Dimissioni telematiche “personalissime” a pena di inefficacia

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Dimissioni telematiche “personalissime” a pena di inefficacia

La nuova disciplina delle dimissioni: fonti

A decorrere dal 12 marzo 2016 è entrata a regime la nuova disciplina per le dimissioni o la risoluzione consensuale dal rapporto di lavoro. Così, a distanza di poco più di quattro anni dalla L. n. 92/12 (c.d. legge Fornero), che aveva sottoposto il recesso del lavoratore a un articolato sistema per contrastare il fenomeno delle c.d. dimissioni in bianco, il Legislatore interviene nuovamente nella materia, telematizzando l’intera procedura. Invero l’art. 1 comma 6 lett. g) della L. n. 183/14 ha delegato il Governo a dettare una disciplina che garantisse, tramite modalità semplificate, data certa e autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In attuazione della delega, l’art. 26 del D.lgs. n. 151/15 ha disposto che “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it.” Le modalità tecniche di trasmissione di tali moduli “al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente” sono state descritte, in applicazione della citata previsione normativa, dal D.M. del 15/12/2015. Per rendere più fruibile la lettura il presente contributo tratta solo la questione delle modalità di formazione dell’atto di recesso. Altri questioni sottese alla fattispecie delle dimissioni telematiche verranno commentati successivamente.

Le categorie eccettuate

Va premesso che la nuova procedura non si applica per la risoluzione consensuale del rapporto o per la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino (cfr. art. 26 comma 1 del D.lgs. n. 151 cit. In tali ipotesi l’atto di recesso deve essere convalidato dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro competente per territorio. Del pari, la nuova disciplina non si applica al lavoro domestico, per il quale, pertanto, resta ferma la pregressa disciplina e non si applica neppure nel caso in cui le dimissioni o la risoluzione consensuale intervengono nelle sedi di cui all’articolo 2113 comma IV c.c. ovvero avanti alle commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del D.lgs. n. 276/03 (cfr. art. 26 comma 7 del D.lgs. n. 151 cit.). Rispetto a quest’ultimo profilo il Ministero del Lavoro, con nota direttoriale del 24 marzo 2016, ha chiarito che la procedura può essere esercitata direttamente dal Direttore della DTL, in qualità di Presidente della Commissione, anche per il tramite del personale appositamente incaricato. Sempre il Ministero del Lavoro, con circolare n. 12 del 2016, ha altresì precisato che restano fuori dal campo di applicazione dell’art. 26 del D.lgs. n. 151 cit. i casi di recesso durante il periodo di prova, i rapporti di lavoro marittimo, soggetti questi ultimi alla speciale disciplina del codice della navigazione, e gli atti di risoluzione del rapporto con le Pubbliche amministrazioni.

Il regime intertemporale

La prima questione che si pone sul tappeto è quella di individuare il regime normativo applicabile agli atti di recesso posti in essere antecedentemente al 12/03/2016, ma che dispiegano efficacia successivamente a tale data. Ciò si verifica nelle ipotesi in cui il lavoratore abbia rassegnato le proprie dimissioni prima del 12/03/2016, assegnando tuttavia al datore di lavoro un preavviso la cui decorrenza vada al di là della predetta data. Considerata, l’efficacia obbligatoria e non reale del preavviso (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 04/11/2010, n. 22443), si ritiene che le dimissioni siano soggette alla disciplina di cui alla L. n. 92 cit., come del resto confermato nelle Faq pubblicate dal Ministero del Lavoro nel sito https://www.cliclavoro.gov.it/Cittadini/FAQ/Pagine/Dimissioni.aspx (punto 7).

Dimissioni per procura…inefficaci

Altra questione riguarda la sostituzione del lavoratore nell’espletamento della procedura di trasmissione del modello. Va anzitutto chiarito che la procedura è articolata in tre fasi:

  1. reperimento del codice PIN-INPS. Quest’ultimo deve essere richiesto all’INPS collegandosi al portale dell’Istituto o recandosi presso una delle sue sedi territoriali. Il codice PIN serve al lavoratore per registrarsi al sito www.cliclavoro.gov.it. A seguito della registrazione il lavoratore riceverà per e-mail un codice alfanumerico;
  2. compilazione del modello online tramite il portale www.lavoro.gov.it. Il modulo deve essere compilato inserendo tutte le informazioni richieste ivi compreso il codice alfanumerico di cui sopra;
  3. trasmissione del modello automaticamente al datore di lavoro e alle Direzioni Territoriali del Lavoro competenti.

