Lo sai che...

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Tutto quello che dirai non potrà essere usato contro di te

30/04/2015 Non si può certo affermare che Fabiano Seccanti sia un tipo piacevole: indisponente e fastidioso quanto basta, è inviso anche ai colleghi con i quali condivide il lavoro per un’agenzia che svolge servizi di guardiania e portierato.

Sembra addirittura che il mese scorso abbia deciso di partecipare allo sciopero indetto dall’organizzazione sindacale presso la quale è iscritto, al solo fine di evitare il turno serale che non gli avrebbe permesso di assistere alla partita di coppa della sua squadra preferita.

Potrebbero apparire perfide illazioni, in fin dei conti lo sciopero era stato indetto e nessuno si può permettere di indagare il motivo per il quale si partecipa; però l’astensione dal lavoro terminava alle ore 20, mentre il nostro Fabiano ha “scioperato” per conto suo fino alla mezzanotte…

Il titolare dell’azienda che opera nell’ambito della sicurezza ha provveduto, nel termine di 5 giorni, alla contestazione dell’illecito disciplinare e ha atteso le giustificazioni del lavoratore (art. 7 della L. n. 300/70).

Quando sono pervenute, le controdeduzioni di Fabiano, sebbene insopportabili e sgradevoli come chi le aveva scritte, non contenevano epiteti offensivi o ingiuriosi, ma includevano una serie di affermazioni poco veritiere.

Proprio per questo il titolare dell’azienda, forse anche condizionato dalla pessima reputazione del proprio dipendente e dalle rimostranze di colleghi e clienti, ha perso letteralmente le staffe e, sulla base di quanto affermato da Fabiano negli scritti difensivi, ha deciso di applicare la sanzione per la mancata prestazione lavorativa e di avviare un ulteriore procedimento disciplinare per le frasi contenute nella lettera di giustificazioni.

Nell’arbitrato che ne è scaturito dinanzi all’Ispettorato del lavoro, il valido funzionario ministeriale, pur constatando di persona l’antipatia del Seccanti e la non veridicità delle sue dichiarazioni, ha evidenziato che la falsità di quanto affermato nelle controdeduzioni non può assumere rilevanza disciplinare (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 04/05/2005, n. 9262) e quindi la sanzione va riparametrata sulla sola assenza ingiustificata.

Ma in fondo, sopportare pazientemente le persone moleste, non è forse una delle sette opere di misericordia spirituale?
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Attenzione ad offendere un sindacalista!

23/04/2015 Fumogeni, fischietti, bandiere e striscioni: Rebecca con il suo armamentario, pur non amando il calcio, non sfigurerebbe in curva. La fronte increspata e le sopracciglia corrugate le sono valse il soprannome di “Madame cipiglio”, segni esteriori di un carattere ruvido e pugnace, sempre incline alla battaglia.

La nostra paladina dei diritti dei lavoratori opera in una società di telecomunicazioni e la settimana scorsa ha partecipato, come delegata sindacale, alla riunione indetta dalle RSU dell’azienda. Il giorno successivo constata che uno dei membri delle RSU ha informato mediante mail tutti i dipendenti dell’azienda sull’esito della riunione. Ma Rebecca ritiene parziale e omissivo quanto riportato dal rappresentante dei lavoratori, sicché, in qualità di delegata sindacale (e anche per fare del proselitismo…), decide di scrivere una mail in risposta, riportando con maggiore accuratezza le diverse posizioni emerse. La missiva in formato elettronico contiene un linguaggio pungente e sferzante, ma non oltraggioso.

Apriti cielo! Alcuni dipendenti, i quali peraltro ricoprono posizioni di responsabilità, prendono a pretesto la mail ricevuta da Rebecca e, utilizzando indebitamente la mail aziendale, la denigrano “urbi et orbi”. Molti colleghi della nostra sindacalista si rendono conto che la risposta “dell’oligarchia” è dovuta più a rancori del passato che alla recente e inoffensiva mail di Rebecca, ma nessuno ha il coraggio di prendere posizione pubblicamente.

