Non utilizzabili dal datore le conversazioni in chat private

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Non utilizzabili dal datore le conversazioni in chat private

E’ illegittimo il licenziamento per giusta causa comminato al dipendente che offende il superiore gerarchico nel corso di una chat privata con un collega.

Va infatti considerato inutilizzabile il materiale estratto dal computer del lavoratore durante un controllo informatico, laddove il datore di lavoro abbia omesso di dare la necessaria, tempestiva ed adeguata informazione ai dipendenti.

Illegittimo il recesso per le offese al superiore in una chat col collega

Lo ha riconosciuto la Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 25731 del 22 settembre 2021, con cui ha confermato la decisione pronunciata dalla Corte d’appello in una vicenda in cui era stata contestata l'utilizzabilità dei dati raccolti da una società datrice di lavoro, durante un controllo effettuato dal personale tecnico informatico al fine di verificare - in occasione della chiusura di una chat aziendale e del conseguente progressivo suo abbandono - se vi fossero dati aziendali da conservare.

Da tale verifica, era emersa l’esistenza di una corrispondenza sulla predetta chat tra una lavoratrice ed un'altra collega, avente contenuto pesantemente offensivo nei confronti di un superiore gerarchico e di qualche altra collega, circostanza che era stata posta alla base del licenziamento disciplinare della dipendente.

La Corte territoriale aveva giudicato tali dati non utilizzabili a causa della violazione dell'art. 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori, nel testo modificato dall'art. 23, comma 1, D. lgs. n. 151/2015 e dall'art. 5 D.lgs. n. 185/2016, applicabile ratione temporis, atteso che, nel caso in esame, la comunicazione della interruzione del servizio di chat era stata inviata quando i controlli erano stati già eseguiti.

Ne era conseguito il venir meno dell'intera base fattuale della contestazione disciplinare in oggetto.

Alla stessa conclusione di inutilizzabilità del materiale raccolto, peraltro, i giudici di merito erano pervenuti rilevando - dopo aver accertato che l'accesso alla chat era possibile solo con l'uso di una password e che i messaggi inviati potevano essere letti solo dai destinatari - che le conversazioni in contestazione costituivano una forma di corrispondenza privata svolta in via riservata, rispetto alla quale si imponeva la tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni, di tal ché l'accesso al contenuto delle comunicazioni era precluso agli estranei e non ne era consentita la rivelazione ed utilizzazione.

In terzo luogo, avevano escluso la sussistenza di un intento denigratorio, in quanto il contenuto dei messaggi e le espressioni in essi utilizzate costituivano uno sfogo della mittente, destinato ad essere letto dalla sola destinataria, privo del carattere di illiceità ed espressione della libera manifestazione del pensiero in una conversazione privata.

Ciò posto, non essendo state individuate nella contestazione altre inadempienze lavorative né contestato un uso anomalo dei beni aziendali, doveva concludersi per l’inesistenza di una giusta causa di licenziamento.

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