Appalti Illeciti: la solidarietà è “solo” per l’INPS

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Appalti Illeciti: la solidarietà è “solo” per l’INPS

Appalto non genuino

L’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276/03 intende l’appalto nella sua accezione ordinaria, quale contratto in cui una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari, con proprio personale e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso il corrispettivo in denaro.

Gli indici sui cui centrare la verifica sono sostanzialmente due: l’organizzazione e il rischio di impresa, i quali formano le facce di una medesima medaglia.

Sul piano organizzativo, la titolarità formale della proprietà degli strumenti di produzione non riveste di per sé valore decisivo, essendo piuttosto rilevante l’assetto organizzativo complessivo dell’appalto/subappalto (cfr. Ministero del Lavoro, risposta a interpello n. 77 del 2009), il quale deve: 

  • risolversi nell’esecuzione di compiti sostanziali diversi dalla mera gestione amministrativa dei rapporti di lavoro (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, determinazione dei turni di lavori, assicurazione della continuità della prestazione cfr. Cass. sez. lav. n. 16788 del 21/7/2006);
  • essere contrassegnato dal possesso in capo ai lavoratori di know-how aziendale e di comprovata professionalità nell’esecuzione dell’opera o del servizio (cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 25/02/2016, analogamente Trib. Milano Sez. lavoro, 31/01/2015); 
  • esprimersi nell’esercizio del potere conformativo della prestazione lavorativa dei dipendenti. Tale aspetto è stato positivizzato dall’art. 29 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit. ed è applicato sovente dalla giurisprudenza per la verifica della genuinità dell’appalto (cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 9288 del 9 maggio 2016; Trib. Firenze Sez. lavoro, 20/01/2016 analogamente cfr. T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 19/03/2015, n. 314).

Quanto al rischio di impresa l’appaltatore deve assumere autonomamente e liberamente determinazioni in grado di incidere sull’andamento economico, organizzativo e finanziario della propria azienda. Gli indici sintomatici rilevatori di tale fattore si rinvengono:

  • nella preesistenza, in capo all’appaltatore, rispetto alla data di conclusione del contratto di appalto, di una pregressa attività imprenditoriale;
  • nell’esercizio abituale e stabile di un’attività imprenditoriale, non già in regime di mono-committenza, ma rispetto a plurime imprese (cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 48 del 2004); 
  • nell’imputazione in capo all’appaltatore dei costi di manutenzione dell’apparato organizzativo.

La prassi e la giurisprudenza ritengono, inoltre, che l’attività dedotta nel contratto di appalto deve realizzare un “risultato produttivo autonomo” (cfr. Ministero del Lavoro, risposte a interpello n. 16/2009 e n. 77/2009; in giurisprudenza cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 28/03/2013, n. 7820; Cass. civ. Sez. lavoro, 21/07/2006, n. 16788; Trib. Firenze Sez. lavoro, 20/01/2016; Trib. Milano Sez. lavoro, 08/09/2014; Trib. Torino Sez. lavoro, 30/06/2014; Tribunale di Monza, 10/03/ 2009).

La circolare n. 10 del 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Venendo ora agli assunti posti con circolare n. 10 cit., sembra si possa affermare che l’Ente di vigilanza operi un distinguo, a seconda degli effetti correlati alla fattispecie dell’appalto illecito.

Il regime sanzionatorio amministrativo

Sul piano del trattamento sanzionatorio amministrativo la circolare n. 10 cit. ribadisce che l’appalto illecito è punito con sanzione amministrativa di €. 50,00. Tale sanzione va applicata, nei confronti dello pseudo-appaltatore e del committente/utilizzatore, per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro (cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 6/2016). 

Il medesimo regime sanzionatorio trova applicazione anche qualora l’appalto illecito sia stato posto in essere al fine di eludere, in tutto o in parte, i diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto collettivo.

Regime sanzionatorio penale

Quest’ultimo aspetto tuttavia può ritenersi superato dall’art. 2 comma 4 del D.L. 87/18 come convertito dalla L. n. 96/18 che ha introdotto al D.lgs. n. 81/15, l’art. 38 bis, inerente al reato di somministrazione fraudolenta. Per tale fattispecie viene stabilita la sanzione, a carico del somministratore e dell’utilizzatore, della pena dell’ammenda di €. 20,00 per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione. La sanzione va mediata mediante l'adozione del provvedimento di prescrizione ex art. 15 D.lgs. n. 124/04.

