Concordato preventivo. Poteri limitati del Fisco, nessun accertamento al 50%

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Concordato preventivo. Poteri limitati del Fisco, nessun accertamento al 50%

Con la sentenza n. 13359 del 2019, la Corte di Cassazione scioglie una controversia tra un professionista e l’Amministrazione finanziaria avente ad oggetto un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2004, a seguito dell’avvenuta adesione da parte del contribuente al concordato preventivo biennale.

Un ingegnere ricorre in Cassazione contro l’avviso di accertamento dell’Ufficio finanziario, che aveva inviato al contribuente un atto impositivo emesso con il metodo induttivo - dopo che lo stesso uomo aveva risposto al questionario - abbassando i costi ed elevando i compensi, senza considerare, però, che il contribuente aveva già aderito al concordato biennale preventivo.

La Suprema Corte accoglie il ricorso del professionista, ritenendo che il fatto di non aver considerato che l’uomo avesse già aderito al concordato biennale preventivo è motivo sufficiente per annullare l’atto dell’Amministrazione finanziaria.

Concordato biennale, limitati i poteri di accertamento

Secondo quanto si legge nella sentenza n. 13359/2019, infatti, l'avvenuta adesione, per l'anno d'imposta in oggetto, al concordato preventivo biennale ha come conseguenza la limitazione dei poteri dell'Amministrazione finanziaria, non con riferimento alla natura dell'accertamento compiuto nel caso di specie, ma con riguardo alla preclusione derivante dal valore del maggior reddito accertabile, disciplinata dal successivo comma 8-bis del medesimo art. 33 del d.l. n. 269 del 2003, per il quale per i medesimi periodi d'imposta di cui al comma 8, relativamente al reddito d'impresa o di lavoro autonomo, sono preclusi gli atti di accertamento qualora il maggiore reddito accertabile sia inferiore o pari al 50% di quello dichiarato.

Alla luce di ciò, secondo la Corte di Cassazione, rispetto all’effettivo oggetto della controversia nei giudizi di merito, appare evidente che la sentenza impugnata ha, invece, "totalmente omesso ogni riferimento e qualsiasi valutazione sia rispetto all'adesione del contribuente al concordato preventivo esteso anche all'anno d'imposta sub iudice, sia rispetto alla persistente efficacia, o alla decadenza, dei benefici che da tale adesione potevano derivare in termini di inibizione del potere di accertamento dell'Ufficio; sia, in caso di ritenuta persistente efficacia del concordato, rispetto al superamento o meno del limite preclusivo determinato dall' art. 8-bis del ridetto art. 33 del d.l. n. 269 del 2003 con riferimento al valore percentuale del maggior reddito accertabile rispetto a quello dichiarato; sia, in alternativa, nel caso di ritenuta decadenza del contribuente dal concordato e dai conseguenti benefici, rispetto all’esercizio, da parte dell’Ufficio, dei poteri accertativi di cui all’art. 33, comma 9, lett. b) del d.l. n. 269 del 2003".

La sentenza impugnata va, quindi, cassata e rinviata al giudice a quo: l’adesione al concordato preventivo basta a limitare i poteri dell’Amministrazione finanziaria e, dunque, ad evitare l’accertamento pari al 50% del reddito dichiarato dal professionista.

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