Sembra quasi che al posto dei cartelli “Vietato fumare” ne compaiano degli altri con scritto “Tengo famiglia”. Oltretutto, si vocifera che il dirigente dell’azienda abbia conseguito un Master di II livello in “Scienze pilatesche e moralmente disdicevoli”, perciò tutto tace.

Ma Rebecca non ci sta e denuncia per attività antisindacale il dirigente (art. 28 della L. n. 300/70), ritenendolo connivente, in quanto non ha avviato alcun procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti che hanno offeso un sindacalista nell’esercizio delle sue funzioni. Ma anche questi ultimi lavoratori, a detta di Rebecca, non se la passeranno liscia: sono già stati chiamati in causa davanti al tribunale, poiché sfruttando la propria posizione gerarchica hanno tentato di intimorirla.
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Il fallimento blocca gli ispettori

16/04/2015 L’impresa “Solventi snc di Tracolli Dino & C.” veleggiava ormai da tempo in acque agitate. Difficile invertire la rotta quando il naufragio è alle porte, probabilmente il timone andava virato qualche anno fa. “Non c’è niente di peggio che avere consapevolezza del proprio triste destino e non poter far nulla per evitarlo”, ripeteva spesso l’amministratore dell’impresa di produzione di sostanze chimiche industriali confidandosi con gli altri due soci.

La passione per la vela emergeva in ogni discorso: “In mare aperto lo sconforto ti prende quando ti accorgi che non puoi schivare l’impatto con uno scoglio”. Questa volta, poi, il destino sembra accanirsi in modo beffardo con la società di Dino Tracolli: è stato dichiarato insolvente dopo aver prodotto e commercializzato per una vita i solventi!

Pochi giorni dopo la sentenza del tribunale fallimentare, i lavoratori si presentano in massa all’Ispettorato del Lavoro, denunciando il mancato pagamento delle spettanze economiche maturate nel corso del rapporto lavorativo.

L’attivazione dei funzionari ministeriali è immediata e nel giro di un paio di mesi riescono ad avere il quadro completo della situazione sotto mano. C’è poco da discutere: bisogna adottare le diffide accertative per i crediti patrimoniali (art. 12 D.lgs. 124/2004) e i correlati provvedimenti sanzionatori.

Ma il Ministero del Lavoro (nota prot. n. 37/0004684 del 19/03/2015) ha di recente chiarito che in caso di fallimento non si può procedere nei confronti dell’impresa, in quanto va rispettata la par condicio creditorum. Agli ispettori non resta che quantificare l’ammontare del credito vantato dai lavoratori e l’importo relativo ai provvedimenti sanzionatori, al fine di permettere all’amministrazione di appartenenza di insinuarsi al passivo.

E Dino Tracolli, che fine ha fatto? In queste situazioni è facile cedere al pessimismo e meditare comportamenti distruttivi. Dino fortunatamente si ricorda quando parecchi anni prima ascoltava con il proprio figlio un’intervista di Michael Jordan, il grande cestista che il primogenito cercava invano di emulare: “Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
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Quando si chiude un cantiere è più facile licenziare

02/04/2015 Bruno aveva solo 16 anni quando capì che cosa significasse fare il muratore. Lo zio aveva una piccola impresa edile e Bruno già da un paio di anni frequentava un istituto scolastico a corrente alternata; sfogliare qualche quotidiano sportivo due/tre volte alla settimana era l’unico impegno intellettuale del ragazzo.

Ben presto Bruno scoprì che la fatica fisica e la dura vita di cantiere fanno rimpiangere il tempo in cui si è deciso di non studiare. “Tornassi indietro, mi piacerebbe diventare geometra”: questa frase veniva pronunciata spesso, con ancora maggior frequenza nelle giornate di freddo, quelle che ti gonfiano e induriscono le mani.

Quando l’anziano zio decise di chiudere l’impresa, Bruno non se la sentì di mettersi in proprio, non aveva la struttura mentale per ambire a un salto del genere e i tempi ormai non erano gli stessi di quelli in cui aveva cominciato il suo parente. Cambiò un paio di imprese e alla fine cominciò a lavorare per una grande azienda.