Le conseguenze civili dell’appalto illecito sul piano retributivo e contributivo

In ordine agli effetti civili la circolare n. 10 cit. ritiene che il regime di solidarietà previsto dall’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. sia applicabile anche a fronte di appalto illecito, richiamando a giustificazione dell’assunto il principio per cui la tutela del soggetto che assicura un’attività lavorativa indiretta debba estendersi “a tutti i livelli del decentramento”, a prescindere quindi dalla fattispecie negoziale utilizzata (INL circolare n. 6/2018).

Il portato di tale premessa, indubbiamente corretta, risulta tuttavia circoscritto dalla circolare n. 10 cit. alla materia previdenziale. Invero, per ciò che concerne i trattamenti retributivi sembra si possa sostenere che, secondo la prassi amministrativa, il lavoratore debba andare a invocare “altrove” le regola solidaristica.

In dettaglio, l’Ispettorato del Lavoro osserva che ove la prestazione lavorativa sia stata resa dal lavoratore in favore dello pseudo appaltatore, la determinazione dell’imponibile contributivo dovuto per il periodo di esecuzione dell’appalto, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1 comma 1 D.L. n. 338/1989, secondo il CCNL applicato da quest’ultimo. Conseguentemente gli obblighi di natura pubblicistica, in materia di assicurazioni sociali, debbano gravare per l’intero importo, salvo il riscontro di atti solutori parziali, sul datore di lavoro di fatto e quindi sull’utilizzatore. Tale conclusione secondo l’Ispettorato sarebbe giustificata dal principio di indisponibilità del rapporto previdenziale, intercorrente, ope legis, tra datore di lavoro e Ente previdenziale.

A conclusione differente, secondo la circolare n. 10 cit., deve giungersi qualora l’inadempienza dello pseudo committente si appunti sui trattamenti retributivi. La circostanza che l’appalto illecito non determini un’ “automatica” costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, essendo invece tale imputazione condizionata alla domanda giudiziale del lavoratore ex art. 29 comma 3 bis del D.lgs. n. 276 cit., suggerisce di escludere l’utilizzatore dal novero dei destinatari della diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit..

La prospettazione dell’Ispettorato del Lavoro, senz’altro autorevole, potrebbe prestare il fianco a possibili obiezioni per mancata aderenza al principio sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 254 del 6 dicembre 2017 sull’estensione della garanzia solidaristica a tutti i livelli del decentramento e per eventuale conflitto con la disciplina dell’obbligazione solidale.

L’obbligazione solidale

L’obbligazione si qualifica solidale quando, dal lato passivo, più debitori sono tutti obbligati per la medesima prestazione, di modo che, ai sensi dell’art. 1292 c.c., ciascuno di costoro può essere costretto dal creditore all’adempimento per la totalità del dovuto. In tal caso l’atto solutorio compiuto da uno dei debitori libera anche altri.

Le obbligazioni solidali passive rispondono all’intento di garantire maggiormente il creditore, mediante ampliamento del novero dei patrimoni aggredibili. Ciò comporta che la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. grava sul patrimonio di ciascun coobbligato, separatamente e per l’intero credito. Si noti che per regola della solidarietà e giurisprudenza consolidata è facoltà del creditore non solo esigere l’intera prestazione da ciascun debitore, ma anche e soprattutto scegliere il condebitore solidale a cui chiedere l’integrale adempimento: Ubi duo rei facti sunt, potest vel ab uno eorum solidum peti (Se vi sono due obbligati solidali, può essere chiesto il tutto a uno solo di loro - cfr. Cass. civ. Sez. III, 31/03/2017, n. 8315; Cass. civ. Sez. III, 06/09/2012, n. 14930; Cass. civ. Sez. II Sent., 22/03/2011, n. 6486; Cass. civ. Sez. III, 14/07/2006, n. 16125; App. Napoli Sez. III, 22/05/2008).

A seguito della modifica apportata dall’art. 2 comma 1 lett. a) e b), del D.L. 17 marzo 2017 n. 25/17, conv. in L. 49/17, la responsabilità di cui all’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit., inerente ai trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché ai contributi previdenziali e ai premi assicurativisi, si atteggia come responsabilità solidale pura, sebbene limitata temporalmente entro i due anni dalla cessazione dell’appalto.

