Salario minimo legale. CNEL: nessun obbligo, ma serve un piano di azione

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Salario minimo legale. CNEL: nessun obbligo, ma serve un piano di azione

Da parecchi mesi il dibattito politico è incentrato sulla dirimente questione dell’introduzione di un salario minimo legale adeguato per i lavoratori. 

Il dibattitto coinvolge forze politiche, di maggioranze e di minoranza, e parti sociali.

In Italia (e la stessa cosa può dirsi per Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) il salario minimo è stabilito solo dalla contrattazione collettiva. Un salario minimo legale invece è previsto in 21 Paesi membri dell’UE.

La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022, da recepire entro il 15 novembre 2024 e presente nella Legge di delegazione europea 2022-2023 all’esame della Camera, prevede un pacchetto di misure da adottare e finalizzate ad aumentare la copertura della contrattazione collettiva e a facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali.

Inoltre, la direttiva UE obbliga gli Stati membri in cui il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell'80% a prevedere un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime.

Di qui l’opportunità di verificare il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia.

Lo scorso 11 agosto 2023, Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha affidato al CNEL il compito di elaborare un documento di osservazioni e proposte in materia di salario minimo in vista della legge di Bilancio 2024.

Il CNEL ha elaborato un primo documento, precedentemente approvato dalla Commissione dell’Informazione con il voto contrario della CGIL e l’astensione della UIL, riportante gli esiti della prima fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo.

Il documento di analisi è stato condiviso nella Assemblea straordinaria del 4 ottobre a cui seguirà il documento di proposta, rinviato all’Assemblea straordinaria del 12 ottobre. I componenti della Commissione dell’informazione si trovano concordi nell’individuare,

Cosa emerge dall’analisi del CNEL?

Focus sulla direttiva UE

Prendendo a riferimento la Direttiva (UE) 2022/2041 “per inquadrare gli esatti termini del problema” e formulare conclusioni (sui dati) e avanzare proposte (per la sua soluzione), si ricorda innanzitutto che la direttiva europea non impone agli Stati membri alcun obbligo di fissare per legge il salario minimo adeguato, disponendo invce che, “qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell’80%”, lo Stato membro interessato debba prevedere “un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime” e definire altresì, previa consultazione delle parti sociali o sempre mediante un accordo con queste ultime, “un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva”.

In assenza di un sistema di contrattazione collettiva adeguato nel senso sopra precisato, in alternativa alla adozione di un piano di azione per promuovere la contrattazione collettiva, gli Stati membri possono prevedere l’introduzione di un salario minimo di legge stabilendo “le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali” eventualmente attraverso un “meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l’applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale”.

Inoltre, nel caso della adozione di un salario minimo legale (e solo in questo caso) la direttiva impone agli Stati membri il ricorso a “valori di riferimento indicativi per orientare la loro valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali. A tal fine, possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio”.

Criticità emerse nell'analisi dei dati

IL CNEL evidenzia criticità nell’elaborazione dei dati. Una per tutte, evidenzia il CNEL, “non esiste piena condivisione sulle voci retributive da prendere in considerazione per quantificare il “salario minimo” previsto dalla contrattazione collettiva che, a seguito di una verifica empirica dei testi contrattuali, è concetto diverso, nella quasi totalità dei contratti collettivi, dal c.d. “minimo tabellare”.

Ed ancora: “le componenti della Commissione per l’informazione espressione delle categorie economiche e produttive ritengono in prevalenza corretto e imprescindibile attribuire alle sole parti contrattuali che sottoscrivono un contratto la funzione di determinare le voci che compongono i minimi contrattuali, senza applicare dall’esterno un criterio di lettura univoco e universale, che potrebbe falsare le dinamiche contrattuali, come è accaduto in passato con l’elaborazione giurisprudenziale della nozione onnicomprensiva di retribuzione, poi sconfessata nel 1984 dalla Sezioni unite della Corte di Cassazione”.

Si manifesta  la necessità di una revisione dell’archivio nazionale dei contratti di lavoro.

