Permessi legge 104 negati se il familiare è ricoverato
Pubblicato il 11 marzo 2025
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Il diritto ai permessi giornalieri ex Legge 104 è escluso quando il familiare è ricoverato in una struttura che assicura assistenza sanitaria continuativa, salvo prova contraria. In tal caso, il lavoratore deve dimostrare che il supporto offerto alla persona disabile sia effettivamente necessario e non garantito dalla struttura.
E ancora. La mancata comunicazione della fruizione di un permesso non equivale automaticamente a un’assenza ingiustificata, salvo diversa previsione normativa o contrattuale.
Con le ordinanze nn. 5948 e 5611/2025, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, si è occupata di due licenziamenti disciplinari irrogati in relazione all’abuso dei permessi retribuiti previsti dall’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104 del 1992.
Permessi legge 104: esclusi se il familiare è ricoverato con assistenza h24
Nel primo caso - oggetto della decisione n. 5948 del 6 marzo 2025 - un lavoratore aveva impugnato il provvedimento con cui la sua azienda aveva deciso di interrompere il rapporto di lavoro, contestando la legittimità della decisione.
La vicenda si era sviluppata attraverso i vari gradi di giudizio, arrivando sino alla Corte di Cassazione, la quale ha infine dichiarato inammissibile il ricorso.
Secondo quanto emerso dalle sentenze di merito, il dipendente aveva usufruito dei permessi retribuiti per tre giornate lavorative al fine di assistere un familiare disabile.
Tuttavia, dalle prove acquisite nel processo, era risultato che il familiare era ricoverato in una struttura che garantiva assistenza sanitaria continuativa, assimilabile a un ospedale.
In tale contesto, era stato accertato che l'assistenza effettivamente fornita dal lavoratore si era limitata a una presenza di circa mezz’ora al giorno, senza che emergessero altre attività concretamente riconducibili a un effettivo supporto al familiare.
La Corte d’Appello aveva pertanto confermato la decisione di primo grado, ritenendo che l’utilizzo dei permessi fosse avvenuto in maniera impropria, giustificando così il licenziamento per giusta causa.
Nel ricorso in Cassazione, il lavoratore ha contestato l’interpretazione restrittiva dell’articolo 33 della legge 104/1992 adottata dai giudici d’appello, sostenendo che l’assistenza al familiare disabile possa avvenire in modo flessibile, anche fuori dall’orario di lavoro.
Ha inoltre ritenuto sproporzionata la sanzione disciplinare, poiché il CCNL Metalmeccanici Industria, in questo caso applicabile, prevede il licenziamento solo per assenze ingiustificate di almeno quattro giorni consecutivi, condizione non verificatasi nel suo caso.
Licenziamento confermato dalla Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che il lavoratore non avesse contestato adeguatamente tutte le motivazioni su cui si fondava la sentenza d’appello.
Il giudizio di secondo grado si basava infatti su due motivazioni autonome e sufficienti a giustificare il licenziamento: da un lato, l’assistenza prestata dal lavoratore era stata del tutto marginale, non rispondendo ai requisiti previsti dalla normativa, e dall’altro, la presenza del familiare in una struttura con assistenza continuativa escludeva in sé il diritto ai permessi retribuiti.
Poiché il lavoratore aveva impugnato solo la prima motivazione e non la seconda, la Cassazione ha ritenuto che la sentenza d’appello fosse ormai definitiva su questo punto, rendendo inutile l’esame delle altre censure.
Per la Suprema corte, infatti, il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio, ma uno strumento per contestare vizi di diritto.
E' stato confermato, in tale contesto, l’orientamento secondo cui i permessi della legge 104 non spettano se il familiare è ricoverato in una struttura con assistenza continuativa, a meno che il lavoratore dimostri l’effettiva necessità del proprio supporto.
Legge 104: mancata comunicazione non sempre assenza ingiustificata
L'ordinanza n. 5611 del 3 marzo 2025, invece, ha riguardato un caso di licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore per presunta assenza ingiustificata.
Il lavoratore aveva impugnato il provvedimento sostenendo di aver usufruito di permessi ex legge 104/1992, comprensivi dei 12 giorni aggiuntivi previsti dal Decreto Cura Italia.
Dopo una prima sentenza sfavorevole emessa dal Tribunale, la Corte d’Appello aveva annullato il licenziamento, disponendo la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento di dodici mensilità.
L’azienda ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando diversi motivi di impugnazione, tra cui l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione di norme contrattuali e di legge.
Cassazione: licenziamento illegittimo
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione d’appello e sancendo l’illegittimità del licenziamento.
La Corte d’Appello aveva fondato la propria decisione su due autonome motivazioni, entrambe ritenute sufficienti per annullare il licenziamento.
In primo luogo, aveva stabilito che l’assenza del lavoratore non poteva essere considerata ingiustificata, in quanto il CCNL applicato al rapporto di lavoro non prevedeva modalità rigide per la comunicazione dei permessi ex lege 104.
Pur riconoscendo che il lavoratore aveva l'obbligo di informare il datore di lavoro, i giudici di merito hanno ritenuto che l’assenza non potesse essere equiparata a una mancanza di giustificazione tale da giustificare un licenziamento.
In secondo luogo, la Corte di gravame aveva rilevato che, nella specifica situazione emergenziale causata dalla pandemia COVID-19, l’azienda era comunque stata messa al corrente della fruizione dei permessi, anche se in maniera non formalizzata.
Pertanto, non vi era stata una violazione del dovere di comunicazione, rendendo ancora più infondata la contestazione disciplinare.
L'impostazione della Corte d'appello è stata confermata dalla Cassazione, secondo la quale il ricorso era in parte inammissibile, poiché non coglieva pienamente le motivazioni della sentenza d’appello, e in parte infondato, poiché basato su una lettura errata delle norme di riferimento.
La mancata comunicazione di un permesso - ha precisato la Suprema Corte - non equivale automaticamente a un’assenza ingiustificata, salvo diversa previsione normativa o contrattuale.
In base a questi principi, la Cassazione ha confermato il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento economico, ribadendo l’importanza del rispetto dei criteri di correttezza e buona fede nei rapporti di lavoro.
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