Al lavoratore, nel termine di sette giorni dall’invio del modulo, è consentito procedere alla revoca delle dimissioni o della risoluzione consensuale, sempre in modalità telematica seguendo le fasi illustrate sopra.
L’intero sistema così introdotto dall’art. 26 del D.lgs. n. 151 cit. è centrato sulla necessità di garantire che la volontà di risoluzione del rapporto venga espressa dal lavoratore in maniera genuina e senza nessun turbamento. Tale ratio, che è alla base dell’intervento riformatore, si rinviene senza equivoci nell’art. 1 comma 6 lett. g) della L. n. 183 cit. e sotto altro aspetto riceve espressa conferma nei contenuti del D.M. del 15/12/2015. Invero dalla semplice lettura degli artt. 2 e 3 del provvedimento attuativo si rileva che l’unico soggetto abilitato a effettuare gli adempimenti occorrenti per la risoluzione del rapporto è la persona del lavoratore ovvero i soggetti di cui all’art. 26 comma 4 del D.lgs. n. 151 cit.. Tutte le istruzioni contenute nell’allegato B del D.M. citato ruotano attorno alla “verifica dell’identità del soggetto che effettua l’adempimento”, che deve essere necessariamente il lavoratore, onde “prevenire dimissioni o risoluzioni poste in essere da soggetti diversi dal lavoratore” medesimo. Ciò porta senz’altro a ritenere che, al di là dei soggetti tassativamente indicati dall’art. 26 comma 4 del D.lgs. n. 151 cit. (patronati, organizzazione sindacali, enti bilaterali, commissioni di certificazione), le dimissioni o la risoluzione consensuale dal rapporto di lavoro non possono essere fatte dal lavoratore per rappresentanza cioè avvalendosi della procura ad negotium, quindi la procedura telematica richiede, a pena di inefficacia, il coinvolgimento personale del lavoratore, trattandosi di atto personalissimo. Tale concetto è espresso, forse con formula atecnica, nelle faq dell’08/04/2016 rese dal Ministero del Lavoro all’Ordine dei consulenti del lavoro, laddove alla domanda circa la legittimità della predisposizione di una postazione PC presso i locali aziendali dedicata ai lavoratori che vogliano rassegnare le dimissioni e siano sprovvisti di collegamenti telematici privati e personali, la risposta evidenzia che “il fatto rilevante non è il luogo bensì il possesso del PIN Inps che è personale e non cedibile”.
Orbene l’inefficacia del negozio è una categoria più ampia dell’invalidità, perché comprende quest’ultima e quelli in cui il negozio pur essendo valido non produce effetti per una circostanza esterna impediente. L’invalidità, nelle due specie della nullità e dell’annullabilità, dipende, invece, da un vizio intrinseco al negozio. Nel momento in cui si acceda alla tesi della natura personalissima dell’atto di recesso si riconosce al titolare del diritto, e quindi al lavoratore, la legittimazione esclusiva al compimento dell’atto. In siffatta prospettiva, la soggettività del lavoratore è un elemento negoziale intrinseco, la cui assenza determina un vizio patologico strutturale dell’atto, riconducibile al genus dell’inefficacia, nella specifica categoria della nullità.