Giunto al suo 52° compleanno, Bruno riceve la raccomandata contenente la lettera di licenziamento. “Era nell’aria – borbotta mestamente all’amico sindacalista – il lavoro di costruzione della superstrada è terminato e ci hanno detto che siamo in troppi. Ma se mi cacciano via ora, chi mi riprende? Perché hanno scelto proprio me? Mi sono sempre dato da fare, ho tanta esperienza…”.

“Semplice – risponde
, all’apparenza con scarsa partecipazione, il sindacalista – perché il datore di lavoro può scegliere a suo piacimento. Il tuo settore lavorativo è particolare: in Edilizia non si è costretti a rispettare le procedure previste dalla disciplina sui licenziamenti collettivi (L. n. 223/91). Quando i lavori terminano (Corte di Cassazione, sentenza n. 4349 del 04/03/2015), se il datore di lavoro dimostra di non poter utilizzare i lavoratori in altre mansioni compatibili e il lavoratore non indica altri posti in cui può essere occupato, quest’ultimo può essere licenziato”.

Bruno già barcolla, ma il colpo di grazia arriva di lì a breve; spetta all’amico sindacalista pronunciare la sentenza di condanna: “Se anche riuscissimo a dimostrare qualcosa, sappi fin d’ora che non sarai reintegrato nel posto di lavoro e che l’eventuale illegittimità del licenziamento ti porterà solo un indennizzo economico” (art. 10 D.lgs. n. 23/15).
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Posso licenziare una lavoratrice incinta al termine dell’apprendistato?

19/03/2015 L’arredamento dell’ufficio del rag. Delli Conti sembra inconsapevolmente ispirato ai dettami dell’Arte Povera di fine anni sessanta: nessuno spazio per i mezzi espressivi pittorici, solo l’esclusivo utilizzo di materiali non elaborati, manifestazione della cosiddetta “immediatezza sensoriale”.

Scrivania di legno molto scuro, probabilmente wengé, calcolatrice elettronica scrivente con scontrino, neon, sedie di plastica avana, penne raccolte in un cilindro nero, qualche foglio scarabocchiato accanto al vecchio pc con schermo a tubo catodico e un étagère dietro alle spalle per sostenere la vecchia stampante ad aghi. Sulla destra, il telefono; nulla più dell’essenziale.

Al secondo squillo, il rag. Delli Conti risponde con tono monocorde. La richiesta non è delle più semplici, soprattutto per lui, abituato a cifre, operazioni e percentuali, ma poco avvezzo allo studio degli istituti contrattuali giuslavoristici.

Che succede se una lavoratrice con contratto di apprendistato, che il datore di lavoro non intende proseguire, rimane incinta poco prima della scadenza di tale contratto? Delli Conti sa tutto dell’Elemento Distinto della Retribuzione ed è competente sulle aliquote contributive, ma non ama giocare a Trivial Pursuit, specialmente quando sa di non poter fare bella figura con gli amici.

Ritiene di risolvere la questione alla vecchia maniera: telefono in mano, Ispettorato del lavoro dall’altra parte della cornetta, un ispettore che conosce da una trentina d’anni. E così scopre che l’interpello n. 16/2012 del Ministero del Lavoro prevede che nel contratto di apprendistato il termine di preavviso di licenziamento della lavoratrice madre non decorre allo spirare del periodo di formazione, ma allo scadere dell’anno di età del bambino.

L’ispettore aggiunge che la tesi del Ministero non lo convince fino in fondo, perché al termine del periodo di formazione il contratto di apprendistato prosegue e la legge dispone che la lavoratrice venga qualificata a tempo indeterminato. Sicché, stante lo status di lavoratrice madre, opera il divieto di licenziamento (art. 54 del T.U. n. 151/01).

Delli Conti ora ne sa di più sulla materia, ma questa volta non ha trovato una risposta confezionata da fornire all’impresa.
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Malata e maratoneta? Con il CATUC non sarà più possibile!

