Somministrazione illecita o appalto illecito: quali differenze?

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Premessa

Non è un mistero che la principale preoccupazione delle imprese, specie per quelle operanti nel territorio nazionale, sia quella di dover fare i conti con un costo del lavoro di elevato impatto reddituale. Per cercare di non perdere fette di mercato e operare in un regime sempre più concorrenziale, le aziende tentano di ridurre le spese del personale ricorrendo, nella migliore delle ipotesi, a forme contrattuali flessibili ovvero fruendo di incentivi economici o sgravi contributivi, oppure procedendo ad esternalizzare parte dei servizi che compongono il nucleo principale dell’impresa stessa.

Tale ultima soluzione tuttavia potrebbe presentare aspetti di criticità qualora il servizio esternalizzato mediante appalto non riguardi un settore specifico e autonomo della realtà aziendale, ma si appunti esclusivamente sul personale lavorativo.

Gli indici dell’appalto genuino

Il referente normativo da cui muovere è l’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit., il quale dispone testualmente che “[…] il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”.

La disposizione, richiamando la disciplina di cui all’art. 1655 c.c., intende l’appalto nella sua accezione ordinaria, quale contratto in cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, verso il corrispettivo in denaro.

Con riferimento all’oggetto del contratto, si usa l’espressione di appalto endoaziendale qualora il servizio dedotto in contratto venga svolto nei locali dell’appaltante e insieme ai dipendenti di quest’ultimo. Lo schema riceve, altresì, la denominazione di appalto c.d. labour intensive, qualora l’apporto di attrezzature e capitale da parte dell’appaltatore risulti marginale rispetto al prevalente impiego di manodopera.

La liceità di tali contratti è riconosciuta alle condizioni per cui l’appaltatore risulti in possesso di una reale organizzazione che consenta il raggiungimento, con effettivo rischio di impresa, di un risultato produttivo autonomo.

  • Il parametro dell’organizzazione esprime la funzionalità strutturale dell’impresa a coordinare, anche mediante l’esercizio dei poteri di conformazione delle prestazioni lavorative, il complesso dei fattori produttivi aziendali. Il Ministero del Lavoro, con circolare n. 5 del 2011, ha sottolineato che gli indici sintomatici per la genuinità del processo di decentramento sono desunti dalla durata presumibile del contratto di appalto e dalla specificità dell’incarico conferito contrattualmente, anche in relazione all’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o del servizio. 
  • Ai fini della genuinità del contratto, la titolarità formale della proprietà degli strumenti di produzione non riveste, di per sé, valore decisivo, essendo piuttosto rilevante l’assetto organizzativo complessivo dell’appalto/subappalto (cfr. Ministero del Lavoro, risposta a interpello n. 77 del 2009), il quale deve: 
    • risolversi nell’esecuzione di compiti sostanziali diversi dalla mera gestione amministrativa dei rapporti di lavoro (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, determinazione dei turni di lavori, assicurazione della continuità della prestazione cfr. Cass. sez. lav. n. 16788 del 21/7/2006);
    • essere contrassegnato dal possesso in capo ai lavoratori di know how aziendale e di comprovata professionalità nell’esecuzione dell’opera o del servizio (cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 25/02/2016, analogamente Trib. Milano Sez. lavoro, 31/01/2015); 
    • esprimersi nell’esercizio del potere conformativo della prestazione lavorativa dei dipendenti. Tale aspetto è stato positivizzato dall’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit. ed è applicato sovente dalla giurisprudenza per la verifica della genuinità dell’appalto (cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 9288 del 9 maggio 2016; Trib. Firenze Sez. lavoro, 20/01/2016 analogamente cfr. T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 19/03/2015, n. 314).
  • Per quanto riguarda poi il rischio di impresa, che implica l’effettiva capacità dell’appaltatore di assumere autonomamente e liberamente determinazioni in grado di incidere sull’andamento economico, organizzativo e finanziario della propria azienda, indici sintomatici rilevatori di tale fattore si rinvengono:
    • nella preesistenza, in capo all’appaltatore, rispetto alla data di conclusione del contratto di appalto, di una pregressa attività imprenditoriale;
    • nell’esercizio abituale e stabile di un’attività imprenditoriale, non già in regime di mono-committenza, ma rispetto a plurime imprese e (cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 48 del 2004); 
    • nell’imputazione in capo all’appaltatore dei costi di manutenzione dell’apparato organizzativo.
  • La prassi e la giurisprudenza ritengono, inoltre, che l’attività dedotta nel contratto di appalto deve realizzare un “risultato produttivo autonomo” (cfr. Ministero del Lavoro, risposte a interpello n. 16/2009 e n. 77/2009; in giurisprudenza cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 28/03/2013, n. 7820; Cass. civ. Sez. lavoro, 21/07/2006, n. 16788; Trib. Firenze Sez. lavoro, 20/01/2016; Trib. Milano Sez. lavoro, 08/09/2014; Trib. Torino Sez. lavoro, 30/06/2014; Tribunale di Monza, 10/03/ 2009).

Sul piano semantico tale sintagma porta a concludere che il bene o il servizio, oggetto del contratto di appalto, deve costituire la sintesi (risultato) qualificante di tutto il processo di decentramento e assumere, conseguentemente, nel contesto del ciclo produttivo del committente, un proprio (autonomo) valore economico e commerciale (produttivo), essendo invero preclusa, dall’art. 29 comma 1 D.lgs. n. 276 cit., l’espulsione incontrollata di frazioni marginali del ciclo produttivo, prive, come tali, di effettiva indipendenza

Somministrazione abusiva o appalto illecito?

