Riqualificazione del rapporto di lavoro: omissione o evasione contributiva?

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Riqualificazione del rapporto di lavoro: omissione o evasione contributiva?

Premessa

Con sentenza n. 6405 del 13/03/2017 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del controverso tema inerente alle conseguenze previste per l’inadempimento dell’obbligazione contributiva. In particolare, la Suprema Corte è stata chiamata a decidere se la riqualificazione del rapporto di lavoro, all’esito di verifica ispettiva o di accertamento giudiziale, configura una ipotesi di omissione ovvero di evasione contributiva.

L’art. 1 comma 217 della L. n. 662/1996

Da un punto di vista storico-normativo l’art. 1 comma 217 della L. n. 662/1996 disponeva che: “i soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti: 

a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una somma aggiuntiva [...];

b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, oltre alla somma aggiuntiva di cui alla lettera a), al pagamento di una sanzione, una tantum, da graduare secondo criteri fissati con decreto del Ministro del lavoro […]”.

In sostanza, alle sanzioni amministrative e penali, correlate all’inadempimento dell’obbligazione contributiva, il legislatore ha aggiunto anche una sanzione civile, graduata in relazione alla configurazione della fattispecie come omissione ovvero evasione contributiva.

Prima di illustrare il trattamento sanzionatorio occorre soffermarsi sui concetti di omissione ed evasione contributiva, i quali trovano applicazione, in via generale, nei confronti sia dei soggetti che rivestono la qualifica di datori di lavoro e/o committenti, che dei lavoratori autonomi, in relazione alla diversa tipologia degli adempimenti previsti per ciascuna Gestione previdenziale.

Omissione

L’omissione si verifica quando il datore di lavoro, pur avendo regolarmente effettuato le comunicazioni obbligatorie all’Ente previdenziale, non provvede al pagamento dei contributi dovuti risultanti dalle medesime comunicazioni.

Evasione

L’evasione, invece, viene a determinarsi quando il datore di lavoro omette di effettuare le comunicazioni obbligatorie o quando il contenuto delle stesse non corrisponde alla realtà.

L’art. 116 della L. n. 388/2000

L’art. 116 comma 8 della L. 388/2000 è intervenuto sul testo della L. n. 662 cit. condizionando la ricorrenza della fattispecie di evasione contributiva alla sussistenza di uno specifico elemento intenzionale a carico del datore di lavoro, rappresentato dall’“intenzione specifica di non versare i contributi o premi”, specificamente realizzata mediante l’occultamento dei rapporti di lavoro in essere ovvero delle retribuzioni erogate.

L’art. 116 comma 8 della L. 388 cit. ha rivisitato anche il trattamento sanzionatorio.

Sanzione per omissione contributiva

Così, per l’ipotesi di omissione, il datore è tenuto al pagamento di una sanzione civile, calcolata sulla contribuzione non corrisposta, “in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti”. La sanzione civile in tal caso “non può essere superiore al 40% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge”.

Sanzione per evasione contributiva

Nel caso invece di evasione contributiva la sanzione civile, in ragione d’anno, è determinata in misura pari al 30% della contribuzione non corrisposta, fermo restando che la stessa non può essere superiore al 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

Rateizzazione

I successivi commi 17 e 18 dell’art. 116 cit. riconoscono al datore la facoltà di rateizzare la somma, previa autorizzazione del Ministero del lavoro, fino a un massimo di 60 mensilità ovvero fino a 40 rate trimestrali costanti, in caso di eventi eccezionali e di calamità naturali individuati con decreto del Ministero del lavoro.

Ravvedimento operoso

Un’applicazione più lieve della sanzione è ammessa in caso di ravvedimento operoso. Tale fattispecie ricorre nell’ipotesi in cui il datore di lavoro denuncia la situazione debitoria spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi. In tale caso, e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, l’autore dell’illecito è tenuti al pagamento della sanzione civile prevista per la mera omissione.

Interessi legali

Va osservato che se le sanzioni civili raggiungono i tetti massimi previsti (40% per l’omissione e 60% per l’evasione) senza che si sia provveduto all’integrale pagamento del dovuto, sul debito contributivo non ancora corrisposto matureranno interessi nella misura della media dei tassi bancari attivi per come determinati annualmente con decreto del Ministero delle finanze ai sensi dell’art. 30 DPR 602/1973.

Ulteriori ipotesi di riduzioni delle sanzioni

Fermo restando l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, le sanzioni civili possono essere ridotte fino alla misura degli interessi legali, sulla base di apposite direttive emanate dal Ministro del lavoro nei seguenti casi di:

  • oggettive incertezze interpretative connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo;
  • mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, derivanti da fatto doloso del terzo, denunciato all’autorità giudiziaria, entro il termine di 3 mesi dalla conoscenza del fatto. È il caso in cui il debitore si rivolge ad un terzo al quale per professione o per altro conferisce il mandato di pagamento e questi, in modo fraudolento, non provveda a tale incombenza;
  • crisi, riorganizzazione, riconversioni e ristrutturazioni aziendali accertate dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
  • aziende agricole colpite da eventi eccezionali o calamità naturali ed emergenze di carattere sanitario;
  • procedure concorsuali che coinvolgono enti non economici ed enti, fondazioni e associazioni non aventi fini di lucro.

I contrastanti indirizzi giurisprudenziali per la configurazione dell’illecito di omissione o evasione

Attesa la diversa entità delle sanzioni applicabili per le ipotesi di omissione o evasione, già sul portato applicativo della L. n. 662 cit. era sorto contrasto interpretativo. Si discuteva, in particolare, se la mancata presentazione delle denunce obbligatorie realizzasse l’ipotesi dell’omissione ovvero quella dell’evasione contributiva.