12/03/2015 Il tema del licenziamento è davvero spinoso: quale interesse deve prevalere?

Gianni e Vincenzo sono due lavoratori pendolari e spesso giocano partite dialettiche sui più disparati argomenti. Quest’oggi in treno prendono spunto da un articolo di giornale in cui viene riportato che un giudice ha dichiarato illegittimo il licenziamento di una lavoratrice che, assente dal lavoro per malattia, ha partecipato a due maratone durante le fasce di reperibilità (cfr. sentenza Tribunale di Milano, 02/02/2015).

“Per me, al di là di tutto, è giusto tutelare il lavoratore, che altrimenti rischia di finire catapultato in un mondo di incertezze”, esordisce Gianni. “È vero che esistono gli ammortizzatori sociali e le varie indennità, ma è come essere sbattuti fuori casa quando imperversa una tempesta di neve: se sei ben coperto e trovi presto un riparo sopravvivi, ma stare dinanzi al caminetto è un’altra cosa…”. Gianni è convinto di aver trovato la stoccata vincente.

“Però se ci pensi bene, anche il datore di lavoro non può essere obbligato a perpetuare un rapporto lavorativo con persone delle quali non ha più fiducia o che non rispondono ai livelli di competenza e capacità richiesti”. Vincenzo passa al contrattacco e ristabilisce la parità con un’azione vincente: “Se la colf che aiuta tua moglie nelle fatiche domestiche non ti soddisfa professionalmente, non hai forse il diritto di interrompere il rapporto?”.

Il match prosegue a viso aperto fino a che un signore distinto vuole dire la sua. Con toni pacati ma fermi spiega ai nostri discettanti pendolari che il CATUC non è né la CATholic University of Cameroon - come google potrebbe far supporre ad un utente distratto - né l’ultimo SUV di una nota casa automobilistica giapponese. L’ancora poco noto CATUC altro non è che l’acronimo di “Contratto a tutele crescenti”, figlio del padre di tutte le riforme del lavoro, il più celebre “Jobs Act” (D.lgs. n. 23 del 04/03/2015).

Ecco che arriva il triplice fischio a chiudere la partita tra Gianni e Vincenzo. Con questa nuova normativa, infatti, il reintegro spetta solo per licenziamenti discriminatori, nulli, intimati in forma orale o quando c’è insussistenza del fatto materiale: al di fuori di questi casi, il lavoratore potrà contare esclusivamente su un’indennità, con buona pace della tempesta di neve e della colf incapace.
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Conviene assumere a tempo indeterminato!

19/02/2015 “Giovanni, io non ti capisco… - afferma con un po’ di rassegnazione il sig. Giorgio - …hai chiesto in azienda se hanno intenzione di trasformarti a tempo indeterminato al termine di questi tre mesi?”.

In casa Timorati va avanti così da un po’ di tempo. Il papà Giorgio è preoccupato: ha un figlio ventiquattrenne, con in mano un diploma di perito industriale. La meccanica è “affare” di famiglia, siamo arrivati alla terza generazione; ma per nonno e papà la situazione è stata tutto sommato semplice: il primo ha lavorato per anni in una grande industria automobilistica, il secondo in quella ferroviaria.

Ora Giovanni ha un contratto a tempo determinato in una piccola azienda che opera nel campo della siderurgia. Il lavoro gli piace, però non sa quanto durerà. Vorrebbe affrontare il proprio datore di lavoro, ma l’audacia non è il suo forte e, come il Manzoni fa dire a don Abbondio, “il coraggio uno non se lo può dare”.

Ecco che arriva la tanto attesa scintilla. Al telegiornale hanno appena detto che la Legge di Stabilità 2015 (Legge n. 190/14) prevede degli incentivi volti anche alla stabilizzazione del personale con contratto a termine. Giovanni sembra trasformato, nelle vene sembra scorrere sangue misto a intraprendenza.

