La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro

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L’art. 2 del D.L. n. 132 del 12 settembre 2014 ha introdotto nel nostro ordinamento, al fine deflattivo del contenzioso, la “convenzione di negoziazione assistita da un avvocato” che è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo.

La convenzione di negoziazione deve:

- precisare il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese;

- precisare l'oggetto della controversia, che non deve riguardare diritti indisponibili;

- concludersi per un periodo di tempo determinato dalle parti, fermo restando il termine minimo di un mese;

- essere redatta, a pena di nullità, in forma scritta;

- concludersi con l'assistenza di un avvocato.

Obbligatorietà

La negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 3 del medesimo decreto legge è obbligatoria, tra le altre cose, anche per chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro per cui in tal caso l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Con riferimento alle controversie di lavoro, si deve quindi prendere atto che, fino a quando la richiesta di pagamento sia nei cinquantamila euro, la procedura è obbligatoria con la conseguenza delle riviviscenza dell’obbligatorietà del vecchio tentativo di conciliazione anche se la sede è di tipo diverso.

Da notare che l’obbligatorietà della procedura non è immediata ma decorrerà trascorsi 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, così come specificato dal comma 8, art. 3 del D.L. n. 132/2014.

Le controversie di lavoro

Stante l’art. 7 del D.L. n. 132/2014, per quanto concerne le conciliazioni aventi per oggetto i diritti del prestatore di lavoro, viene apportata una modifica all’art. 2113 c.c. il quale adesso recita:

«Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide.

L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.

Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato
».

I diritti disponibili ed indisponibili

In questo contesto diventa importante identificare quali sono i diritti disponibili e quelli indisponibili dei lavoratori per poter discernere quelli che possono essere oggetto di negoziazione assistita.

Rientrano nei diritti indisponibili le norme:

- sui contributi previdenziali ed assistenziali;

- sui riposi giornalieri e settimanali;

- sulle ferie minime previste per legge.

Al contrario dovrebbero rientrare tra i diritti disponibili quelli patrimoniali di origine legale e contrattuale, tanto è vero che lo stesso Ministero del Lavoro, a proposito della conciliazione monocratica ex art. 11, D.Lgs. n. 124/2004, ha ammesso la possibilità che qualora l’accordo in sede conciliativa monocratica si determini su parametri retributivi di misura inferiore ai minimali contrattuali, ai fini previdenziali il computo degli oneri contributivi e assicurativi va comunque operato con riferimento ai minimali di legge, se l'importo oggetto di conciliazione è inferiore ai predetti minimali.

Sarebbe quindi logico ammettere che un accordo sui diritti patrimoniali sia possibile anche in sede di negoziazione assistita.

Dovrebbe, quindi, essere possibile procedere con la negoziazione assistita anche nei casi che sono, in genere, oggetto di tentativi di conciliazione presso le Direzioni Territoriali del Lavoro o in sede sindacale, come il caso di indennità di preavviso non pagata o ferie non fruite e non, liquidate alla cessazione del rapporto di lavoro, retribuzioni non erogate, ecc.

Non accettazione dell’invito e mancato accordo

L'invito a stipulare la convenzione deve indicare l'oggetto della controversia e contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, c.p.c.

Nel caso in cui la negoziazione non giunga a buon fine, la dichiarazione di mancato accordo deve essere certificata dagli avvocati designati.

L’esito positivo

In caso di esito positivo della negoziazione, l'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, senza che siano necessari ulteriori adempimenti.

Interruzione della prescrizione e decadenza

L’art. 8 del D.L. n. 132/2014, stabilisce che, dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione si producono, sulla prescrizione, gli effetti della domanda giudiziale.

Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l'invito è rifiutato o non è accettato nel termine di 30 giorni dalla ricezione, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Le richieste di modifica dei CdL e la posizione dei sindacati

Le posizioni sull’argomento dei Consulenti del Lavoro e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori sono diametralmente opposte.

Da una parte i Consulenti hanno chiesto al Ministro della Giustizia di essere inseriti fra i soggetti che possono assistere le parti nella negoziazione assistita - senza lasciare il monopolio agli avvocati - anche alla luce delle competenze e dell’esperienza dagli stessi acquisita negli anni.

Ed infatti ai Consulenti del Lavoro il legislatore ha riconosciuto e rafforzato, nel tempo, il ruolo di terzietà, prevedendo la possibilità per gli stessi di istituire sedi di conciliazione ed arbitrato ex art. 76, D.Lgs. n. 276/2003, nonché la possibilità di assistere i datori di lavoro ed i lavoratori nella conciliazione obbligatoria presso la DTL a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ex art 7, comma 5, Legge n. 604/1966, come modificato dalla Legge n. 92/2012.

Dall’altra parte ci sono i sindacati dei lavoratori che vorrebbero che le controversie di lavoro fossero escluse dalla procedura di negoziazione assistita, in quanto quest’ultima sarebbe un’intesa fra due professionisti - che assisterebbero rispettivamente il lavoratore ed il datore di lavoro – senza la presenza di un terzo super partes, col rischio di danneggiare la parte più debole del rapporto di lavoro.

La discussione è aperta e potrebbe portare a modifiche anche significative del Decreto Legge in sede di conversione in legge.

Norme e prassi 

Art. 2113 c.c.

Artt. 96, 185, 410, 411, 412-ter,412-quater, 642, c.p.c.

Legge n. 604/1966, art 7, comma 5

D.Lgs. n. 276/2003, art. 76

D.Lgs. n. 124/2004, art. 11

Legge n. 92/2012

D.L. n. 132 del 12 settembre 2014
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