La scelta del debitore da parte dell’Istituto previdenziale

Ponendo tali assunti alla base della fattispecie in esame sembra si possa sostenere che, al di là delle argomentazioni, senz’altro corrette, spese dall’Ispettorato sulle caratteristiche oggettive del rapporto previdenziale, la sussistenza di un contratto di appalto, quantunque illecito, caratterizzato da inadempienze contributive, legittimi comunque l’Istituto previdenziale a richiedere il pagamento dei contributi omessi o evasi a tutti, come anche a uno soltanto, i condebitori solidali. Tale legittimazione, come sopra descritto, comprende anche la facoltà di scelta di quello tra i debitori che abbia maggiori garanzie per la soddisfazione del credito previdenziale.

La scelta del debitore per i trattamenti retributivi: la questione della diffida accertativa

Mutatis mutandis tale assunto sembra possa predicarsi anche per i trattamenti retributivi correlati al rapporto di lavoro, ma non corrisposti correttamente al lavoratore. Infatti, il meccanismo della solidarietà opera ex lege in forza del riconoscimento stabilito dall’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. e l’applicazione di tale previsione, in sede ispettiva, consiglierebbe l’adozione della diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124/04 in regime di solidarietà, a prescindere dall’eventuale esperimento dell’azione di cui all’art. 29 comma 3 bis del D.lgs. n. 276 cit..

Vero è che l’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit., nel disciplinare la diffida accertativa, si riferisce alle inadempienze retributive del “datore di lavoro” e che nell’ambito dell’appalto illecito l’utilizzatore assume formalmente tale veste solo all’esito del vittorioso esperimento dell’azione prevista dall’art. 29 comma 3 bis D.lgs. n. 276 cit.. 

Vero è però l’art. 12 comma 3 del D.lgs. n. 124 cit. non pare possa essere letto in modo avulso dal contesto normativo di riferimento e che anzi proprio l’applicazione del principio stabilito dalla Corte Cost. con sentenza n. 254 cit. suggerirebbe un’interpretazione sistematica di tale disposizione con l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n.276 cit. e con l’art. 1292 c.c., onde giustificare l’adozione della diffida a carico di ciascun obbligato solidale per i trattamenti retributivi.

Tale conclusione poi sembra che possa valore a maggior ragione nell’ipotesi di appalto illecito, attesa la definizione di datore di lavoro contenuta all’art. 2 comma 1 lett. b) del D.lgs. n. 81/08. Tale previsione, aderendo a una concezione sostanzialista, dispone che è datore di lavoro non solo “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore” ma “comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa dell’espressione datore di lavoro […]”.

Se non si vuole sconfessare il testo normativo, allora deve dedursi che, nel caso di appalto illecito, datore di lavoro è proprio il soggetto che la circolare n. 10 cit. esclude dal novero dei destinatari della diffida accertativa: lo pseudo committente. Invero è lo pseudo committente che, nell’appalto illecito, gestisce l’organizzazione lavorativa ed esercita nei confronti dei lavoratori i tipici poteri decisionali. Conseguentemente è lo pseudo appaltante che, in quanto datore di lavoro di fatto (per ripetere la terminologia della circolare n. 10 cit.) dovrebbe essere considerato, al pari del datore formale, destinatario del provvedimento di diffida per i trattamenti retributivi omessi.

La diffida accertativa emessa a carico del datore formale è spendibili nei confronti del datore sostanziale?

Le argomentazioni sopra esposte, riguardanti il referente soggettivo della diffida, potrebbero però anche essere assorbite qualora si aderisca all’orientamento prevalente in giurisprudenza, secondo il quale gli effetti esecutivi di un titolo formato nei confronti del debitore operano de iure anche nei confronti del coobbligato, attesa l’operatività del principio ultra partes tituli, canonizzato nell’art. 477 c.p.c. (Cass. civ. Sez. III, 24/03/2011, n. 6734; Cass. civ. Sez. I, 18/06/2009, n. 14165; Cass. civ. Sez. I, 16/01/2009, n. 1040; Cass. civ. Sez. I, 16/01/2009, n. 1040; Cass. civ. Sez. I, 06-11-2006, n. 23669; Cass. civ. Sez. III, 17-01-2003, n. 613; nella giurisprudenza di merito Trib. Milano Sez. V, 15/05/2012; Trib. Bologna Sez. IV Ord., 10/07/2008; Trib. Pavia Sez. I, 12/05/2008). 

In tale caso il lavoratore con in mano una diffida accertativa emessa a carico del proprio datore potrebbe comunque utilizzarla per aggredire, a sua scelta, e quindi anche in prima battuta, il patrimonio dell’altro coobbligato solidale. Resterebbe semmai aperta la questione della mancato avviso all’obbligato solidale della procedura conciliativa di cui all’art. 12 comma 2 del D.lgs. n. 124. Ma questa è un’altra storia.

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