Il giorno dopo, terminato il turno, va sul sito del Ministero del Lavoro e acquisisce tutte le informazioni del caso; stampa il materiale scaricato da Internet e lo porta in azienda.

All’indomani un po’ di emozione c’è, non si può nascondere; le mani si muovono freneticamente e sembrano voler stringere qualcosa di invisibile. “Se mi assumete a tempo indeterminato avrete degli esoneri contributivi per i prossimi 36 mesi!”. “Dici sul serio? E come fai a saperlo?”, chiede incuriosito dal tono perentorio utilizzato da Giovanni il suo datore di lavoro.

“Sta scritto tutto qui: art. 1, comma 118 della L. n. 190/14”.

È proprio vero, il diritto viene in soccorso di coloro che restano vigili, non di coloro che dormono.
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Posso essere licenziata per un mancato saluto?

12/02/2015 Da un po’ di tempo all’interno dell’azienda di calzature “Piedoni comodi SRL” circolano volantini anonimi. Sembrano stampati alla buona, non sono così gradevoli alla vista; le fitte scritte grigie sul foglio di color giallo pallido evidenziano, quanto meno, che l’autore ignori le indicazioni che la scienza cromatica ha proposto da Newton in poi.

D’accordo, ma il contenuto? Gina si muove con curiosità e con un po’ di circospezione: sono pochi anni che lavora in questo calzaturificio, preferisce non esporsi troppo.

Il volantino attacca senza mezzi termini le recenti novità in tema di licenziamento contenute nella legge delega n. 183/14 (Jobs Act), parla esplicitamente di mercificazione del lavoro, di mortifera supremazia dell’economia sulla persona, di degenerazione del sistema delle protezioni sociali e via dicendo.

Gina è una giovane donna, non è iscritta al sindacato, gli anni ‘70 li conosce per sentito dire e per merito di qualche film. Ha bisogno di un’informazione il più possibile asettica e accurata, decide così di rivolgersi all’Ispettorato del lavoro e subito incalza il funzionario di turno: “Ma è vero che in caso di licenziamento disciplinare illegittimo non è più ammessa in alcun caso la reintegra nel posto di lavoro? Ispettore, mi dica la verità, davvero un datore di lavoro può liberarsi del proprio dipendente semplicemente pagando un’indennità?”.

“Il discorso è complesso - risponde l’ispettore - . Il Jobs Act ha dato delle indicazioni, ma per ora nelle imprese con più di 15 dipendenti è ammessa la reintegra solo se il fatto disciplinare addebitato è non veritiero o se, laddove fosse realmente accaduto, venga punito dai contratti collettivi con sanzione non espulsiva. In ogni caso i decreti attuativi del Jobs Act esprimono una spiccata tendenza verso la monetizzazione del licenziamento”.

L’ispettore spiega alla lavoratrice che quando il rapporto fiduciario datore di lavoro/lavoratore s’incrina forse non è opportuno obbligare ad andare avanti a qualunque costo. Basterebbe puntare più sull’outplacement (ancora non previsto nel Jobs Act), una modalità molto utilizzata nei paesi anglosassoni: si tratta di un consulente, pagato dall’impresa che licenzia, che aiuta il lavoratore a ricollocarsi.

Mille pensieri si addensano nella testa di Gina: “Potrò essere licenziata anche per un mancato saluto di cortesia al mio datore di lavoro?”.
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Attività politica e licenziamento discriminatorio

05/02/2015 Il sig. Marcello lavora in un sacchettificio non troppo distante dalla propria dimora e così quando va in pausa-pranzo non usufruisce del servizio di mensa aziendale, torna a casa per mangiare. Oltretutto con i colleghi il rapporto è sempre stato difficile.

Ogni giorno, prima di aprire il portone d’ingresso, apre la cigolante cassetta delle lettere per prendere la posta: oggi è vuota. Poco dopo però il portiere dello stabile gli consegna una raccomandata proveniente dal titolare del sacchettificio. Busta strappata con apprensione e lembi di carta che si confondono sulle mattonelle di graniglia, la più temuta delle raccomandate è giunta a destinazione: licenziamento per motivi economici.

