Licenziamento della lavoratrice madre: confermato in caso di colpa grave

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Licenziamento della lavoratrice madre: confermato in caso di colpa grave

Con la sentenza n. 19367 del 14 luglio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha confermato l'applicabilità di sanzioni disciplinari severe anche nei confronti di una lavoratrice in stato di maternità, qualora si ravvisi una colpa grave.

Per la Suprema Corte, le normative sulla protezione della maternità devono essere bilanciate con le esigenze dell'impresa e con l'analisi della condotta dei lavoratori.

Lavoratrice madre: sì al licenziamento se c'è colpa grave

Divieto di licenziamento per le lavoratrici madri

L'art. 54, comma 3, lett. a), D.lgs. n. 151/2001 - si rammenta - prevede il divieto di licenziamento per le lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino, salvo giusta causa legata a motivi economici o disciplinari gravi.

Questa tutela ha lo scopo di proteggere i diritti della maternità e di garantire che la condizione di gravidanza non possa essere usata come giustificazione per il licenziamento, a meno che non emergano colpe gravi da parte della lavoratrice.

Il caso esaminato

Nel caso specificamente esaminato, la tutela dei diritti delle lavoratrici madri non ha impedito che venisse riconosciuta la legittimità del licenziamento disciplinare per una condotta che aveva avuto conseguenze anche di natura penale.

Le condotte contestate

Nella specie, la lavoratrice, in stato di gravidanza, era stata licenziata per la violazione degli obblighi relativi alla comunicazione dell'assenza per malattia e all'invio del certificato medico entro il terzo giorno dall'inizio dell'assenza.

Inoltre, le era stato contestato di aver tentato di occultare tale violazione, contraffacendo i fax relativi alla malattia, con un comportamento sleale nei confronti della datrice di lavoro.

Questo tentativo di manipolare i documenti e di nascondere l'inadempimento degli obblighi era stato ritenuto integrare una grave violazione, tale da rendere la sanzione espulsiva proporzionata.

Il licenziamento della lavoratrice, ossia, era stato motivato da una presunta colpa grave, per comportamenti che avevano messo in discussione il corretto svolgimento del rapporto di lavoro.

Tali condotte non solo avevano avuto implicazioni disciplinari, ma erano anche stati oggetto di un'indagine e di un processo penale.

La sentenza impugnata

La Corte d'Appello, dopo una complessa vicenda processuale, aveva confermato la legittimità del licenziamento, escludendo l’applicabilità del divieto per le lavoratrici in maternità.

In tale contesto, aveva ritenuto che, sebbene la sentenza penale non avesse valore di giudicato in sede civile, fosse legittimo utilizzare come prova gli elementi acquisiti in quella sede, trattandosi di prove atipiche ammissibili nel processo civile. In particolare, la ivi accertata falsificazione dei fax era stata ritenuta decisiva per la valutazione della colpa grave.

Il ricorso in Cassazione

La lavoratrice aveva proposto ricorso in Cassazione contro questa decisione, contestando la legittimità del recesso e sostenendo che il divieto di licenziamento per le lavoratrici in stato di gravidanza dovesse prevalere sulla contestazione disciplinare.

La ricorrente, inoltre, aveva criticato la valutazione della Corte d'Appello riguardo alla gravità delle sue condotte, ritenendola errata.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la valutazione della Corte d'Appello e ritenendo legittimo il licenziamento.

Ha ribadito che la falsificazione dei fax da parte della dipendente costituiva una colpa grave, tale da escludere l’applicabilità del divieto di licenziamento previsto per le lavoratrici in maternità.

La gravità del comportamento giustificava la decisione adottata dal giudice di merito.

Licenziamento disciplinare della lavoratrice madre

Nella propria disamina, la Cassazione ha richiamato i principi enunciati dalla giurisprudenza in tema di licenziamento disciplinare della lavoratrice madre.

Sul punto, la Corte ha evidenziato che la verifica della sussistenza della colpa grave, che rende inoperante il divieto ex art. 54, comma 3, lett. a), D.lgs. n. 151/2001, deve essere fatta in relazione alla specificità del caso. Non basta, ossia, un giustificato motivo soggettivo o una giusta causa generica prevista dalla contrattazione collettiva.

È necessaria un’analisi approfondita dei fatti, considerando anche le ripercussioni sul piano personale, psicologico, familiare e organizzativo, in rapporto alla fase della vita della donna.

La colpa grave, ciò posto, esclude il divieto di licenziamento, che è invece finalizzato alla tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia.

Resta fermo che l'accertamento e la valutazione della colpa grave sono un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Tale giudizio non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia supportato da una motivazione logicamente congrua e giuridicamente priva di vizi.

I principi applicati al caso esaminato

Nella specie, non era possibile valutare il rispetto del divieto di licenziamento senza considerare la questione della genuinità dei fax inviati dalla lavoratrice per giustificare la sua assenza.

La Corte, in altri termini, ha ritenuto determinante la falsificazione dei fax, utilizzati per giustificare l'assenza. Questo comportamento doloso aveva reso l'assenza più grave, escludendo l'applicabilità della norma del CCNL di riferimento, che prevedeva solo una sanzione conservativa.

Pertanto, era corretto che la Corte di appello avesse giudicato le condotte della lavoratrice come gravi, rendendo inapplicabile il divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza.

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