Tasso di copertura dei contratti collettivi nazionali di lavoro

Ma venendo alla questione centrale relativa al tasso complessivo di copertura della contrattazione collettiva, il CNEL rileva che i dati a disposizione indicano un tasso di copertura della contrattazione collettiva che si avvicina al 100%: una percentuale di gran lunga superiore all’80% (parametro della direttiva) e che pertanto esonera l’Italia dall’obbligo di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero una tariffa di legge.

Più nel dettaglio emerge (dati 2022) dalle denunce mensili rese dai datori di lavoro all’INPS per mezzo del flusso Uniemens per i settori del lavoro privato (fatta eccezione dei lavoratori dipendenti agricoli (flusso PosAgri) e dei lavoratori domestici), che il contratto collettivo è applicato al 95% dei lavoratori dipendenti in Italia.

Di seguito, i dati nel dettaglio.

Lavoratori dipendenti di cui si conosce il CCNL applicato

 

n. lavoratori 2022

%

CCNL non indicato da datore pubblico (codice INPS CPUB)

518.541

4%

CCNL non indicato da datore privato (codice INPS CDIV)

170.814

1%

totale lavoratori di cui conosciamo il CCNL applicato

13.852.629

95%

totale in UNIEMENS

14.541.984

100%

Fonte: CNEL, archivio nazionale dei CCNL, e INPS, flusso informativo Uniemens (dati aggiornati al 1° settembre 2023)

Note di lettura: a) sono esclusi i settori agricoltura e lavoro domestico in quanto non ricompresi nei flussi Uniemens; b) il numero di lavoratori 2022 è dato dalla media delle dodici dichiarazioni mensili Uniemens relative all’anno 2022; c) l’elaborazione è stata effettuata il 1° settembre 2023 e si riferisce ai contratti vigenti che risultano depositati in tale data; d) i dati con i quali è stata elaborata questa tabella sono accessibili dal sito istituzionale del CNEL.

Adeguatezza dei trattamenti salariali contrattuali

Il CNEL segnala poi la criticità del fenomeno dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi.

Al 1° settembre 2023 risulta infatti che al 54% dei lavoratori dipendenti del settore privato si applicano contratti collettivi nazionali di lavoro tecnicamente scaduti.

Tariffe contrattuali verso ipotetica tariffa legale

Il CNEL rileva, nel documento in esame, che, anche in assenza di condivisione sui criteri di calcolo delle voci retributive che concorrono a definire il salario minimo adeguato, laddove si volesse sviluppare un parallelo tra le tariffe contrattuali e una ipotetica tariffa legale, i parametri suggeriti dalla direttiva europea portano a valorizzare il 50% del salario medio e il 60% del salario mediano.

Considerando gli indicatori ISTAT che stimano in 7.10 euro il 50% salario medio e in 6.85 euro il 60% salario mediano (dati 2019, in attesa di dati più aggiornati), il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie.

Conclusioni

IL CNEL conclude evidenziando l'urgenza e l'utilità di un “piano di azione nazionale, nei termini fatti propri della direttiva europea in materia di  salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva in termini di adeguamento strutturale di questa fondamentale istituzione di governo del mercato del lavoro alle trasformazioni della domanda e della offerta di lavoro e quale risposta sinergica, là dove condotta da attori qualificati e realmente rappresentativi degli interessi del mondo del lavoro, tanto alla questione salariale (per tutti i lavoratori italiani e non solo per i profili professionali collocati agli ultimi gradini della scala di classificazione economica e inquadramento giuridico del lavoro) quanto al nodo della produttività”.

L’obiettivo finale del prossimo documento del CNEL non è pertanto definire “quanta parte della retribuzione debba mantenersi in capo alla contrattazione collettiva, bensì invece come estendere le migliori pratiche di contrattazione alla generalità del lavoro”.

Si segnala infine la necessita di “attento monitoraggio della contrattazione di produttività di secondo livello e delle misure di sostegno al welfare aziendale di modo che i benefici della fiscalità generale vadano effettivamente a favore di quelle imprese che investono sulla qualità del lavoro e garantiscono trattamenti retributivi minimi e complessivi adeguati nel rispetto dei principi costituzionali (art. 36 Cost). “

 

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