Il colpo è durissimo anche per un esperto di yoga come Marcello, non lo aiuta nemmeno la tecnica del pranayama. Nel pomeriggio non rientra al lavoro perché è troppo agitato.

Nei giorni successivi decide di passare all’azione. “Ispettore, qui c’è scritto che i motivi sono economici, ma la verità è un’altra. A dare fastidio sono le mie idee politiche!”. Meglio nascere fortunati che ricchi? L’ispettore del lavoro di turno ha una sensibilità particolare in materia: il colore politico è diverso da quello del lavoratore, ma la passione e il sacrificio sono i medesimi (i maligni dicono che anche a simpatia si assomigliano abbastanza…).

Approfondisce quanto denunciato dal lavoratore, raccoglie testimonianze, esamina la documentazione aziendale e i flussi bancari, incontra dipendenti e titolare del sacchettificio. Al termine l’ispettore si convince che il licenziamento di Marcello è discriminatorio e non è avvenuto per motivi economici. Così, mediante un provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124/04, intima alla parte datoriale di riprendere in servizio il dipendente.

Convinto di aver agito a tutela dell’interesse pubblico, l’ispettore ripete l’art. 3 della Costituzione tra sé e sé, come un mantra: “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di opinioni politiche”.
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Gravidanza e licenziamento, la storia di Mariella

29/01/2015 Da oltre dieci anni Mariella è impiegata nell’ufficio contabilità di un’azienda che installa porte e finestre, ma il lavoro nell’ultimo periodo ha subito un drastico calo. Sarà la crisi che ha investito il settore edile, sarà la concorrenza sempre più spietata. Fatto sta che per la nostra lavoratrice il futuro non è per niente roseo.

Ma c’è un evento tanto cercato quanto inaspettato: finalmente Mariella attende un bambino. L’ha desiderato tanto, ora i pensieri negativi sul futuro lavorativo possono essere accantonati e il tempo con il marito può essere trascorso pensando a come modificare la casa per renderla più accogliente e colorata in vista del nuovo arrivo. E poi di corsa in libreria ad acquistare un libro sulla gravidanza; quante domande alle amiche che già hanno vissuto questa esperienza e che bei confronti con la mamma. L’emozione è forte e il futuro cambia prospettiva.

Per Guido invece, titolare della ditta in cui lavora Mariella, la prospettiva è sempre la stessa. Non riesce ad andare avanti, allo stato attuale il costo della brava dipendente è praticamente insostenibile. Così, sebbene a malincuore, prende la decisione di licenziarla.

Mariella è letteralmente sconvolta, ma cerca di controllare i propri sentimenti, consapevole che la gravidanza rappresenta un momento molto delicato da questo punto di vista. Pier Giorgio, suo marito, vuole andare fino in fondo e comprendere se ci possano essere o meno tutele per la situazione di Mariella. Si rivolge così alla Direzione Territoriale del Lavoro e scopre che il licenziamento della lavoratrice in stato interessante è radicalmente nullo (art. 54 comma 5 del T.U. n. 151/2001), pertanto Mariella deve essere reintegrata.

L’ispettore del lavoro di turno spiega a Pier Giorgio che non conta se il datore di lavoro è a conoscenza o meno della gravidanza (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 20/07/2012): tale evenienza rileva solo al fine delle sanzioni amministrative. Ma non sono certo le sanzioni che interessano a Pier Giorgio…

Così, quando fa rientro a casa, il marito comunica la bella notizia a Mariella. A breve si torna al lavoro e non sarà possibile procedere ad alcun licenziamento fino al raggiungimento dell’anno di età del bambino.

Guido non sapeva della gravidanza, Mariella non l’aveva nemmeno avvertito, forse per un po’ di scaramanzia. A questo punto al datore di lavoro non rimane che riaccogliere Mariella; chiede però al marito di stare con occhi e orecchie aperti, va bene il reintegro di Mariella, ma occorre trovare nuovi appalti, altrimenti lo stipendio non arriva lo stesso…