasei mesi

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Alfa S.p.a. esercita attività alberghiera e detiene i pacchetti azionari di maggioranza di Beta, di Gamma e di Delta, società collegate tra loro e tutte operanti nel settore turistico e ricettivo. Il gruppo di imprese è nominato Kappa. Alfa S.p.a., quale capogruppo, assume Tizio con contratto a termine della durata di trentasei mesi, assegnando al predetto la qualifica di impiegato alla reception. Terminato il rapporto, Tizio viene assunto in successione e sempre con contratto a termine della durata di trentasei mesi per l’espletamento delle medesime mansioni impiegatizie, prima da Beta, poi da Gamma e infine da Delta. Nel corso dell’ultimo rapporto Tizio si rivolge alla DTL competente, rappresentando i fatti testé esposti e chiedendo una verifica sul rispetto, da parte del gruppo Kappa, del limite massimo di trentasei mesi previsto per le assunzioni a termine. Quali contenuti e quali conseguenze possono scaturire dall’accertamento?




Premessa


La c.d. flessibilità in entrata è termine che designa in linea di massima la facoltà conferita alle imprese di assumere personale mediante strumenti contrattuali che rispondono a esigenze occupazionali variegate e non riconducibili all’interesse che contrassegna il tipico schema del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato. È insita nella disomogeneità il rischio di una mercificazione della posizione del lavoratore, a tutela del quale infatti vengono introdotte norme che limitano, anche sotto il profilo temporale, l’utilizzo di tali strumenti contrattuali. Così l’articolo 5, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 368/2001 contiene nel termine massimo di trentasei mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il ricorso al contratto a termine concluso tra le medesime parti. La certezza che si trae dal chiaro portato letterale della norma potrebbe tuttavia venire incrinata ove si cali il contratto nell’ambito dei gruppi di imprese.

Successione di contratti a termine e limite di trentasei mesi


Prima di addentrarci nella tematica conviene richiamare per sommi capi la disciplina dettata dall’art. 5 comma 4 bis del D.lgs. n. 368 cit., il quale dispone che il limite di durata del contratto a tempo determinato, concluso tra i medesimi datore di lavoro e lavoratore, per lo svolgimento di mansioni equivalenti, è pari a 36 mesi. La disposizione è derogabile da parte della contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale. Nel limite massimo dovranno essere considerati tutti i periodi di lavoro effettivo intercorsi tra le stesse parti, compresi pertanto, le proroghe e i rinnovi, nonché, a seguito della recente modifica apportata dall’art. 1, comma 9, lett. i) della L. n. 92/2012 anche i periodi di invio in missione inerenti alla somministrazione di lavoro.

Nel computo pertanto non vengono conteggiati i periodi di interruzione intercorrenti tra un contratto a termine e quello successivo.

Una volta raggiunto il limite massimo dei trentasei mesi è possibile stipulare un ulteriore contratto a termine tra le medesime parti e per mansioni equivalenti esclusivamente presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente per territorio. In tale caso, tuttavia, il lavoratore necessita dell’assistenza di un rappresentante sindacale appartenente ad un’organizzazione al quale il lavoratore medesimo sia iscritto o abbia conferito apposito mandato.

La violazione del limite temporale massimo comporta la conversione del contratto a tempo indeterminato a decorre dalla scadenza di trentaseiesimo mese.