La pronuncia delle SS.UU. della Cassazione

Per comporre il contrasto le SS.UU. della Cassazione, con sentenza n. 4808/2005, hanno stabilito: 

  • sussiste l’ipotesi dell’omissione contributiva qualora si verifichi il mancato versamento non accompagnato dalla mancanza delle denunce obbligatorie;
  • si verifica l’ipotesi più grave dell’evasione, qualora, unitamente al mancato versamento, si accerti anche l’assenza della presentazione delle denunce dell’ente previdenziale competente.

In altre parole, secondo le Sezioni Unite la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie. Diversamente la mancanza di uno solo degli altri necessari adempimenti - in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti d’istituto dell’ente previdenziale - è sufficiente ad integrare gli estremi dell’evasione. Con la conseguenza che nelle ipotesi in cui le denunce obbligatorie non siano state presentate, a parere delle SS.UU. è integrata la fattispecie legale dell’evasione, anche qualora i dipendenti risultino registrati nei libri matricola.

Tuttavia, nonostante la pronuncia delle SS.UU., il contrasto non si è sopito.

L’indirizzo favorevole all’omissione

Un primo indirizzo ritiene tuttora che l’integrazione dell’illecito dell’omissione si realizza qualora, nonostante la mancata presentazione del modello DM/10 (oggi Uniemens), il credito dell’istituto previdenziale sia evincibile dalla documentazione di provenienza del soggetto obbligato: libri e documenti aziendali (Cass. civ. Sez. lavoro, 20/01/2011, n. 1230).

L’orientamento che propende per l’evasione e la circolare INPS n. 106 del 05/07/2017

Altro orientamento, invece, ha stabilito che l’omessa denuncia all’INPS di rapporti di lavoro, ancorché registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva”, giacché il mancato o inveritiero invio dei dati fa presumere l’esistenza della volontà del datore di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi. Tale orientamento specifica che la buona fede del datore non può dirsi dimostrata in ragione della mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, dal momento che questi ultimi restano nell’esclusiva disponibilità del datore stesso e sono oggetto di verifica da parte dell’istituto previdenziale solo in occasione delle ispezioni (Cass. civ. Sez. lavoro, 10/05/2010, n. 11261).

Le pronunce successive della Corte hanno seguito prevalentemente quest’ultimo indirizzo (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 27/12/2011, n. 28966; Cass. 25 giugno 2012, n. 10509) e anche l’INPS, con circolare n. 106 del 05/07/2017, ne ha recepito i contenuti, puntualizzando, altresì, che la fattispecie dell’evasione ricorre financo nel caso di tardiva denuncia della situazione debitoria intervenuta oltre il prescritto termine legale.

Ciò nonostante residuano tuttora orientamenti di segno contrario.

Tale può qualificarsi la sentenza n. 1476/2015 della S.C., la quale ha ritenuto sussistente la fattispecie dell’omissione laddove il rapporto di lavoro, denunciato e registrato come lavoro autonomo, sia stato riqualificato in sede giudiziale, come subordinato. Al riguardo è stato affermato che nell’ipotesi di erronea qualificazione del rapporto conseguente ad incertezze sulla sua natura, non ricorrerebbero registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero (per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Pordenone Sez. lavoro, 16/03/2017).

Il recente pronunciamento della S.C. 

La tesi è stata però nuovamente smentita dalla recente sentenza n. 6405 del 13/03/2017 della Suprema Corte.

I fatti su cui è stato formulato il principio nomofilattico riguardavano la riqualificazione, in forma subordinata, di contratti di collaborazione, perché carenti di specifico progetto, all’uopo temporalmente richiesto dalla normativa applicabile in materia.

Nell’occasione, la S.C. ribadisce l’assunto per cui l’evasione poggia su due presupposti:

  1. occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate;
  2. un comportamento volontario finalizzato a non versare i contributi o i premi.

Per la Corte il primo requisito sussiste, non solo quando vi sia l’assoluta mancanza di un qualsivoglia elemento documentale che renda possibile l’accertamento della posizione lavorativa o delle retribuzioni, ma anche quando ricorra un’incompleta o non conforme al vero denuncia obbligatoria, attraverso la quale viene celata all’ente previdenziale (e, quindi, occultata) l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali dell’imposizione.

Sul punto viene ribadito che l’avvenuta registrazione dei rapporti e delle effettive retribuzioni nella documentazione aziendale non costituisce elemento decisivo per escludere l’evasione, considerato che tale circostanza assume valenza meramente interna all’azienda ed è conseguentemente estranea alla cognizione dell’INPS. Una diversa prospettazione avrebbe l’effetto di aggravare la posizione dell’Istituto, imponendogli un’incessante attività ispettiva, laddove invece il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.

In ordine al requisito di natura soggettiva, la S.C. dà continuità all’assunto per cui la diversa qualificazione del rapporto, rispetto a quella realmente accertata in sede giudiziale o ispettiva, lascia sottendere presuntivamente l’esistenza di una specifica volontà datoriale di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti. Tale presunzione, precisa la S.C., proprio perché non assoluta, ma relativa, può essere superata dal datore di lavoro inadempiente, qualora quest’ultimo alleghi e dimostri l’assenza del fine fraudolento.

Sebbene quest’ultima statuizione conferisca valenza consolidata ai principi testé descritti, la giurisprudenza nel suo complesso appare tutt’altro che pacifica sul tema. Forse le SS.UU. saranno chiamate nuovamente a porre la parola fine, quantomeno fino al prossimo squillo di tromba.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza

Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

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