Lavoratori impatriati: mancata richiesta al datore? Sì al rimborso
Pubblicato il 09 gennaio 2025
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La Suprema Corte di cassazione, attraverso l’ordinanza n. 34655 del 27 dicembre 2024, ha chiarito che, se presenti le condizioni necessarie per usufruire del regime agevolato per gli impatriati previsto dall'articolo 16 del Decreto legislativo n. 147/2015, l'omissione della richiesta al proprio datore di lavoro per l'attuazione diretta dell'agevolazione non impedisce al contribuente di presentare una richiesta di rimborso, allo scopo di ottenere le agevolazioni non godute in precedenza.
Tuttavia sussiste un limite temporale.
La controversia fiscale nasce dal ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate contro la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) della Lombardia, la quale, modificando la decisione di primo grado, ha accolto le istanze di rimborso dell'IRPEF per gli anni fiscali 2017 e 2018 avanzate da un contribuente.
Il rimborso era stato richiesto ai sensi dell'articolo 16 del Decreto Legislativo 147/2016, in considerazione del fatto che il soggetto, dopo aver lavorato per più di due anni in Cina e Giappone, era rientrato in Italia. Al suo ritorno, aveva accettato un nuovo incarico nella stessa azienda, con un contratto che prevedeva funzioni elevate di director manager, considerato distinto dal suo ruolo precedente.
Regime impatriati
L’articolo 16 del decreto legislativo n. 147/2015 – ora abrogato dal Dlgs n. 209/2023 - dispone un regime speciale per lavoratori impatriati.
In pratica, i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato italiano, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare (versione in vigore dal 2022) al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) i lavoratori non sono stati residenti in Italia nei due periodi d'imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
b) l’attività lavorativa è prestata prevalentemente nel territorio italiano.
L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato e per i quattro periodi successivi.
Contestazioni dell’Agenzia delle Entrate
L'Agenzia delle Entrate contesta la violazione e l'errata interpretazione dell'articolo 16 del Decreto Legislativo 147/2016. Ciò deriva dal fatto che la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto validi i criteri per l'applicazione della norma, nonostante il contribuente non avesse soddisfatto i requisiti formali richiesti dalla legge per beneficiare dell'incentivo.
L'articolo 16, comma 4 del Decreto Legislativo 147/2015 stabilisce due vie per accedere a tale regime agevolato:
- la prima fa riferimento all'articolo 3, comma 5 della Legge 238/2010;
- la seconda segue le indicazioni stabilite dal direttore dell'Agenzia delle Entrate, come delineato dallo stesso articolo 16 per definire le procedure applicative.
L'Agenzia sostiene che il lavoratore possa optare per richiedere formalmente al datore di lavoro la gestione delle ritenute fiscali o decidere di usufruire dell'agevolazione direttamente nella dichiarazione dei redditi, dichiarando un reddito tassabile a condizioni favorevoli.
Tuttavia, essendo una normativa speciale, non è permesso presentare una dichiarazione dei redditi integrativa a tale scopo.
Si nota inoltre che, tramite un provvedimento del 29 marzo 2016 con protocollo n. 46244, l'Agenzia delle Entrate ha definito le modalità di attuazione di questa opzione, che originariamente doveva essere esercitata entro il 29 giugno 2016. Questa scadenza è stata estesa al 30 aprile 2017 dal decreto legge n. 244/2016, convertito con la Legge n. 19/2017, e ancora una volta è stato affidato al direttore dell'Agenzia delle Entrate il compito di stabilire le modalità attuative dell'opzione.
In particolare, la sentenza contestata è considerata errata per due motivi distinti: primo, perché dà importanza solamente all'incremento di stipendio concesso al lavoratore a seguito delle superiori responsabilità conferitegli; secondo, perché giudica non essenziali sia l'omessa presentazione della richiesta formale al datore di lavoro sia la mancata scelta del regime agevolato nella dichiarazione dei redditi.
Cassazione: ammessa la richiesta di rimborso
Tuttavia con ordinanza n. 34655 del 27 dicembre 2024 i giudici di cassazione ritengono che l'argomentazione presentata dall'Agenzia delle Entrate non sia fondata.
Va innanzitutto notato che l'articolo 5, comma 1, lettera d) del Decreto Legge 34/2019, convertito, ha introdotto il comma 5 ter all'articolo 16 del Decreto Legislativo 147/2015 stabilendo che in nessun caso sarà concesso il rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo.
Il quarto comma dell'articolo 16 del Decreto Legislativo 147/2015 prevede che i lavoratori trasferitisi in Italia entro il 31 dicembre 2015 possano beneficiare delle norme della legge 238/2010, offrendo tuttavia anche l'opzione di adottare il regime delineato dallo stesso articolo 16.
È importante chiarire che il procedimento per usufruire del beneficio non è cambiato con l'introduzione del nuovo comma dell'articolo 16 del Decreto Legislativo 147/2015. Resta previsto che il lavoratore debba comunque fare una richiesta diretta al datore di lavoro per comunicare l'opzione per il regime dell'articolo 16, mentre le disposizioni dell'articolo 3 della Legge 238/2010 continuano ad applicarsi se il lavoratore presenta la domanda senza specificare la scelta del regime alternativo.
Dunque, l’assenza di un divieto di rimborso prima della promulgazione del comma 5 ter permette di dedurre che la scadenza fissata dai decreti del direttore dell'Agenzia delle Entrate, così come la proroga stabilita dall'articolo 3, comma 3-nonies, del D.L. 244/2016, convertito, non elimina il diritto al beneficio fiscale. Questo significa che non è più possibile attivare la procedura per richiedere il beneficio attraverso il sostituto d'imposta, e diventa responsabilità del contribuente richiedere il rimborso se desidera recuperare l'imposta pagata in eccesso.
La situazione non cambia nonostante l'introduzione dell'articolo 16 del D.Lgs. 147/2015 che offre la scelta tra due regimi fiscali differenti, visto che con la richiesta di rimborso il contribuente deve specificare la modalità preferita.
D'altro canto, la precisazione riportata nella circolare 17/E del 23 maggio 2017, che afferma “Se il datore di lavoro non è stato in grado di applicare l'agevolazione, il contribuente può beneficiarne direttamente nella dichiarazione dei redditi, a condizione che siano presenti i requisiti di legge. In questo caso, il reddito da lavoro dipendente deve essere indicato nella dichiarazione già nella forma ridotta”, da una parte, non solleva dalla necessità di fare richiesta al datore di lavoro, offrendo una via alternativa qualora il datore non possa applicare l'agevolazione, e dall'altra, non stabilisce - né potrebbe farlo, non avendo forza di legge - un divieto di rimborso, che era permesso fino all'inserimento del comma 5 ter dell'art. 16 del D.Lgs. 147/2015.
Dunque, prima dell'entrata in vigore di tale normativa, la richiesta di rimborso era considerata ammissibile.
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