L’utilizzo del contratto a termine nei gruppi societari


Se l’applicazione di tale sanzione non comporta problemi di rilievo in presenza di una successione di contratti a termine intercorsa tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, problemi non secondari emergono quando il lavoratore venga impiegato a tempo determinato nell’ambito di gruppi societari e cioè di imprese collegate. Esattamente come nel caso che occupa, è possibile che lo stesso lavoratore venga assunto a termine da parte di una società del gruppo e venga utilizzato da quest’ultima entro il limite massimo di trentasei mesi, terminati i quali venga successivamente assunto da un’altra società del gruppo sempre con contratto a tempo determinato di durata non superiore a trentasei mesi. E il susseguirsi di assunzioni a tempo determinato, entro il predetto termine massimo, potrebbe verificarsi tante volte quante sono numericamente le società che appartengono al gruppo, così che il lavoratore, pur avendo l’intima percezione di prestare la propria attività per un unico datore di lavoro, formalmente viene occupato da soggetti giuridicamente distinti. La conseguenza sarebbe che il computo dei trentasei mesi verrebbe sostanzialmente azzerato ogni volta in cui il lavoratore viene assunto a termine da parte di una delle imprese del gruppo, le quali conseguirebbero il risultato pratico di avvalersi dello stesso lavoratore senza incorrere nella sanzione della conversione del contratto a termine per violazione della disciplina di cui all’art. 5 comma 4 bis del D.lgs. n. 368 cit.. Il fenomeno è riassumibile con l’espressione carica di significato descrittivo: rotazione del lavoratore in seno ai gruppi societari.

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità


Se si può asserire che il gruppo di società, disciplinato dall’art. 2359 c.c., comporta una convergenza di interessi economici, è altrettanto vero che la giurisprudenza di legittimità appare orientata a ritenere che il gruppo non costituisca, rispetto all’instaurazione del rapporto di lavoro, un unico centro d’imputazione giuridica.

Al riguardo è stato statuito in più occasioni che “il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società appartenenti a un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società, dotate di personalità giuridica distinta e alle quali, quindi, continuano a far capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le diverse imprese”. La configurazione di un unitario centro di imputazione di rapporti sarebbe ravvisabile, sempre secondo i giudici di legittimità, solamente ove si riscontri “una simulazione o una preordinazione in frode alla legge degli atti costitutivi delle singole società, ovvero l’adozione in concreto di meccanismi che siano volti - mediante interposizione fittizie, o reali ma fiduciarie - a far apparire frazionato in distinti rapporti un rapporto di lavoro sostanzialmente unitario”.

La dimostrazione della frode o della simulazione


Tuttavia a parere degli scriventi tale impostazione assume contenuti sfumati in ordine alla consistenza degli atti fraudolenti.

  1. Infatti secondo un primo indirizzo giurisprudenziale la situazione di frode richiederebbe il ricorso cumulativo dei seguenti requisiti:

  1. “[…] unicità della struttura organizzativa e produttiva;

  2. integrazione tra le attività esercitate dalle varie persone giuridiche del gruppo e il correlativo interesse comune;

  3. coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

  4. utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie persone giuridiche distinte, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori”.

  1. Altro orientamento attribuisce invece rilevanza predominante all’ultimo requisito sopra menzionato, nel senso che per l’accertamento “[…] degli estremi della fattispecie simulatoria o in frode alla legge oppure dell'interposizione fittizia o reale, non possono essere utilizzati gli elementi che denotano l'intensità del collegamento economico tra le distinte società, essendo invece necessario verificare che solamente una determinata società (di norma, quella capogruppo) abbia in concreto esercitato i poteri di gestione del rapporto di lavoro subordinato con i lavoratori dipendenti, determinandone la costituzione, le modifiche e la cessazione e organizzando la prestazione per il perseguimento di fini specificamente propri”.

Considerato che non risultano in materia posizioni ufficiali del Ministero del Lavoro, il personale ispettivo, in sede di accertamento, non deve districarsi tra molteplici parametri o criteri di verifica, essendo sufficiente che si attesti sulle posizioni espresse dalla giurisprudenza, risultando invece rimesso al giudizio del caso se concentrare il sindacato sulle sole modalità di gestione dei rapporti di lavoro ovvero analizzare anche l’intensità, la modalità e la funzionalità unitaria del collegamento societario.

