Dichiarazione scritta di “operatore qualificato” esonera la banca da ulteriori verifiche

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Dichiarazione scritta di “operatore qualificato” esonera la banca da ulteriori verifiche

La dichiarazione della persona giuridica costituisce prova presuntiva semplice della qualità asserita

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato da un istituto di credito avverso la decisione di merito che, nell’ambito di un contratto di intermediazione finanziaria per “interest rate swap”, aveva ritenuto che le dichiarazioni rese dal legale rappresentante di una società di essere operatore qualificato non fossero idonee ad esonerare la banca dai suoi obblighi informativi, in quanto aventi un contenuto generale e meramente ripetitivo della formula normativa.

La Suprema Corte, con ordinanza n. 8343 del 4 aprile 2018, ha ribadito la lettura operata in una precedente sentenza di legittimità (Cassazione n. 12138/2009) per la quale, ai sensi del disposto di cui all'articolo 13 del regolamento Consob approvato con delibera 2 luglio 1991 n. 5387 - in vigore al momento della conclusione del contratto in oggetto - sarebbe sufficiente, ai fini dell'appartenenza del soggetto alla categoria delle persone giuridiche aventi la veste di operatore qualificato, l'espressa dichiarazione scritta richiesta dal regolamento.

La dichiarazione dell'investitore, in detto contesto, basterebbe sia per esonerare l'intermediario dal compiere accertamenti ulteriori al riguardo, sia per ritenere provata in giudizio la qualità, anche come unica e sufficiente fonte di prova.

Precisazioni dalla Cassazione

Nel caso di specie, la Prima sezione civile ha ritenuto che questa interpretazione fosse da ribadire e da precisare, con riguardo al disposto dell'articolo 31 reg. Consob n. 11522 del 1998.

E’ stato quindi sottolineato come nel sistema normativo da questo prefigurato, la dichiarazione formale sottoscritta dal legale rappresentante vale ad esonerare l'intermediario dall'obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche, gravando sull'investitrice l'onere di provare la sussistenza di elementi di senso contrario nella documentazione già in possesso dell'intermediario medesimo, dei quali si dovrebbe tenere conto.

Sul piano probatorio, così, l'esistenza dell'autodichiarazione è sufficiente ad integrare la prova presuntiva semplice della qualità dell'investitore qualificato in capo alla persona giuridica, mentre grava su quest’ultima l'onere di allegare e provare le circostanze specifiche, dalle quali emerga che l'intermediario conosceva, o avrebbe potuto conoscere con l'ordinaria diligenza, l'assenza di dette competenze ed esperienze pregresse.

Orbene, nel caso esaminato, gli Ermellini hanno ritenuto che il giudice d'appello non avesse fatto corretta applicazione di tali principi.

Difatti, anche a fronte di una ripetuta dichiarazione scritta da parte del legale rappresentante della società intimata, la sentenza impugnata sembrava pretendere l'enunciazione in dettaglio degli elementi specifici, dai quali sarebbe risultata non infedele l'autodichiarazione resa. Questo quando, per contro, “in nessuna parte l'enunciato normativo regolamentare autorizza questa interpretazione, al contrario dovendosi quindi ritenere sufficiente l'autodichiarazione circa la propria pregressa competenza ed esperienza in operazioni finanziarie, o altra simile locuzione, effettuata per iscritto dal soggetto che ricopra la carica di legale rappresentante dell'ente collettivo investitore”.

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