Dimissioni comunicate dal nuncio…anch’esse inefficaci

Sicché, appurata la natura personalissima dell’atto risolutorio, il tema può essere sviluppato ulteriormente, andando a verificare se il lavoratore possa chiedere assistenza manuale a soggetti terzi (es. familiari o persone di fiducia) per eseguire materialmente gli adempimenti del caso (reperimento dei codici, compilazione del modello e inoltro telematico). Si tratta di una questione non scontata, perché non tutti i lavoratori hanno dimestichezza con gli strumenti informatici e tecnologici e potrebbe ricorrere sovente l’ipotesi per cui il lavoratore chieda assistenza manuale nell’assolvimento delle incombenze descritte dal D.M. del 15/12/2015.
In tale evenienza, il terzo amanuense assume la veste, non di rappresentante, ma di nuncio, perché non sostituisce il lavoratore nel processo di formazione della volontà, ma si limita, come messaggero, a comunicare quest’ultima, quale atto già formato, al datore e al Ministero del Lavoro.
Si ritiene, tuttavia, che anche tali adempimenti debbano essere curati personalmente dal lavoratore. Se invero si assume che le dimissioni costituiscono atto personalissimo del lavoratore, la conseguenza non può essere che quella di ascrivere a quest’ultimo anche l’incombenza di eseguire manualmente gli atti della procedura. Ove il lavoratore non abbia gli strumenti o le capacità per disbrigare quanto richiesto dal D.M. del 15/12/2015, allora l’unica opzione percorribile per costui è quella di rivolgersi ai soggetti di cui all’art. 26 comma 4 del D.lgs. n. 151 cit., perché eseguano quanto il predetto non è in grado di fare.
Il testamento olografo e le dimissioni digitali
Come tertium comparationis si può prendere a riferimento la disciplina del testamento olografo che, ai sensi dell’art. 602 c.c., deve essere autografato, datato e sottoscritto dal testatore, a pena di nullità ex art. 606 commi 1 e 2 c.c. L’autografia postula che il testamento non può che provenire dalla mano del testatore, essendo inammissibile qualsiasi attività all’uopo compiuta da un terzo. Ciò anche se tale attività consista nella guida della mano del testatore (cfr. Cass. civ. Sez. VI - 2 Ordinanza, 06/11/2013, n. 24882) ovvero nello scrivere quanto dettato dal testatore (testamento sotto dettatura). Invero, ogni intervento di soggetti terzi nella confezione del negozio testamentario, indipendentemente dal tipo e dall’entità dell’operazione eseguita, ne pregiudica la validità (cfr. Cass. civ. Sez. II, 10/09/2013, n. 20703; Trib. Benevento Sent., 06/02/2009, Cass. civ. Sez. II, 07/07/2004, n. 12458; ma vedi Cass. civ. Sez. II Sent., 03/11/2008, n. 26406 per una principio in parte difforme). Qualora il testatore non abbia le capacità di redigere la scheda testamentaria deve ricorrere all’ausilio del notaio, ma in tal caso non sarà applicabile la disciplina del testamento olografo, bensì quella del testamento pubblico.
Ebbene, stante le previsioni contenute nell’art. 26 del D.lgs. n. 151 cit. e nel D.M. del 15/12/2015, si ritiene che la disciplina delle dimissioni si ispiri al medesimo principio, nel senso che l’atto risolutorio deve essere compiuto personalmente dal lavoratore. Nell’ipotesi in cui quest’ultimo, per qualsivoglia ragione, si trovi nell’impossibilità di provvedervi è tenuto, al pari del testatore, a ricorrere all’ausilio di un soggetto all’uopo abilitato, che nel caso viene individuato, alternativamente, nel patronato, nell’organizzazione sindacale, nell’ente bilaterale, ovvero nella commissione di certificazione.
Il raffronto sistematico testé descritto se può essere utile ai fini interpretativi necessita però di un opportuno chiarimento. Ciò, non tanto e non solo perché, al dispiegarsi degli effetti dell’atto, nell’una ipotesi (testamento) l’autore è passato a miglior vita, mentre nell’altra fattispecie (dimissioni) costui si trova ancora a dimenarsi nelle vicissitudine terrene, quanto soprattutto in considerazione della circostanza che l’olografia è verificabile mediante perizia quando invece gli standard decritti nell’allegato B) DM del 15/12/215 prevedono livelli di sicurezza (firma digitale semplice, con doppio codice: PIN INPS e codice alfanumerico) che comunque non garantiscono sull’identità dell’autore materiale delle operazioni digitali.

Presunzione di validità delle dimissioni

Allora, vista anche l’irrilevanza del luogo e del mezzo di trasmissione, si ritiene che l’osservanza delle previsioni contenute nel predetto allegato nella compilazione e nell’invio del modulo comporti la presunzione che la volontà del lavoratore si sia genuinamente formata ed espressa. Tutto ciò è vero a patto che il lavoratore non dimostri (se del caso sporgendo denuncia ai servizi ispettivi) che la compilazione e l’invio del modulo sono state operazioni compiute per rappresentanza o comunque per opera materiale di terzi. Solo qualora tale circostanza risulti fondata e provata, l’atto risolutivo andrà qualificato come nullo e quindi improduttivo di effetti.

Dimissioni annullabili

Altra fattispecie ricorre qualora tutta la procedura sia stata personalmente eseguita dal lavoratore ovvero per conto di costui dagli organi di cui all’art. 26 comma 4 del D.lgs. n. 151 cit., ma in un contesto in cui il processo di formazione della volontà del titolare del diritto sia stato viziato da errore, violenza o dolo. Salva la facoltà di revoca di cui all’art. 26 comma 2 del D.lgs. n. 151, in tale evenienza l’atto risolutivo del rapporto di lavoro, quantunque invalido, dispiegherà comunque i propri effetti, essendo rimessa al soggetto interessato la facoltà di promuovere un’azione giudiziale per l’annullamento dell’atto. Ciò è vero anche laddove il vizio della volontà sia riconducibile alla minaccia, ancorché larvata, intimata al lavoratore di rassegnare le dimissioni, per evitare di subire un male ingiusto e notevole. Mentre sul piano penale la fattispecie potrebbe configurare il reato di estorsione di cui all’art. 629 c.p., agli effetti civili l’atto risolutivo del rapporto sarà comunque efficace, almeno fino alla pronuncia giudiziale di annullamento.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale.

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