Il caso concreto


Venendo al caso concreto risulta che Alfa S.p.a. esercita attività alberghiera e detiene i pacchetti azionari di maggioranze di Beta, di Gamma e di Delta, società collegate tra loro e tutte operanti nel settore turistico e ricettivo. Il gruppo di imprese è nominato Kappa. Alfa S.p.a., quale capogruppo, ha assunto Tizio con contratto a termine della durata di trentasei mesi, assegnando al predetto la qualifica di impiegato alla reception. Terminato il rapporto, Tizio è stato assunto in successione e sempre con contratti a termine della durata di trentasei mesi, per l’espletamento delle medesime mansioni impiegatizie, prima da Beta, poi da Gamma e infine da Delta.

Per verificare un’eventuale ipotesi di frode dell’art. 5, comma 4 bis, del D.lgs. n. 368 cit. il personale ispettivo, al quale Tizio si è rivolto chiedendo un sindacato sul punto, dovrebbe senz’altro acquisire cognizione completa su come è stato gestito il rapporto di lavoro. Così gli ispettori potranno verificare se i poteri gerarchici, di controllo e disciplinari siano stati esercitati dalle rispettive società presso le quali Tizio di volta in volta ha prestato la propria opera ovvero se tali poteri siano piuttosto da ricondurre ad un unico soggetto e quindi alla società capogruppo. Sarebbe pertanto importante comprendere se le assunzioni formalmente distinte siano state o meno accompagnate da un’altrettanta differenziazione nell’utilizzo delle prestazioni lavorative. Nel quadro di un collegamento societario, in particolare, può aversi interposizione fittizia nel rapporto e nelle prestazioni allorché, al fine di eludere norme di tutela del lavoratore subordinato, la società madre o società principale utilizza le prestazioni lavorative di personale solo formalmente dipendente da società collegate o da essa controllate. Si tratterebbe di comprendere se l’attività lavorativa sia stata svolta nelle differenti strutture delle società oppure in un'unica sede in cui venivano confluite le diverse attività delle singole imprese in funzione di un'unica organizzazione aziendale e di un unico scopo comune. Tali elementi, laddove venissero riscontrati, costituirebbero un dato significativo e sintomatico in merito alla non genuinità del collegamento societario e all’individuazione di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, al quale ricondurre il rapporto di lavoro di Tizio convertito tuttavia a tempo indeterminato per superamento del limite di cui all’art. 5 comma 4 bis D.lgs. n. 368 cit.. La mancanza dei predetti elementi, invece, escluderebbe l’ipotesi di conversione, poiché i singoli contratti verrebbero autonomamente imputati alle singole società del gruppo in capo alle quali è riconosciuta la facoltà di utilizzo di tale strumento negoziale nel termine massimo di trentasei mesi.


NOTE

i Cfr. sul punto l’art. 31 del D.lgs. 276/2003.

ii Nella prassi cfr. orientamento espresso dal Ministero del lavoro con circolare n. 13 del 2008, nella quale si precisa che l’equivalenza non è data dalla mera corrispondenza del livello di inquadramento contrattuale, essendo piuttosto necessaria una verifica concreta circa i contenuti dell'attività svolta.

iii Il Ministero del lavoro con circolare n. 13 cit. ha osservato che l’intervento della DTL è finalizzato esclusivamente alla verifica sulla completezza e correttezza formale del contenuto del nuovo contratto nonché sulla genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione. Sicché tale intervento non produce quindi alcun effetto certificativo del contratto.

iv Cass. 17 gennaio 1977 n. 238 ha ritenuto che sotto il profilo economico il gruppo possa essere considerato unitario.

v Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-09-2010, n. 20231 – in motivazione; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 04-06-2008, n. 14771.

vi Cass. civ. Sez. lavoro, 17-05-1997, n. 4418.

vii Cass. civ. Sez. lavoro, 14-11-2005, n. 22927; Cass. civ. Sez. lavoro, 16-05-2003, n. 7717.

viii Cass. civ. Sez. lavoro, 17-05-1997, n. 4418; Cass. civ. Sez. lavoro, 27/04/1992, n. 5011.

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