Lavoratore in mobilità aderisce a mansioni inferiori. No al licenziamento

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Lavoratore in mobilità aderisce a mansioni inferiori. No al licenziamento

La procedura per la mobilità si attua attraverso un complesso iter, diretto a un esame congiunto tra datore di lavoro e organismi sindacali.

Essa ha come scopo quello di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale e di ricercare concrete possibilità per evitare la messa in mobilità, attraverso una diversa utilizzazione del personale dipendente, anche adibendo, in deroga al disposto dell'articolo 2103 del codice civile, i lavoratori a mansioni diverse o inferiori a quelle svolte in precedenza.

Accordi sindacali stipulati nelle procedure di mobilità: funzione e obblighi

In detto contesto, gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla categoria dei contratti collettivi normativi, con la conseguenza che gli stessi incidono direttamente non già sulla posizione del lavoratore ma su quella del datore di lavoro.

Questi, nella scelta dei dipendenti da porre in mobilità deve applicare i criteri concordati al fine di superare il vincolo costituito dall'articolo 39 della Costituzione, in relazione alla imprescindibile esigenza che tale accordo sia efficace nei confronti di tutta la comunità aziendale.

La funzione gestionale ed obbligatoria dell'accordo preordinato alla tutela dell'interesse generale e della salvaguardia dei livelli occupazionali si esprime nell'instaurazione di rapporti obbligatori che vincolano le parti collettive e gli imprenditori che li stipulano, anche eventualmente in funzione transattiva di diritti ed interessi.

E’ sulla base di tali assunti che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 701 del 18 gennaio 2021, ha accolto il ricorso promosso da un dipendente contro la decisione di merito confermativa del licenziamento che gli era stato intimato all'esito di una procedura di mobilità.

Il lavoratore aveva manifestato la propria disponibilità a svolgere mansioni di livello inferiore, anche con diminuzione della retribuzione, ma parte datoriale aveva respinto l'istanza per asserita indisponibilità all'utilizzo, anche con diverso inquadramento.

Questo, nonostante la procedura di mobilità avviata dall’azienda, con stipula di un accordo sindacale nel quale era sancita una clausola che, in applicazione del comma 11 dell’art. 4, Legge n. 223/91, contemplava la possibilità, per i dipendenti in esubero, di chiedere di essere adibiti a mansioni e qualifiche inferiori onde evitare il licenziamento.

Il lavoratore, ciò posto, era stato licenziato con efficacia differita al termine del periodo di cassa integrazione.

Accordi sindacali in mobilità, portata applicativa clausole

La Suprema corte ha accolto il primo motivo di ricorso sollevato dal dipendente, vertente sull’interpretazione della natura e della portata applicativa della clausola di cui all’accordo sindacale.

In particolare, il ricorrente aveva lamentato che i giudici di merito avessero omesso di indagare, in sede di interpretazione del menzionato accordo sindacale, la comune volontà delle parti contraenti, anche in relazione all’espresso richiamo della norma di cui all'articolo 4, comma 11, Legge n. 223 del 1991.

Doglianze giudicate fondate dalla Cassazione, secondo la quale la sentenza impugnata, pur ammettendo, implicitamente, che si era in presenza di un accordo tendente al riassorbimento dei lavoratori ritenuti eccedenti che consente di derogare all'articolo 2103 c.c. e, quindi, di assegnare lavoratori a qualifiche e mansioni inferiori, non si era fatta carico di interpretare l'accordo sindacale alla luce della sua ratio e funzione, nel contesto della sopra richiamata giurisprudenza della Corte di legittimità.

La motivazione del giudice di merito in ordine alla natura e alla portata del citato accordo, ossia, non si era confrontata con i principi espressi dalla Corte di Cassazione in ordine all'articolo 4, comma 11, Legge n. 223 del 1991, norma posta a tutela dell'interesse generale della salvaguardia dei livelli occupazionali nonché alla stregua della natura e della funzione obbligatoria e gestionale della particolare tipologia di accordi sindacali stipulati in applicazione di tale disposizione legale.

Come sottolineato dal ricorrente, in conclusione, attribuire al datore di lavoro una incondizionata facoltà di aderire o meno alla richiesta del lavoratore che voglia avvalersi dell'opzione prevista dall'accordo sindacale stipulato in applicazione della norma anzidetta significherebbe sottoporre il diritto ad una condizione meramente potestativa, da ritenere nulla ex articolo 1355 c.c.

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