Considerato tale contesto normativo si ritiene di dover accostarsi alla materia de qua con circospezione, diffidando di azioni volte a realizzare processi di esternalizzazione che, indipendentemente dello strumento contrattuale utilizzato, abbiano a oggetto la semplice fornitura di personale lavorativo, specie qualora tali servizi vengano negoziati a costi inferiori rispetto a quelli applicati nel mercato del lavoro.

Il rischio concreto infatti è quello per cui tali attività, sebbene apparentemente formalizzate con contratti di appalto, celino mera fornitura di manodopera, che in quanto posta in essere da soggetti carenti di idonea autorizzazione amministrativa, concretizzino fenomeni interpositori.

Infatti il ricorso sistematico a contratti di appalto da parte di soggetti che invero non presentino una reale organizzazione imprenditoriale, perché carenti di mezzi e risorse, e che si limitano esclusivamente a inviare presso le imprese utilizzatrici manodopera senza svolgere nei confronti di quest’ultima i tipici poteri datoriali, circoscrivendo per vero la propria attività all’esecuzione di meri compiti gestionali amministrativi (es. gestione assunzione del personale, pagamenti e redazione buste paga) integra gli estremi della somministrazione abusiva.

Al riguardo si ritiene che il referente normativo entro cui collocare tale specie di operazioni sia sì l’art. 18 del D.lgs. n. 276 cit., ma non nel regime previsto dal comma 5 bis, bensì in quello stabilito dal comma 1 del medesimo articolo.

Vero che per entrambe le fattispecie la tipologia di sanzione è la stessa e consiste, a seguito della depenalizzazione realizzata dal D.lgs. n. 8/2016, nell’irrogazione, a carico di ciascuno dei soggetti coinvolti, della somma pecuniaria di €. 50,00, moltiplicata per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Tuttavia le conseguenze civilistiche e previdenziali divergono significativamente.

Appalto illecito

Infatti, il caso di contestazione di appalto illecito l’art. 29 comma 3-bis del D.lgs. n. 276 cit. riconosce al lavoratore il diritto potestativo di chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 c.p.c., la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore.

In secondo luogo, fermo il regime compensatorio stabilito dall’art. 27 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. la garanzia solidaristica di cui all’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. (sempre ammesso, come pare ragionevole, che tale previsione dispieghi effetto anche per l’ipotesi di appalto illecito), opera nel termine prescrizionale di due anni dalla cessazione dell’appalto.

In terzo luogo, i trattamenti economici e normativi cui è soggetto il rapporto di lavoro del dipendente adibito nell’attività oggetto dell'appalto rimangono quelli stabiliti dal CCNL applicato dall’impresa fornitrice. Ciò, quantomeno, se e fino a quando il lavoratore non ottenga la statuizione di cui all’art. 20 comma 3 bis del D.lgs. n. 276 cit..

Somministrazione illecita

Tutt’altro invece è il regime applicabile nell’ipotesi di somministrazione irregolare, perché esercitata da soggetto carente di idonea autorizzazione amministrativa.

Invero, come stabilito dal Ministero del Lavoro con circolare n. 7 del 2005, tale illecito determina l’applicazione in favore del dipendente dello statuto giuridico previsto per il lavoratore in somministrazione.

In tale senso, al lavoratore vanno rese non solo le informazioni di cui all’art. 21 comma 3 del D.lgs. n. 276, come modificato dall’art. 5 del D.lgs. 24/12, nel testo poi ripreso dall’art. 33 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit., ma soprattutto va riconosciuto un trattamento economico e normativo non inferiore a quello corrisposto ai lavoratori alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. 

L’art. 35 commi 1 e 2 del D.lgs. n. 81/15 stabilisce inoltre che l’utilizzatore è tenuto a rispondere solidalmente con il somministratore dell’adempimento di tutti gli obblighi retributivi e contributivi, senza che a tal fine operi il termine biennale di prescrizione. Al riguardo trova semmai applicazione l’ordinario termine quinquennale di prescrizione.

Altra conseguenza importante è posta dall'art. 38 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit. il quale stabilisce che "in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore". Diversamente il requisito della forma scritta non è richiesto per il caso di appalto.

E ancora i lavoratori in somministrazione devono essere inquadrati nel livello e/o nella categoria prevista dal CCNL applicato dall’utilizzatore per le mansioni di riferimento. Conseguentemente anche i trattamenti retributivi devono essere quelli previsti dal CCNL applicato dall’utilizzatore. Infatti l'art. 35 comma 1 del D.lgs. n. 81 cit. stabilisce che "per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore", quando come sopra detto tale vincolo non ricorre in materia di esternalizzazione mediante appalto.

Conclusioni

Attese le significative differenze sopra descritte, si ritiene, in sostanza, che la scelta verso l’una o l’altra fattispecie, sia condizionata a seconda che venga dimostrata o meno, nel corso dell’accertamento, l’effettiva realtà organizzativa imprenditoriale nel soggetto erogatore del servizio. Solo qualora quest’ultima sia assente pare che la contestazione debba vertere sulla somministrazione abusiva, prescindendo, quindi, dal nomen iuris attribuito al contratto utilizzato per la fornitura di manodopera.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza

Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

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