Avvocato e commercialista responsabili se non impugnano l'avviso
Pubblicato il 25 agosto 2025
In questo articolo:
- Commercialista e legale responsabili per omessa impugnazione
- La vicenda processuale alla base dell’ordinanza
- L’azione giudiziaria per responsabilità professionale
- La decisione della Cassazione
- Profili di inammissibilità del ricorso
- Valutazione della responsabilità del legale
- Ruolo e responsabilità del commercialista
- I principi giuridici affermati dalla Corte
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Avvocato e commercialista possono essere ritenuti responsabili per omessa impugnazione di un atto tributario, specie in presenza di prognosi favorevole.
Commercialista e legale responsabili per omessa impugnazione
Con l’ordinanza n. 22759 del 6 agosto 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Terza Civile – si è espressa sulla responsabilità professionale di un commercialista e un avvocato. La pronuncia chiarisce i presupposti della corretta gestione degli incarichi in ambito tributario e della colpa professionale in caso di omessa impugnazione di un provvedimento sfavorevole emesso dalla Commissione Tributaria.
La vicenda processuale alla base dell’ordinanza
I fatti all’origine del giudizio
Un contribuente aveva conferito incarico professionale a un avvocato e a un commercialista per impugnare quattro avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate. I ricorsi erano stati in parte accolti in appello, ma uno di essi non era stato impugnato, con conseguente definitività dell’accertamento, successiva emissione di cartella esattoriale e intimazione di pagamento.
La mancata impugnazione aveva comportato, per il contribuente, l’attivazione di procedure esecutive e l’obbligo di rateizzare un importo accertato, con conseguente danno patrimoniale lamentato nel giudizio civile.
L’azione giudiziaria per responsabilità professionale
Il cliente aveva agito in giudizio dinanzi al Tribunale di primo grado, chiedendo il risarcimento dei danni per responsabilità professionale. I professionisti si erano difesi eccependo, tra l’altro, la mancata ricezione di un formale incarico per l’impugnazione della sentenza tributaria e disconoscendo alcune sottoscrizioni sugli atti processuali.
Il Tribunale aveva accolto parzialmente la domanda, condannando entrambi i professionisti al risarcimento del danno. La Corte d’Appello aveva integralmente confermato detta pronuncia.
La decisione della Cassazione
Profili di inammissibilità del ricorso
La Corte di Cassazione ha preliminarmente rilevato profili di inammissibilità nel ricorso per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., atteso che i ricorrenti non avevano trascritto né localizzato adeguatamente gli atti e i documenti su cui si fondavano le censure. Inoltre, ha ribadito che la querela di falso proposta in sede di legittimità non può riguardare documenti che il giudice del merito ha già utilizzato come base della decisione impugnata.
In presenza di una “doppia conforme” (sentenze di primo e secondo grado basate su motivazioni coincidenti), inoltre, la Corte ha escluso la possibilità di riesaminare gli accertamenti in fatto compiuti dal giudice del merito, come previsto dall’art. 348-ter c.p.c.
Valutazione della responsabilità del legale
Per quanto riguarda il legale, la Corte ha richiamato i principi consolidati relativi agli obblighi informativi dell’avvocato. Il professionista, nel ricevere mandato per la difesa tecnica, è tenuto a:
- informare il cliente sull’opportunità o meno di proporre impugnazione;
- rappresentare le possibili conseguenze dell’omessa impugnazione;
- attivarsi per evitare pregiudizi derivanti dalla definitività di una decisione sfavorevole.
Nel caso concreto, la Corte ha condiviso la valutazione delle corti di merito secondo cui non risultava fornita prova di una comunicazione da parte del professionista riguardo al deposito della sentenza, né erano emersi elementi sufficienti a giustificare l’inattività.
Elemento decisivo ai fini della responsabilità è stato il riconoscimento, da parte dei giudici di merito, della sussistenza di una prognosi favorevole sull’esito dell’impugnazione. La Corte ha ritenuto corretta la valutazione secondo cui l’appello omesso avrebbe potuto con elevata probabilità essere accolto, alla luce della comunanza dei motivi tra i diversi ricorsi proposti e parzialmente accolti, relativi all’accertamento di maggiori ricavi da parte dell’amministrazione finanziaria. Questo dato ha rafforzato il nesso causale tra l’omissione dei professionisti e il danno subito dal cliente, rendendo irrilevante la mancanza di un incarico scritto laddove la condotta omissiva abbia compromesso un esito potenzialmente favorevole.
Ruolo e responsabilità del commercialista
Quanto alla posizione del commercialista, il ricorrente aveva sostenuto l’inesistenza di un incarico formale e la natura meramente ausiliaria della sua attività. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione della Corte d’Appello, che aveva desunto l’esistenza del rapporto professionale dagli scritti difensivi e dal comportamento processuale, ai sensi dell’art. 1228 c.c.
Il commercialista era stato coinvolto direttamente nella gestione dell’intera questione fiscale e tributaria, in sinergia con il legale, assumendo un ruolo attivo anche nella predisposizione delle istanze e dei ricorsi. In tal senso, l’assenza di un incarico scritto non escludeva la configurabilità di una prestazione d’opera intellettuale, riscontrabile in base al comportamento complessivo del professionista.
I principi giuridici affermati dalla Corte
Certificazione dell’autografia e querela di falso
La Corte, in tale contesto, ha ribadito che la certificazione dell’autografia della firma sulla procura alle liti da parte del difensore costituisce un atto di natura pubblicistica. Di conseguenza, eventuali contestazioni devono essere veicolate esclusivamente mediante querela di falso, non potendo il difensore disconoscere la propria sottoscrizione con una semplice dichiarazione.
Tale principio è conforme a principio ormai consolidato nella giurisprudenza, e trova applicazione anche nel caso in cui sia il difensore stesso ad allegare l’inesistenza del mandato.
Mandato professionale e prova del rapporto
La Cassazione ha quidi sottolineato come la prova del mandato professionale possa derivare anche da elementi presuntivi o dal comportamento processuale, senza necessità di un contratto scritto. È sufficiente dimostrare che il cliente abbia affidato al professionista il compito di svolgere un’attività tecnica specifica (es. impugnazione di un avviso), e che il professionista abbia operato in tal senso.
Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto accertata l'esistenza del rapporto professionale tra il cliente e i due professionisti, fondandosi su documenti agli atti e sulla comune gestione della controversia tributaria.
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